31 gennaio 2012

Jorge Luis Borges, Il giardino dei sentieri che si biforcano, da Finzioni, Einaudi, 1995

di Isa Bergamini

Il Tempo al centro del Labirinto e lungo il Labirinto della metafora della vita e dell’universo, oltre che della storia che ne è pretesto narrativo.
Ogni elemento della narrazione appare per aprire un sentiero, aprire un varco possibile a cui affacciarsi, la suspence segna le pause della musica scritta per percorrere il giardino/labirinto/tempo.
Tutto procede con la precisione meccanica di un grande orologio, con i suoi ingranaggi ed i suoi organi oscillatori, per la dimostrazione, vorrei dire, matematica della molteplicità o della polisemia della realtà, della quale si può “solo immaginare un futuro che sia irrevocabile come il passato”, ma non certo determinarla, nè conoscerla.
Il Tempo è protagonista mai nominato di quel libro che Ts’ui Pen, antenato dell’io narrante, si ritira a scrivere.
Libro = Giardino = Labirinto = Tempo in sentieri che si biforcano articolandosi in rapporti, identificazioni, sovrapposizioni che si intersecano.
Il tempo della narrazione si intrica, si piega su se stesso per convergere al centro della storia/labirinto dove sembra chiudersi una delle possibili vie, che forse si biforca ancora.
La spia assassina, sarà condannata alla forca, ma in realtà ha aperto altri sentieri infiniti di infinite storie della Storia, con la sua azione, a suo dire, ineluttabile e necessaria.
Pare che non ci sia uscita dall’infinito labirinto.