Festa del Tesseramento 2025

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ore 17:00

nella nostra Sede via Istria n. 6

ci incontriamo come ogni anno per la FESTA DEL TESSERAMENTO 2025 e per gli Auguri di Natale.

In tale occasione sarà presente: 

 “Sol-o Canto“, coro di voci femminili che cantano a cappella, diretto da Rosa Angela Alberga, cantante lirica grumese.

Vi aspettiamo

Lucia

La recita di Bolzano, di Sàndor Màrai

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19 novembre 2024

Sàndor Màrai, “La recita di Bolzano”, traduzione di Marinella D’Alessandro, Adelphi, 2000, pp. 264.

proposto da Vanda Morano.

di Vanda Morano
La recita di Bolzano” è uno dei pochi romanzi pubblicati da Sàndor Màrai quando era ancora in vita. Màrai è stato uno scrittore ungherese naturalizzato statunitense.
Fu avversario del comunismo come lo era stato del fascismo. Importante figura di riferimento nella vita letteraria e teatrale del paese fino agli anni ’40 non poteva immaginarsi senza la propria libertà. Dal ’48 visse in Italia e poi in America; in un esilio che si rivelò irreversibile e ricco di esperienze, continuò a scrivere nella lingua madre rimanendo legato alla cultura di origine. Il binomio vita-scrittura e l’eventuale
funzione sovversiva della parola scritta sono analizzati nel romanzo. Per Marai la scrittura non è solo strumento “è … potere”. La scrittura è la forza più grande che esista.

Il Casanova di Marai, lontano dal libertino archetipo del seduttore, è intrappolato nelle sue stesse illusioni e nel peso del passato; è alla ricerca di un senso nella vita. Dice lo scrittore “Il mio eroe rassomiglia maledettamente a quel viandante intrepido, apolide e tutto sommato…. infelice”. Apolide e infelice come il suo Autore. La fuga dai Piombi è l’incipit, è l’ouverture, quasi in senso musicale, di una indagine sulla complessità della figura umana, sull’inganno e sulla sottile linea che separa il teatro dalla vita reale. Bolzano con la sua misteriosa e sospesa atmosfera è lo scenario perfetto per una riflessione sull’amore sull’identità, sul potere e sulla decadenza.
S, Màrai ci racconta un Casanova ormai privo di avvenenza, che si sorprende per la scarsa reattività a suoi tentativi di seduzione di Teresa, giovane cameriera della locanda dove alberga. Ha dedicato l’intera esistenza al “richiamo imperioso della vita” ora si misura con la decadenza e la fragilità. Ha incantato tante donne, ha vissuto tante avventure alla ricerca del mistero e spinto dal desiderio. Il desiderio che lo rende vulnerabile è al centro del suo essere e gli impedisce la felicità. A lui che ama essere protagonista nella vita, il vecchio potente consorte dell’unica donna che abbia mai amato, Francesca, chiede di rappresentare gli inganni dell’amore per ferirla e guarirla dell’amore che prova per lui. La messa in scena si verifica non nei termini indicati dal conte. I due recitano a ruoli invertiti (Casanova mascherato da donna e Francesca mascherata da ragazzo). La donna depone ai piedi dell’amato ritroso le più appassionate profferte d’amore che vengono però rifiutate.
Casanova scriverà al conte che “L’Unica rimane tale soltanto finché è ricoperta dai veli misteriosi e dai drappi segreti del desiderio e dalla nostalgia”. Proseguirà quindi il suo destino di baro apolide e libertino, e la sua ricerca esistenziale.
La costruzione, la trama e l’ambientazione del romanzo rivelano i valori e le norme e la cultura della società settecentesca. E’ una rilettura dell’epoca in cui troviamo i tratti caratteristici della scrittura di Màrai: la maestria nell’analizzare i rapporti affettivi; l’espediente narrativo della voce narrante a cui seguono lunghissimi monologhi. Scrittura elegantemente articolata che evoca sensazioni di tristezza, di nostalgia, di tormento attutiti talvolta dall’ironia.

Incontro con M. Bottalico “Alchimie della memoria in J. Stella”.

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ore 17:30

nella Sede dell’Adirt, via Istria n. 6

Alchimie della memoria in Joseph Stella, artista lucano americano” .

Con Michele Bottalico, già Professore di Letteratura e Cultura degli Stati Uniti, presso il nostro Ateneo e quello di Salerno.

Lucia Aprile

Una Madre, di Colum McCann con Diane Foley

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22 Ottobre 2024

Colum McCann con Diane Foley, “Una madre“, traduzione di Marinella Magrì, Feltrinelli, 2024

proposto da Franca Botrugno ed Isa Bergamini.

di Franca Botrugno

Ricominciamo gli incontri del nostro gruppo di Lettura LeggerMente con la lettura del recente
lavoro di Colum McCann “Una Madre” scritto, si può dire, a due mani perché la scrittura
dell’Autore dà voce alla vicenda della signora Diane Foley, madre del giornalista James Foley,
che accetta di incontrare in carcere il terrorista – assassino del figlio, Alexanda Kotey, e
partecipare a noi tutti il suo vissuto
Questo romanzo parte da un episodio tragico, la decapitazione di James Foley, un giornalista
americano free lance impegnato ad indagare sulla verità della complessità umana e sociale,
già preso in ostaggio in Libia e poi liberato, e nuovamente imprigionato in Siria come ostaggio
dell’ISIS, brutalmente torturato per due anni e poi decapitato. Storia di crudeltà estrema
mostrata “senza veli”, in rete al mondo ad imperituro monito agli Stati Uniti e non solo.
L’Autore dà voce in questo romanzo alla madre di James che alla fine del romanzo diventerà ,
a detta di Kotey, il terrorista, come “una Madre” per tutti noi.
Diane Foley donna eccezionale sofferente, tormentata e dibattuta tra tanti sentimenti
contrastanti ha trovato nella sua anima profondamente religiosa la forza di perdonare e non
solo, ma di essere capace di entrare in empatia con l’assassino del figlio facendo leva sul
proprio “coraggio morale”, stesso sentimento insito in James (come si evince dalle pagine
dedicate alla sua biografia).

Diane ci porta a percorrere i momenti salienti della formazione del figlio, facendocelo
conoscere, e poi ci introduce nei momenti più ardui della vicenda comprese tutte le strade
intraprese per la liberazione del figlio, le richieste di aiuto alle istituzioni, tutte richieste, come
da prassi americana, completamente inascoltate.
Diane esprime con forza e grazia i suoi stati d’animo e sentimenti ma è, a mio parere, avendo
letto altro dell’Autore, la magistrale scrittura di Colum McCann con la sua abilità di indagare
con puntigliosità su accadimenti, sentimenti e motivazioni di chi fa il male nella ricerca di una
verità quanto più viscerale possibile. L’Autore indaga varie “dimensioni umane” e destini
traumatici dando vita a pagine che interrogano profondamente su vari temi: terrorismo, guerra, violenza, giustizia ecc. tra l’altro di stretta attualità. Diane, unica nella sua famiglia, accetta di incontrare l’assassino del figlio Alexanda Kotey (significato del suo nome: difensore degli uomini-anima gentile), ma sedendosi al tavolo di fronte a lui controlla la distanza pensando “non volevo doverlo toccare”. Ha voluto incontrarlo perché “conoscere il come della morte della persona amata è conoscere meglio la sua vita”. In partenza non sa cosa chiedere a Kotey ma poi, pur spesso dubitando della veridicità di ciò che dice, apprende elementi sulla prigionia e il comportamento di James per poi entrare
anche nel suo vissuto (lui parla delle sue figlie ora racchiuse in un campo profughi, la
preoccupazione di ciò che la madre sente di lui attraverso i media). Entra in empatia tanto da
pensare “ogni uomo ha bisogno della sua dose di amore”, tanto da proporre di far qualcosa
per le sue bambine (perdono, compassione) ed alla fine porgergli anche la mano.
Toccante la descrizione del pianto che Kotey non riesce a reprimere dopo aver visto la commozione intensa del padre di James in un filmato “J Foley reporter dall’inferno”, girato da un amico
d’infanzia e da li che scaturisce un ricordo ed una motivazione sugli atti che comunque compie , come più volte afferma, per obbedienza all’organizzazione alla quale si è affiliato.
Diane parla di tristezza, la tristezza che si continui a toglierci la vita l’un l’altro e che ciò si
riduca alla giustizia o alla vendetta, dice inoltre che sicuramente da molti sarà tacciata di
ingenuità e di essersi fatta raggirare da lui e ora, dopo sette anni dalla perdita del figlio, piange.
Diane Foley è oggi una scomoda attivista politica e testimone del potere dell’empatia e del
coraggio morale. Grande esempio

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Breve nota a cura di Maria Grazia Toma, dopo l’incontro del gruppo di lettura:

Una madre” nasce dall’incontro di McCann con Diane Foley e narra di come lei si prepari all’incontro con Alexanda Kotei, assassino e torturatore del figlio, assassinio avvenuto tramite decapitazione con diffusione del video in rete.
Il cammino verso questo incontro si intreccia con il racconto della vita di James, l’angoscia degli anni della prigionia e la lotta della madre per liberare il figlio.
McCann fa un passo indietro e lascia parlare la madre. Questo ha deluso alcune di noi che non hanno ritrovato lo stile dell’Autore.
Mentre ad altre è piaciuto perché in un racconto di semplice cronaca ha saputo inserire temi universali. La violenza, la verità, il dolore che trova conforto in una profonda religiosità, il perdono, il ruolo dei freelance che assicurano una informazione obiettiva quando la stampa ufficiale non è presente, il ruolo dello stato americano, la giustizia.
Il dolore Diane lo incanala prima nel tentativo di liberare il figlio, scontrandosi con la burocrazia che non può mettere in discussione la potenza americana e quindi non può trattare per un civile.
Diana pur soffrendo per l’intralcio della burocrazia americana, riconosce allo Stato il grande valore di assicurare a tutti una giustizia equa. Il sistema americano non viene messo in discussione, è inserito nel tessuto sociale, 3 membri della famiglia Foley sono militari. L’esercito costituisce una base dell’economia delle famiglie americane.
Dopo la morte di James, Diane si impegna nel creare una fondazione nel suo nome che lo faccia conoscere nel mondo e che porti a tutelare i freelance.
Diane vuole rendere visibile l’invisibile, la memoria che va oltre la vita. Ben diverso l’atteggiamento del padre e dei fratelli che appaiono più distaccati.
Per questo vuole incontrare l’assassino di suo figlio per capire le sue motivazioni e darsi una risposta, ma Alexanda Kotey non appare coinvolto, “Me lo hanno ordinato” per questo ha torturato, ucciso.
Nel colloquio con Alexanda, Diana instaura un rapporto intenso, lei entrerà in empatia con lui. Non sappiamo se abbia perdonato, ma ha cercato di capire, di ascoltare la voce dell’altro. Condivide il dolore per il suo futuro, per quello della sua famiglia che vorrebbe aiutare, lo incoraggia nel suo progetto di studio.
Il secondo ed ultimo colloquio si conclude nonostante la tristezza, con Diana che si avvicina ad AIexanda e gli tende la mano e nonostante tutti i divieti lui la stringe, giustificandosi dicendo che lei è la madre di tutti.

“In Viaggio nella memoria del Secolo Breve”. Con S. Chiaffarata

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ore 17:30

nella Sede dell’Adirt, via Istria n.6 

In Viaggio nella memoria” .

Un itinerario nei luoghi legati ai momenti più significativi dei conflitti del Secolo Breve

Sarà con noi Sergio Chiaffarata

Lucia

Mostra all’Adirt: “L’Arte che viaggia per posta”.

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ore 17:00

nella sede dell’Adirt, via Istria n. 6 

L’arte che viaggia per posta“, una particolare forma d’arte di grande attualità e dal profondo significato sociopolitico.

Con noi Katia Ricci, visual artist, che affronta il tema “Trame di vita, trame di pace” attraverso una Mostra da lei organizzata con altre associazioni.

La Mostra sarà visibile nella nostra Sede e consta di una serie di cartoline realizzate da artiste e artisti di varie città italiane e anche dai bambini di una scuola di Dresda (Germania).

Vi aspettiamo.

Proiezione del Film “La Ronde”.

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nella sede dell’Adirt, via Istria n. 6

sarà proiettato “La Ronde” – Il Piacere e l’Amore, un film del 1950, diretto da Max Ophüls, tratto dalla commedia “Girotondo” di Arthur Schinitzler, con Simone Signoret e Serge Reggiani. Il film, premiato al Festival di Venezia, ha ottenuto 2 candidature a Premi Oscar.

“….una narrazione senza intrigo né personaggi, fatta di assenze e di vuoti come il cuore dei suoi protagonisti . Bello come una bolla di sapone attraverso la quale s’intravede una concezione desolata dell’esistenza…” dal Morandini.

Vi aspettiamo

Convocazione Assemblea Adirt. 25 Ottobre 2024

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Come stabilito nel corso dell’incontro Adirt del 15 Ottobre u.s.

SI COMUNICA

che il giorno

presso la nostra Sede in via Istria n. 6, si terrà l’ASSEMBLEA per il Rinnovo degli Organi Collegiali.

Si fa presente che hanno diritto di voto i Soci e le Socie in regola con il pagamento della quota associativa del corrente anno.

La Presidente

Lucia Aprile

Tasmania, di Paolo Giordano

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11 giugno 2024

Paolo Giordano, “Tasmania“, Einaudi, 2022

proposto da Roberta Ruggiero

di Roberta Ruggiero

Tasmania” di P. Giordano, definito nel settimanale “La Lettura”, il secondo miglior libro del 2022, è l’ultimo prodotto di un Autore che non si è fermato al successo del suo primo libro e ha continuato a cercare nuove strade, anche stilistiche. Le sue opinioni e il suo comportamento esprimono grande equilibrio.
“Tasmania” si situa tra alcune opere europee contemporanee che cercano nuove forme di espressione. Usa il romanzo come chiave di accesso, tracimando poi in altre forme: il saggio, il giornalismo, l’autofiction, riuscendo a riflettere su tutta un’epoca. Ci racconta tante cose, grandi e piccole, private e collettive, si serve della scienza e della quotidianità, riuscendo a tenere tutto insieme. E’ lungo l‘elenco delle crisi del giovane uomo contemporaneo e della realtà fisica e sociale che vive. La minaccia nucleare passata e presente aleggia su tutto e tutti e qui il racconto sfiora la commozione. Belle pagine parlano della commemorazione in Giappone del drammatico lancio della bomba e fanno scattare la commozione, soluzione proposta per rispondere alle crisi. La fuga a Tasmania, vagheggiata da alcuni, è solo allora una apparizione fugace, un sogno, ma non la soluzione. Questa va invece cercata nelle relazioni umane, negli affetti, nella memoria collettiva sempre da conservare.
La scrittura è fluida, viva e lo stile è quello della “no fiction” che attinge a piene mani alla realtà e alla vita stessa dello scrittore.

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Breve nota a cura di Roberta Ruggiero, dopo l’incontro del gruppo di lettura:
L’incontro comincia con una breve presentazione nella quale sono state ribadite le ragioni della proposta e i temi di fondo del libro.
Gli interventi che si sono succeduti hanno quasi tutti sottolineato che l’opera non ha convinto. Hanno fatto eccezione un paio di giudizi che hanno invece apprezzato il libro, sottolineando la stima nei confronti di Giordano. Di contro i difetti che sono stati sottolineati dalla maggior parte delle lettrici sono stati i troppi problemi elencati sia individuali che universali e un non convincente intreccio tra le due dimensioni. Alcune hanno sottolineato la differente qualità tra l’opera di esordio di Giordano “La solitudine dei numeri primi” e “Tasmania”. Interessanti interventi hanno parlato delle analisi sui giovani e le loro crisi esistenziali e ne hanno dedotto riflessioni sulla personalità dell’autore.
Sono stati citati:
Freedom” di Jonathan Franzen
Collasso” di Jared Diamond
Genera libertà l’impegno della ragione”, conversazione fra Paolo Giordano e Ian McEwan, a cura di Cristina Taglietti, La Lettura, 13 novembre 2022.
Il romanzo del presente” di Nicola H. Cosentino, La Lettura, 4 dicembre 2022.

Giornate Europee dell’Archeologia

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ore 10:30

ci incontriamo, in occasione delle Giornate Europee dell’Archeologia, nella Pinacoteca Metropolitana “Corrado Giaquinto”, via Spalato n.19, al 4°piano, dove é stata  allestita una mostra a cura di Lucia Rosa Pastore, incentrata su alcuni dipinti di Giuseppe Pastina (Andria 1863 – Roma 1942),  volti a documentarne l’attività svolta a fianco di Giacomo Boni (Venezia 1859 – Roma 1925), uno dei padri dell’archeologia moderna, destinata a incidere sul suo percorso pittorico. 

L’iniziativa costituisce pertanto l’occasione per approfondire l’intenso rapporto che Giuseppe Pastina – oltre che pittore, musicista, critico d’arte, avvocato – ebbe con le vestigia dell’antichità, rapporto di cui si era persa ogni traccia e che viene per la prima volta portato alla luce in questa circostanza. 

Vi aspettiamo

Lucia Aprile

Ode al Reno. Viaggio sul Reno romantico tra poesia, musica, dramma.

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ore 17:30

nella Sede dell’Adirt, via Istria n. 6

Ode al Reno. Viaggio sul Reno romantico tra poesia, musica, dramma

Adele Boghetich, Aurelio Canonici e Marco Mazzoleni, autori di questo volume, affrontano un proprio “viaggio” di indagine e di scoperta intorno al magico mondo del grande fiume tedesco, ripercorrendo i luoghi che hanno ispirato opere immortali a poeti e musicisti.

Con noi Adele Boghetich.

vi aspettiamo

Lucia Aprile

Comunicato Adirt del 27 maggio 2024

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ore 17:30

nella nostra Sede in via Istria n.6

si terrà un’ASSEMBLEA delle Socie e dei Soci, con il seguente O.D.G.

  • lo Statuto dell’Adirt, dopo 42 anni 
  • varie ed eventuali.

Vi aspettiamo

Lucia Aprile

Progetto Costa Sud. Se ne discute all’Adirt

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ore 17:30

nella sede dell’Adirt, in via Istria n.6

si discute di  “Progetto Costa Sud” che trasforma un’intera zona a ridosso del mare in un’area per il tempo libero, e soprattutto in uno spazio verde rispettoso del paesaggio esistente. 

Con noi Pierangela Loconte, Funzionaria Specialista Tecnico Settore Servizi per l’Edilizia

Lucia Aprile

Arte e musica: femminile, plurale.

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ore 17:30

nella Sede dell’Adirt, via Istria n. 6

Arte e musica: femminile, plurale”

Un percorso per illuminare un universo femminile misconosciuto.

Con noi Christine Sperken e Angela Annese.

Lucia Aprile

Trittico dell’infamia, di Pablo Montoya

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30 Aprile 2024

Pablo Montoya, “Trittico dell’Infamia“, traduzione di Ximena Rodriguez Bradford, ed. e/o 2015

proposto da Isa Bergamini

di Isa Bergamini

Trittico dell’Infamia” è un affascinante e appassionante romanzo storico, ma sarebbe limitativo leggerlo solamente in questa chiave, perché potrebbe essere anche considerato un saggio su alcuni momenti drammatici dell’Europa del XVI secolo.
Il libro è diviso in tre parti con tre protagonisti Jacques Le Moyne detto Morgues cartografo e illustratore, François Dubois pittore e Théodore de Bry incisore e stampatore. Tutti e tre ugonotti del XVI secolo, mentre il centro Europa era flagellato dalle guerre di religione e la Spagna cattolica giustificava con il progetto dell’evangelizzazione, il genocidio delle popolazioni nelle terre d’oltre oceano, depredando quei territori senza alcuna pietà.
Le storie dei tre protagonisti si intersecano in momenti essenziali al racconto, avendo in comune i primi due di aver assistito a “Infamie”, che provano a testimoniare illustrandole e il terzo divulgandole con la stampa. Le Moyne con i disegni sulla vita dei nativi americani e sui massacri commessi dagli spagnoli e Dubois con la tavola che illustra il massacro della Notte di San Bartolomeo a Parigi. Théodore de Bry sarà lo stampatore che pubblica le loro testimonianze.
Il libro è strutturato e costruito in ogni sua parte, dove ogni elemento raccontato è pensato in rapporto con tutti gli altri, anche i meno determinanti, quasi fosse un’incisione nella quale anche il segno meno incisivo, contribuisce al racconto complessivo che si vuole rappresentare.
Libro molto colto con una pagina densa di citazioni e riferimenti ai grandi della letteratura, precedenti o contemporanei dei tre protagonisti, ad esempio Rabelais, Erasmo, Michel de Montaigne e molti altri, ma anche Virgilio. Moltissimi i riferimenti ad architetti, pittori e scultori del ‘400 e ‘500 europei, ad esempio Pieter Brugel, Jean Fouquet e la sua Madonna col bambino, Jan van Eyck e i Coniugi Arnolfini, Paolo Uccello e la sua Caccia notturna, di Albrecht Dürer gli autoritratti e le incisioni. Dei luoghi visitati dai protagonisti ricordo solamente il Duomo di Amien con il Labirinto e il Duomo di San Bartolomeo di Francoforte. Fra le sculture citate c’è il San Bartolomeo scorticato di Marco d’Agrate che si trova nel Duomo di Milano, che con la sua pelle adagiata sulle spalle come un mantello, richiama le atrocità alle quali erano stati sottoposti gli indigeni colombiani dai cattolici spagnoli.
Molti altri potrebbero essere gli esempi da citare, ma il senso del libro si può riassumere nelle parole che lo scrittore immagina di scambiare con Théodore de Bry durante un impossibile incontro e che scrive “…potrei dimostrargli che, nonostante i comfort della tecnologia e i risultati della scienza, il mio tempo è forse più spaventoso del suo. Ma lui potrebbe dire che l’uomo è stato, è e sarà sempre una creatura devastatrice, e il patimento che provoca, è la costante della storia.”
Le infamie sono sempre infamie in ogni luogo, di qua e di là dell’oceano e in ogni tempo, dallo sterminio delle popolazioni dell’intero continente americano, realizzato in tempi diversi a partire dalla Conquista, alla terribile notte di San Bartolomeo, fino ai morti della prima e seconda guerra mondiale ancora in Europa, ma il pensiero corre oggi, soprattutto ai palestinesi di Gaza e ai giovani ebrei massacrati.
Pablo Montoya ha consultato un originale di “Brevissima relazione della distruzione delle Indie” di Bartolomé de las Casas e descrive con grande precisione e emozione le diciassette incisioni di Jacques Le Moyne, apprezzando e sottolineando anche la qualità e l’importanza del lavoro dello stampatore Théodore de Bry.
Il libro si chiude magicamente al suono dei rintocchi delle campane, al lume di candela e con le parole di Thedore de Bry “Tu prendi una candela e tu un’altra, disse ai figli. Tu Catherine, ne accenderai una in onore di padre de las Casas. Per averci dato quel libro che è come un faro nell’oscurità più funesta e averci insegnato la negazione di ogni violenza. L’altra la accenderò io – anche se so che non basterà e che non avremo mai le candele necessarie a lenire i loro dolori, e se anche le avessimo, non credo che questa città riuscirebbe a contenerle – per ricordare i nostri fratelli nella persecuzione.”
Una scrittura molto ricca e a tratti anche poetica, sapientemente tradotta, accompagna il lettore di pagina in pagina a scoprire gli angoli bui dei grandi eventi della storia del XVI sec.

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Breve nota a cura di Monica McBritton, dopo l’incontro del gruppo di lettura:

L’incontro è iniziato con una sintetica relazione sul libro, nella quale sono state precisate le ragioni per le quali ne era stata proposta la lettura e sono stati rimarcati alcuni profili rilevanti dell’opera. In seguito, come di consueto, abbiamo proceduto ad un giro di interventi.
Una questione che ha dato luogo ad un certo dibattito è stata quella dell’inquadramento dell’opera. Questione non facile da risolvere vista la complessità del tema affrontato e della struttura dell’opera. È stato rilevato che essa si inserisce nel filone del romanzo storico postmoderno. In tale filone si inseriscono anche alcune opere di Edmund De Waal e Jan Brokken. Si tratta di un approccio che contiene sia l’opera di fantasia che la dimensione saggistica.
Tale impostazione ha suscitato qualche dubbio sulla fedeltà dell’autore alle fonti, in quanto l’opera potrebbe essere stata indebitamente aggiornata, in particolare per quanto concerne il ruolo che l’Autore attribuisce alle stampe per la diffusione nell’Europa del ‘500 dell’informazione sugli orrori della colonizzazione.
Un altro importante aspetto, più volte richiamato è la rilevanza assunta dalla corporeità degli indigeni anche in rapporto all’effetto che essa provocava nei colonizzatori.
È emerso anche il collegamento con gli scritti di Eduardo Galeano. Ed è stato osservato in particolare che si tratta di un volume contro l’oblio, principalmente perché tratta della questione coloniale avendo come filo conduttore un profilo meno noto, ovvero il conflitto religioso europeo fra cattolici e riformati, fra la Francia e la Spagna.
Su quest’ultimo aspetto si è detto che P. Montoya ha provato a rispondere a una domanda presente in America Latina: come sarebbe stata l’evoluzione della sua storia, se i colonizzatori fossero stati i riformati e non i cattolici?
Poiché, evidentemente non esiste una risposta puntuale a tale quesito, è pregio dell’opera la tematizzazione approfondita della questione.
Complessivamente, il volume è stato apprezzato, anche se è stata più volte rilevata la complessità della struttura dell’opera, la quale premia il lettore perseverante.
Molto apprezzato anche l’uso che viene fatto nel testo di alcune opere d’arte, in particolare i riferimenti al pittore Albrecht Dürer e all’editore Theodor de Bry.
Opere citate:
– Eduardo Galeano, “Le vene aperte della America Latina”.
– Edmund De Waal, “Un’eredità di avorio e ambra”.

Visita Museo diocesano.

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ore 10:30

ci incontriamo sul sagrato della Cattedrale di Bari per una visita guidata al Museo diocesano e in particolare al cosiddetto Benedizionale di Bari e ai tre Exultet, pergamene illustrate di epoca medievale decorate a mano, da srotolare durante il canto liturgico dell’annuncio di Pasqua, come ausilio iconografico ai fedeli.

Con noi Paolo Fioretti dell’ Università di Bari.

Lucia Aprile

Comunicazione Adirt

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Passeggiata nel Bosco di Comunità di Monteferraro, in agro Conversano, di cui anche l’ADIRT risulta “non  proprietaria”.

Dopo una sosta presso la caffetteria Ristorante Della Corte in piazza della Conciliazione a Conversano, visiteremo con una Guida, presso il Polo Museale del Castello, la Mostra: “Chagall. Sogno d’amore, che ripercorre la vita e l’opera del pittore del sogno e della fantasia creatrice.

É importante conoscere al più presto il numero dei partecipanti e i Soci disponibili ad ospitare nelle loro macchine chi ne é privo.

Prenotazioni e anticipi nella sede in via Istria, VENERDI 19 aprile, a conclusione dell’incontro con Giandomenico Amendola. Attendiamo intanto quanto prima le vostre adesioni.

Lucia Aprile

Le città: immagini e immaginari. Narrazioni, analisi, miti. Di G. Amendola

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ore17:30

nella Sede dell’Adirt, via Istria n.6

“Le città: immagini e immaginari. Narrazioni, analisi, miti“, di Giandomenico Amendola, Ed. Franco Angeli 2024.

Un denso e articolato percorso nei luoghi dell’abitare, dal passato alla contemporaneità.

Giandomenico Amendola, già professore ordinario di Sociologia Urbana nella Facoltà di Architettura del Politecnico di Bari e poi dell’Università di Firenze, ha insegnato e svolto ricerche in alcune delle più importanti università statunitensi. Già presidente dell’Associazione Italiana di Sociologia, è autore di numerosi volumi.

Dialogherà con l’Autore la scrittrice Amalia Mancini.

lo scafista, di Stephanie Coste

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26 marzo 2024

Stéphanie Coste, “Lo scafista“, traduzione di Cettina Caliò, La nave di Teseo, 2022

proposto da Rosa Giusti

di Rosa Giusti

Sono così tante e terribili le notizie dei media sui migranti che attraverso il Mediterraneo tentano di raggiungere il nostro paese affidandosi per la traversata a gente disonesta che spesso li porta alla morte, che proporre al gruppo di lettura -Lo Scafista- non mi convinceva. Un argomento così ripetitivo, pensavo, ha ormai poca presa su noi tutti, assuefatti e quasi anestetizzati emotivamente. Ma “Lo Scafista”, almeno secondo il titolo del testo della Coste, prometteva di trattarlo secondo una prospettiva diversa e mi ha incuriosita.

Effettivamente nel libro compaiono elementi di novità, perché il protagonista, lo scafista Seyoum, capo di un’organizzazione criminale che si occupa di traghettare persone in fuga dalla Libia verso l’Italia, è sì un mostro di crudeltà, ma è anche un uomo. E’ un eritreo con un trascorso personale tragico, la cui storia è anche la storia dell’Eritrea, della guerra con l’Etiopia, della dittatura, delle persecuzioni dei dissidenti e della loro necessità di andarsene altrove. L’autrice si sposta di continuo dai movimentati avvenimenti che precedono la traversata del racconto, all’infanzia idilliaca del bambino Seyoum, sereno e felice in seno ad una famiglia benestante e colta, alla sua giovinezza, quando è teneramente innamorato e promesso sposo della meravigliosa Madhia, ed infine alle torture, alla separazione straziante dai suoi cari, alle sofferenze indicibili subite nel corso dei capovolgimenti politici dell’Eritrea.  Seyoum tenta di fuggire per mare dall’Africa, ma il suo viaggio fallisce e lo riporta in Libia, dove si ferma.  Il dolore patito lo ha trasformato. “Hai sofferto e ora fai soffrire. Marcirai all’inferno” dice a sé stesso sulla spiaggia dove dirige i suoi traffici. Ha fatto della speranza di poveri derelitti, l’anima del commercio, si arricchisce con cinismo, uccide, corrompe, inganna, terrorizza. Ma Seyoum è un malvagio insoddisfatto, estremamente tormentato, si auto distrugge assumendo alcol e droga, cerca la morte. E’ che ha ancora una coscienza, una sensibilità non completamente congelata. Il ritrovamento casuale di Madhia, l’amore della sua vita, tra l’ultimo “carico” dell’imbarcazione fatiscente prossima a partire, innesca un cambiamento nella sua psiche allo sfascio.  Pur consapevole che Madhia non sarà mai più al suo fianco e che lo disprezza pensando erroneamente che lui l’abbia ingannata, decide di dare una svolta alla sua esistenza maledetta:  regala il suo denaro,  si mette in mare assumendo lui stesso il comando della -carretta del mare-  (per giunta in tempesta) che dovrà trasportare in Italia un foltissimo gruppo di persone fra cui  Madhia con  il marito e il figlioletto, e miracolosamente ce la fa, ce la fanno, in discreto numero, ad arrivare a Lampedusa.

Molti elementi del romanzo si possono ritrovare nel recente film – Io Capitano- con il quale c’è stato un confronto. Ma nel libro non c’è solo la tragedia dei migranti, preponderante nel film, c’è soprattutto la storia dello scafista, l’altra parte di umanità coinvolta in queste vicende, di Seyoum incattivito dalla vita e dai traumi accumulati. “Tutte le cose davvero atroci cominciano dall’innocenza”. Questa citazione da Hemingway che la Coste riporta nell’esergo, spiega il senso che vuole dare al suo romanzo. L’Autrice usa un ritmo veloce ed efficace, usa frequenti flash back tenendo vivo l’interesse del lettore e mettendolo di fronte a fatti storici forse poco conosciuti. Tutto ciò è stato ritenuto un merito da parte di molte di noi mentre varie critiche si sono levate da parte di altre che non hanno apprezzato affatto né il contenuto del romanzo, né lo stile, né la struttura narrativa.  

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Breve nota a cura di Teresa Santostasi, dopo l’incontro del gruppo di lettura.

Un gruppo di lettura, LeggerMente, che esprime la pluralità delle conoscenze, delle riflessioni e delle preferenze di noi lettrici e che ci permette di “leggere anche con gli occhi delle altre”.

Lo Scafista”, racconto finalista del Premio Inge Feltrinelli 2024, proposto da Rosa Giusti che ne ha colto il ritmo incalzante e l’intreccio tra le vite delle vittime e quelle del loro carnefice, dove l’abusato diventa abusante, ha trovato pareri discordi nelle nostre analisi.

Il tema dell’immigrazione, sempre presente nel nostro vissuto con un potente coinvolgimento emotivo, è uno dei temi più divisivi della nostra epoca. L’Autrice rinuncia a raccontare il punto di vista delle vittime, preferendo entrare in quello del carnefice Seyoum.  Qualcuna ha trovato irritante e faticosa l’alternanza di date, cosa invece apprezzata da altre, per il richiamo a ricordi dell’infanzia che permettono di interpretare meglio il presente. “Lo scafista” è stato considerato racconto non banale, caratterizzato da una prosa crudele che non lascia spazio all’immaginazione, del quale è stata apprezzata la brevità pur nella complessità del personaggio Seyoum e dei temi affrontati. Per alcune il racconto ha deluso, non condividendo la posizione assolutoria della scrittrice Stephanie Coste ed il linguaggio povero e frammentario. Si è voluto ricordare che comunque la letteratura è una strada privilegiata per esprimere pareri, aiutandoci soprattutto nei momenti più critici. Si è convenuto che il racconto risulta troppo artificioso e costruito, soprattutto nel finale e nei temi trattati. E’ mancato inoltre il rapporto con la storia, né sono analizzate le cause e le vicende della guerra Eritrea/Etiopia.

Inevitabilmente non abbiamo potuto non citare il testo appena letto di Stefano Massini “Eichmann, dove inizia la notte” da cui emerge che tutte le cose davvero atroci cominciano dall’innocenza ed il confronto con l’ultimo film di Matteo Garrone “Io Capitano”, la cui visione, forse, ha fatto poco apprezzare il racconto.

Sono stati citati:

Garcia Markez  “La Somala

Stefano Massini “Eichmann. Dove inizia la notte

Hanna Arent “La banalità del male

Matteo Garrone. Film “Io Capitano

Federico Cornacchia. Regista del film/cortometraggio – Fuori Essenza –

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alle ore 17:30

nella sede di Via Istria n.6

L’ADIRT incontra, FEDERICO  CORNACCHIA, giovane regista altamurano.

Dopo la maturità al Liceo classico “Cagnazzi” di Altamura, Federico emigra a Milano dove si specializza in tecnica della fotografia. Successivamente laureato presso l’Accademia di Belle Arti a Londra (University for the creative Arts/Farnham, sezione cinematografia) è vincitore di numerosi premi a festival nazionali ed internazionali.

Il regista, videomaker e Autore del film/cortometraggio “Fuori Essenza” che verrà proiettato presso la sede dell’Adirt, presenterà “L’Emigrante itinerante. La storia di chi fugge per ritrovarsi”.

Il film (La Pine Film Production), produzione indipendente che esplora il tema dell’emigrazione e dell’identità, sarà introdotto da Pio Meledandri.

La Biblioteca Gaetano Ricchetti

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l’ADIRT visita la Biblioteca Ricchetti, via Sparano n.145.

Ci accompagnerà la direttrice, dottoressa Daniela Raimondo.

APPUNTAMENTO alle 17:15 all’ingresso della Biblioteca.

-Le impavide del Sud- di Riccardo Riccardi

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ore 17:30

nella sede di via Istria, n. 6

l’Adirt, incontra Riccardo Riccardi, giornalista e scrittore, Autore del saggio “Le impavide del Sud. Donne che hanno cambiato la storia del Mezzogiorno“, Ed. Les Flaneurs.

Una sequenza di figure femminili che hanno prevalso distinguendosi in cultura, determinazione, coraggio in particolari periodi storici a loro avversi, imponendo il loro pensiero politico e professionale, emotivo individuale, contro ogni forma di limitazione e discriminazione. Rivoluzionarie, irriducibili, coraggiose, caparbie, anticonformiste …

Dialogherà con l’Autore la scrittrice Amalia Mancini.

Vi aspettiamo.

Figli della favola, di Fernando Aramburu

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27 Febbraio 2024

Fernando Aramburu, “Figli della favola”, traduzione di Bruno Arpaia, Guanda, 2023

proposto da Elisa Cataldi

Di Elisa Cataldi

La storia di due giovani baschi, Asier e Joseba, che, ventenni, vengono mandati dall’ETA in una fattoria francese, in cui si allevano galline, ad addestrarsi alla lotta armata. Lì però vengono dimenticati anche quando dall’ottobre 2011 l’ETA viene definitivamente sciolta. Si snocciola quindi la narrazione esilarante e grottesca dei due “apprendisti terroristi” che, senza armi, senza soldi, mangiando sempre solo galline, sporchi ed affamati, senza conoscere una parola di francese, si ostinano a progettare attentati, ad inventare nuovi commandi armati, abbassandosi a tutti gli espedienti possibili pur di procurarsi denaro, cibo e, possibilmente, anche armi. Una lotta impari fra gli ideali e la nostalgia di casa e delle sue comodità.

La scrittura di Aramburu, la conosciamo è godibilissima, ma il romanzo che a prima vista appare comico, quasi picaresco, lascia alla fine una profonda amarezza non solo per la conclusione drammatica quanto, soprattutto per il ritratto desolante di questi due giovani, due amici alla disperata ricerca di un ideale da seguire, nel vuoto ideologico e affettivo che li circonda. Una gioventù senza prospettive, alla ricerca di un’appartenenza. Convinzioni elevate (gioventù, energia, fede) a fronte di una motivazione inesistente. Due incoscienti, illusi e patetici, inconsapevoli della portata delle proprie azioni (per fortuna solo progettate e mai realizzate), privi di valori e di cultura.

L’autore sottolinea impietosamente la povertà intellettuale dei due (la strage dei congiuntivi !!!), suggerendo a cosa avrebbero dovuto dedicarsi piuttosto che bighellonare per fantomatiche lotte armate!! Le tematiche sono le stesse dell’indimenticabile “Patria”: la lotta armata, i giovani, perfino la pioggia incessante. Qui però il tenore non è più drammatico, bensì satirico e canzonatorio. Lo scrittore prende in giro il terrorismo e chi lo pratica, l’ideologia fanatica e violenta che legittima il crimine. Descrive il male come frutto di stupidità.

Dall’ottobre 2011 l’ETA , in quanto lotta armata è finita. Da quel momento si è imparato (speriamo definitivamente) che i conflitti sociali si risolvono nelle sedi istituzionali, non per le strade a colpi di arma da fuoco! E nello stesso tempo, Aramburu ha un profondo rispetto delle vittime. In un’intervista che lo scrittore ha rilasciato al giornale “La Repubblica” nel luglio 2023, in occasione della “Rassegna del libro possibile” tenutasi a Polignano (BA), Aramburu afferma che non avrebbe mai potuto usare questi toni comici e irriverenti se l’ETA non fosse finita e se i due protagonisti della storia in effetti, non avessero commesso alcun crimine. Nella stessa occasione, interrogato circa la sua opinione sulle responsabilità degli adulti nello smarrimento dei giovani, afferma che i giovani meritano affetto e rispetto. Non hanno colpa del mondo che gli abbiamo lasciato, inquinato, consumista e corrotto. “… li educhiamo male e poi biasimiamo la loro cattiva educazione. Forse sarebbe preferibile lasciare loro un esempio migliore !!!”.

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Breve nota a cura di Rosa Giusti, dopo l’incontro del gruppo di lettura

Sono subito emerse perplessità riguardo al valore di questo romanzo uscito subito dopo il – Patria – dello stesso autore, che ci aveva conquistate tutte. Alcune ne hanno apprezzato la prosa picaresca, ironica e scanzonata con cui vengono descritti i  due protagonisti ventenni baschi, scalpitanti in attesa di entrare a fare parte armata dell’ETA e decisi a lottare da soli quando l’ETA si scioglie. Richiami  per libere associazioni sono stati fatti a “Don Chisciotte e Sancho Panza”, all’”Armata Brancaleone”, a “Stanlio e Ollio”, e ancora al “Deserto dei Tartari” e ad “Aspettando  Godot”.  Elogi all’Autore per essere riuscito a far ridere sulle attività dell’ETA, senza tuttavia riuscire a produrre una satira graffiante.  E’ prevalso comunque il giudizio negativo su un’opera, si è detto, debole nella trama e perciò ripetitiva e noiosa, tale da  addormentare addirittura! Il confronto con “Patria” ha sicuramente nociuto ad Aramburu e se pure la sua “mission” (dichiarata apertamente da lui in alcune interviste) di contrastare l’ETA attraverso la  scrittura è stata da tutte apprezzata in generale, non si è potuto fare a meno di rilevare che nello specifico di “Figli della favola”, la forma letteraria del romanzo non è apparsa appropriata. L’opera tradisce l’evidente intento dell’Autore e ciò, artisticamente, ha costituito un limite.                                                               Nel il resto dell’incontro, il gruppo si è soffermato sull’analisi  dei protagonisti, emblema di un tipo di gioventù che, a tutte le latitudini,  si lascia facilmente adescare da organizzazioni mirate alla realizzazione di fini criminosi di varia natura, usando gli strumenti della violenza e del terrorismo e quindi uccidendo persone innocenti e inermi.  Aramburu  descrive i suoi terroristi in erba, non a caso, come persone ignoranti, prive di senso morale e di senso critico, per niente intelligenti.  Due ragazzi che non hanno prospettive di vita, non hanno legami affettivi saldi e, come bambini attratti dalle armi, vogliono “giocare alla guerra”, costi quel che costi, per  “salvare la patria”;  sostanzialmente per rifugiarsi in una struttura ed acquisire così un’ identità, per giunta, “eroica”.

Considerazioni personali, legate alla propria giovinezza e all’attualità,  hanno “riscaldato” la nostra discussione.  Ne è scaturito infine un senso di amarezza verso quella percentuale di giovani che, come i due eroi mancati di Aramburu, non ha scrupoli  nei confronti delle vittime, ma è in realtà vittima a sua volta e il sogno eroico si rivela un fallimento, come si evince dalla conclusione del romanzo.  La responsabilità degli adulti nei confronti di questi giovani “persi”  è il sottinteso non scritto. Dal romanzo letto, con più o meno diletto, sono quindi derivate interessanti riflessioni.                        

La Cittadinanza (quasi) attiva. Con le Autrici

Attività 2023-2024 Nessun Commento »

ore 17:30

nella Sede dell’Adirt, via Istria n.6

si terrà la presentazione del libro: “La cittadinanza (quasi) attiva”, Edizioni Les Flaneurs.

Michele Cecere dialogherà con  le Autrici, Elda Perlino e Lucia Schinzano.

Vi aspettiamo.

Lucia Aprile

Vito Alfieri Fontana. Ero l’Uomo della Guerra

Attività 2023-2024, Attività Adirt Nessun Commento »

ore 17:30

nella nostra sede in via Istria n.6

Un percorso lungo e faticoso, un peso insopportabile esploso come una mina dilagante, lacera la coscienza  dell’Autore  di questo  libro,

Vito Alfieri Fontana, una deflagrazione che porterà a scelte importanti che ne rivoluzioneranno l’esistenza costringendolo a una nuova vita.

ERO L’UOMO DELLA GUERRA, scritto in collaborazione con Antonio Sanfrancesco, edizioni Laterza.

Se ne discuterà Sabato 17 febbraio alle 17.30 presso l ‘ADIRT.

Dialoghera’ con l’Autore la scrittrice Amalia Mancini.

Ingresso libero. 

“Da BARÌ a PARÌ”, con P. Moliterni. Vita e opere di Niccolò Piccinni

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Pierfranco Moliterni, già docente di Storia della Musica alla UniBA e membro ordinario dell’Accademia Pugliese delle Scienze, ci condurrà da “Da BARÌ a PARÌ” attraverso la vita e le opere di Niccolò Piccinni con immagini e musica

Ingresso libero.

Lucia Aprile

Niccolò Piccinni. Scheda biografica

Piccinni Vito Niccolò Marcello Antonio Giacomo nacque a Bari il 16 gennaio del 1728. Studiò a Napoli con Leonardo Leo e Francesco Durante presso il Conservatorio di Sant’Onofrio; fu grato all’arcivescovo di Bari, Muzio Gaeta, che provvide a pagare i suoi studi nel Conservatorio napoletano in quanto il padre (Onofrio), sebbene fosse anch’egli un musicista, si era opposto a che suo figlio seguisse la stessa carriera. La prima opera, “Le donne dispettose“, risale al 1755; nel 1760 PICCINNI compone  a Roma il suo capolavoro giovanile, “La Cecchina/La buona figliuola“, un’opera comica ‘larmoyante’ su libretto di Carlo Goldoni, opera che ebbe sempre molto successo in tutta Europa. Sedici anni dopo, nel 1776, Piccinni fu invitato alla corte della regina Maria Antonietta a Parigi, ove fu anche iniziato alla Massoneria nella Loggia delle Nove Sorelle. Nel 1756 si era sposato a Napoli con Vincenza Sibilla, una cantante di appena 14 anni, alla quale Piccinni non permise mai più di andare in scena dopo il matrimonio. Tutti i suoi lavori parigini ebbero discreto successo tanto che i direttori della Grand-Opéra gli opposero deliberatamente Christoph Willibald Gluck col persuadere i due compositori a trattare contemporaneamente lo stesso soggetto – la “Iphigénie en Tauride” . Il pubblico parigino si divise in due fazioni tra Gluckisti e Piccinnisti e nacque la Querelle Celebre. La Iphigénie di Gluck fu rappresentata nel maggio 1779, mentre la Iphigénie di Piccinni giunse in teatro due anni dopo nel 1781 e sebbene venisse ripetuta per 17 volte, scomparve ben presto dai palcoscenici parigini. Nel 1784  Piccinni diventò professore all’Académie Royale de Musique, fondamentale istituzione didattica dalla quale poi scaturì il Conservatoire fondato da Sarrette nel 1794: la Musica così diventava appannaggio di tutte le classi sociali!   . 

Allo scoppio della Rivoluzione francese del 1789, Piccinni tornò a Napoli dove fu dapprima ben accolto da re Ferdinando IV, ma in seguito, causa il matrimonio di una sua figlia con un democratico francese (tal Pradez Pastreau), fu condannato al completo oblìo dei palcoscenici napoletani. Nei successivi nove anni egli condusse una esistenza precaria tra Venezia, Napoli e Roma; nel 1798 riuscì tuttavia a tornare a Parigi dove il pubblico lo ricevette con entusiasmo ma non così tanto da poter vivere con dignità, nonostante Napoleone Bonaparte (patito della musica italiana di Paisiello…) volle assegnargli una pensione statale.  Piccinni morì presso Parigi, a Passy, nei primi mesi del 1800 e fu sepolto in terra consacrata nel cimitero locale; durante i bombardamenti nella seconda guerra mondiale le sue spoglie andarono perdute.

A lui è stato intitolato il Teatro cittadino su uno dei corsi principali di Bari; tale Teatro, i cui lavori iniziati nel 1836 terminarono solo nel 1854, nelle intenzioni degli ossequiosi amministratori locali avrebbe dovuto essere intitolato alla regina di Napoli, Maria Teresa d’Asburgo-Teschen, moglie di Ferdinando II di Borbone. Allo sdegnato rifiuto della sovrana, la scelta della Delegazione Teatrale Cittadina cadde (quale “ripiego”) su  Niccolò Piccinni, il quale all’epoca era ancora inviso agli ambienti filoborbonici.

Non siamo nati per leggere – Incontro con Lucia Schiralli

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ore 17:30   

incontro Adirt, nella nostra Sede in Via Istria n.6


“Non siamo nati per leggere”

L’invenzione della scrittura e quindi della lettura ha portato a una parziale riorganizzazione del nostro cervello che, a sua volta, ha allargato i confini del nostro modo di pensare, mutando l’evoluzione intellettuale della nostra specie.
Sarà con noi Lucia Schiralli, docente di italiano, a presentare il Tema e a discuterne con il nostro Gruppo di lettura “LeggerMente”  “e con Soci e Simpatizzanti.

Lucia Aprile

Mostra fotografica. Giacomo Pepe

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Colonnato del Palazzo della Città metropolitana

(Via Spalato)

Dentro gli spazi. L’ex Manifattura Tabacchi di Bari “. 36 scatti di Giacomo Pepe.

La mostra è a cura di Michele Carnimeo che sarà la nostra guida. Così Pio Meledandri dell’associazione Artiemiele che ha dato il patrocinio.

Le foto di Giacomo Pepe non sono quelle dell’esploratore urbano, ma quelle sognanti del ‘flâneur” ” Le immagini sono impregnate di nostalgia di un tempo passato, di luoghi animati dall’operositá delle ‘tabacchine” “È il tempo che scorre. Giacomo Pepe sa dove cercare le sue immagini “.

da Lucia Aprile

Incontro con l’Associazione Fotografi Naturalisti Italiani

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incontro con la sezione pugliese dell’ “AFNI – Associazione fotografi naturalisti italiani”

Nel corso della serata il coordinatore, Fabrizio Cillo con altri Autori, presenteranno il loro libro “Il colore degli Dei”, con video proiezione delle fotografie più belle.

Vi aspettiamo

Lucia

Festa del Tesseramento 2023

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l’ADIRT invita Soci e Amici all’annuale Festa del Tesseramento. Ospite della serata sarà Chiara Liuzzi, musicista, cantante e docente di Canto Jazz presso il Conservatorio “Tito Schipa” di Lecce.

La nostra Ospite condividerà un progetto di ricerca sulle “Ninna Nanne”, veri e propri canti d’amore, risalenti a tempi molto lontani, trasmesse da una generazione ad un’altra.

Un rituale a conferma di come la vicinanza fisico-affettiva attraverso il canto favorisca la calma, la rassicurazione e la fiducia nel risveglio.

E’ ciò di cui abbiamo tutte e tutti bisogno!

Lucia

Comunicato. Novembre 2023

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COMUNICATO

NOVEMBRE 2023

  • MARTEDI 7 novembre,  ore 18:00. In Sede

Un Giallo contemporaneo con un rilevante fondale storico
 “Lo strano delitto delle sorelle Bedin”  di Chicca Maralfa. Conl’Autrice

  • MARTEDI 14 novembre,  ore 17:30. In Sede

 “C’era una volta la città. Una storia di cui siamo spesso inconsapevoli protagonisti”

Con Giandomenico Amendola

  • MARTEDI 21 novembre,  ore 17:30. In Sede

LeggerMente: gruppo di lettura

  • VENERDI 17 novembre, ore 17:30. In Sede

ASSEMBLEA ORDINARIA dei Soci per discutere e deliberare sul seguente O.D.G.:

– Bilancio 2022 : relazione della Presidente e del Collegio sindacale sul Bilancio d’Esercizio chiuso al 31/12/2022. lettura e approvazione del Bilancio.

Hanno diritto di voto i Soci in regola con il pagamento della quota sociale per l’anno 2022. Per statuto, ciascun Socio può rappresentare, con delega scritta, fino ad un massimo di tre Soci.

– Proposte di candidature per il Rinnovo degli organi di governo della nostra Associazione

-Varie ed eventuali

  • MARTEDI 28 novembre, ore 17:30. In Sede

“Maria: la Fanciulla, la Madre, la Regina”
Un percorso iconografico sulla figura di Maria di Nazaret. Con Nicola Montuori

  • 30 Dicembre 2023 – 3 Gennaio 2024 E’ in preparazione il Viaggio: “La Rimini di Fellini, la Valmarecchia di Tonino Guerra. Il regista che ha incantato il mondo e  la straordinaria fantasia poetica di chi lo ha affiancato in tanti film.

E’ importante, per motivi organizzativi, conoscere se vi è interesse e disponibilità a questo nostro “Andare”.

Informazioni e prenotazioni telefoniche:

339.4029450     338.6092628       338.4639612

Associazione Difesa Insediamenti Rupestri e Territorio Via Istria 6  Bari 70121  
info@adirt.it   www.adirt.it

L’Adirt a Santa Candida

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Sabato 28 ottobre, ore 10:30 

nella Chiesa rupestre di Santa Candida, si inaugura la Collettiva d’Arte  “I Santi ritrovati”.

Santa Candida  è stato uno dei luoghi oggetto di conoscenza e difesa dei primi anni dell’Adirt che aderisce con piacere all’invito dell’Archeoclub che ne cura da tempo il luogo.

Ci ritroviamo pertanto alle 10:00 su via Giulio Petroni, presso la Chiesa di Don Guanella per poi dirigerci subito dopo a destra su Viale Generale Dalla Chiesa che va percorso tutto fino a un parcheggio auto. Da qui, a piedi, ci dirigeremo verso Santa Candida.

Lucia

Viaggio sul Gargano. 16-17-18 giugno 2023

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GARGANO

16-17-18 giugno  2023

VENERDI 16  giugno

  • Rignano Garganico     

Museo multimediale Paglicci: reperti originali della Grotta Paglicci, un giacimento risalente al Paleolitico ricco di graffiti, unico nel panorama italiano.

Il  centro storico di Rignano

Pranzo libero

Pomeriggio: Santuario di San Matteo Apostolo sull’antica “Via Sacra Langobardorum “fondato sulle pendici del Monte Celano per accudire i pellegrini che dalla fine del sec. V salivano al Gargano diretti alla Grotta dell’Arcangelo Michele a Monte Sant’Angelo

Cena e pernottamento in hotel

SABATO 17  giugno

Dopo la prima colazione saremo alle Cave di Apricena con lo scultore Francesco Granito

Pranzo libero

Pomeriggio: Convento Santuario Santa Maria di Stignano   

  • San Marco in Lamis

Cena e pernottamento in hotel

DOMENICA 18 giugno

  • Lago di Lesina

in barca per ammirare la bellezza della laguna, un habitat eccezionale per flora e fauna.Il Borgo.

Pranzo.

Nel pomeriggio ritorno a Bari

VISITA al restaurato Mercato del pesce

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15 maggio 2023

A Socie e Soci,

le  associazioni ADIRT e  MAR di LEVANTE hanno ottenuto dal Comune di Bari la possibilità di visitare

SABATO 27 maggio 2023

il restaurato Mercato del pesce in piazza del Ferrarese.

Attualmente l’edificio non è ancora aperto al pubblico quindi l’occasione è davvero imperdibile.

La visita sarà guidata da Giuseppina Caliandro, Maria Franchini e Francesca Radina che, a diverso titolo ed con altri tecnici del Ministero della Cultura e maestranze qualificate, si sono occupate della restituzione del monumento alla città.

La visita solo per i Soci dura circa 45 minuti ed inizierà intorno alle ore 10:00.

Sarà assolutamente gratuita, ma bisognerà prenotarsi perchè in base alle adesioni valuteremo se prevedere più turni di ingresso.

In prossimità della visita poi vi comunicheremo l’ora precisa di ingresso ed il punto di ritrovo.

Potrete prenotarvi rispondendo con un Whatsapp al 339.4029450 oppure alla mia mail luciaaprile@alice.it

A presto.

Lucia

Diario di Viaggio a Monopoli ed Egnazia

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Diario di viaggioAdirt 2023

Tesori di archeologia e arte nei musei di MONOPOLI

“Egnazia e il mare”nel Museo Archeologico di EGNAZIA

Sabato 4 Marzo 2023

A cura di Angela Mengano

Iniziamo la scoperta delle bellezze storico-artistiche di Monopoli dal Museo Diocesano, attualmente diretto dalla dottoressa Miranda Carrieri, amica illustre della nostra associazione, archeologa che vanta nel suo curriculum la direzione di aree archeologiche tra le più significative della nostra regione come Egnazia e Canne della Battaglia.

Nelle ampie sale del pianterreno e del primo piano sono in mostra oggetti liturgici in argento, antifonari del ‘500 (da notare gli “spartiti” su tetragramma, predecessore del pentagramma);  i sigilli del vescovo Giamporcaro, un cognome presente nella mia giovinezza; opere di Finoglio, Fracanzano e altri nella sala della pittura napoletana; nella sala della pittura veneta, un’opera di Francesco Vecellio,  fratello del più noto Tiziano e il “San Girolamo nello studio e donatore”, capolavoro di Lazzaro Bastiani: alla fine del percorso museale  un piccolo rotolo pergamenato recante notizie sull’opera ci verrà offerto in omaggio da Miranda Carrieri. Infine, la biblioteca settecentesca del vescovo Pedicini che conserva rari volumi stampati tra il ‘500 e l’800  (e qui ho notato, tra gli altri, alcuni volumi con la dicitura Un tesoro di Verità – Dalena, un vescovo antenato della mia amica Mariella). Non abbiamo potuto ammirare, invece,  la preziosa stauroteca in argento dorato e smalti cloisonnè del X secolo,  ancora in prestito al museo Reiss-Engelhorn di  Mannheim per la mostra “I Normanni – una storia di mobilità conquista innovazione” . Oltre alla stauroteca di Monopoli, leggo sul sito della mostra che da Bari, e precisamente dal museo della Basilica di San Nicola, é anche partito un altro prezioso pezzo, la corona votiva di Ruggero II del XII secolo.   

Nell’intervallo tra le due parti della visita (museo diocesano e museo di Romualdo) diamo un’occhiata alla Cattedrale, che molti di noi già conoscono. Vale la pena però di soffermarsi  almeno  nella scenografica Cappella sopraelevata della Madonna della Madia, * trionfo del barocco napoletano (come tutta la chiesa del resto).  Ai due lati dell’icona bizantina della Madonna con Bambino, giunta dal mare a bordo di una zattera di tronchi robusti, stanno le due statue di San Michele e San Giuseppe con Gesù bambino, opera di Michele Sammartino, lo stesso scultore del Cristo velato della cappella Sansevero a Napoli.

Nel Museo di Romualdo, ubicato nel Soccorpo della Cattedrale,  emerge una straordinaria stratificazione di secoli, effetto di scavi più o meno recenti che, al di sotto della chiesa settecentesca, hanno riportato alla luce  la chiesa romanica fatta costruire dal vescovo Romualdo su tombe di epoca altomedievale ellenistica e messapica, risalendo sino all’età del bronzo (cui sono riferibili le buche circolari da palo per reggere le capanne). Qua e là si possono ammirare splendidi reperti, primo fra tutti la stupenda architrave romanica suddivisa in cinque sezioni narranti la vita di Cristo (Profezia Deposizione Resurrezione Anastasi Peccato).  Interessante notare, tra l’altro, i soldati romani vestiti come normanni, un esempio di trasposizione temporale nell’ opera d’ arte, un po’  come oggi spesso si incontra  nelle regie teatrali d’opera.  Nelle teche una sfilata di oggetti sacri pregiati e di grande bellezza;  la collezione privata Brigida con  materiale di scavo dal settimo al secondo secolo a.C.; i manichini da rivestire per le immagini sacre durante le rituali processioni.

In anteprima, grazie alla cortesia di Miranda Carrieri, possiamo anche ammirare un complesso di reliquiari – dalla collezione privata Anselmo Camicia – non ancora catalogati ma già pronti per l’ esposizione al pubblico. Infine la cappella della Confraternita del Santissimo Sacramento,  predisposta quale sepolcreto per ospitare defunti,  ma mai utilizzata  a causa delle leggi napoleoniche.

Dopo il gradevolissimo pranzo  in collina al ristorante “La mia Terra”, il pomeriggio é dedicato al Museo Archeologico di Egnazia, intitolato a Giuseppe Andreassi, e in particolare la nuova sezione Egnazia e il Mare nell’ allestimento del talentuoso milanese Studio Azzurro, che attraverso l’uso dei nuovi linguaggi tecnologici ci dà la sensazione di una immersione totale in ambiente subacqueo. 

La visita é anche occasione per riammirare gli strepitosi reperti custoditi nel museo e molto ben presentati e illustrati. Meritano una menzione speciale tra gli altri l’anello in oro, forse appartenuto a un pellegrino, col castone a forma di tempietto richiamante il Santo Sepolcro di Gerusalemme; un piccolo gruppo scultoreo in terracotta raffigurante la scena di un banchetto, rinvenuto all’esterno di una tomba messapica; la testa di Attis in marmo bianco (II secolo d.C.); un mosaico con le Tre Grazie del IV sec. d.C.  Nelle fondazioni del museo è inoltre inglobata una tomba a camera messapica del IV sec. a.C., la cosiddetta Tomba delle Melagrane, con tracce di pittura policroma che mostrano i beneauguranti frutti del melograno.

madia non vuol dire – come si potrebbe facilmente immaginare – dispensa;  ma sembra derivare dallo spagnolo “almadìa” che vuol dire “insieme di legni,  zattera”.

Programma Adirt MAGGIO 2023

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Programma Maggio 2023

  • DOMENICA 14 Maggio, ore 10:30

Pinacoteca Metropolitana Corrado Giaquinto, Lungomare N. Sauro, IV piano
Parole Nomadi”, mostra di Agnese Purgatorio.
L’artista, che sarà peraltro la nostra guida, racconta con un linguaggio  contemporaneo e  con grande delicatezza il ruolo delle donne nella società, la marginalità degli ultimi, i conflitti sociali, i migranti e le guerre.

  • VENERDI 19 Maggio, ore 17:30

nella nostra sede, in via Istria n.6
“Richard Wagner. Il genio, il mito, il dramma.”
Con Adele Boghetic, scrittrice, musicologa e germanista.

  • VENERDI 26 Maggioore 17:30

nella nostra sede in via Istria n.6
“Controra”, il libro di Katia Ricci ambientato a Rignano Garganico: una storia personale e collettiva.
Con l’Autrice

Comunicato Adirt del 13 maggio 2023

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L’Adirt organizza

Andare per  Botteghe e Studi d’arte  

nel Quartiere Madonnella

Appuntamento alle ore 10:00 di Sabato 13 Maggio, presso la Sede Adirt, in Via Istria n.6.

Visiteremo:  

  • in via Arcivescovo Vaccaro n. 20, la Bottega di Ino Conserva, matematico e pittore per passione, una passione  fortemente sentita ed esplicitata in special modo nella forma del ritratto.
  • in via Dalmazia n. 31, lo Studio d’arte di  Francesco Granito di Apricena che realizza con la pietra della sua terra sculture che hanno la leggerezza di un velo. Uno scontro-incontro tra forza di gravità della Terra e la forza creativa dell’Arte.

Diario di Viaggio a Napoli

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Diario di viaggio.

NAPOLI

10 – 11 – 12 MARZO 2023

A cura di Angela Mengano

VENERDI 10 marzo 2023

Se finalmente  torniamo a Napoli lo dobbiamo a Lucia che in questi tre anni di stallo, causa Covid 19, non ha mai smesso di dialogare con i partner napoletani (albergo, guide etc) a suo tempo contattati. Il programma é stato ritoccato, alcune mostre nel frattempo sono andate perse, sostituite però  con bellissime stimolanti nuove proposte, e ritroviamo persino cambiato il nome dell’albergo che da Mediterraneo tout court è diventato Renaissance Mediterraneo.       

Il benvenuto ce lo dà la pioggia, ma dura poco: all’ uscita dalla mostra di Artemisia, tornerà il sereno.

Appuntamento in hotel con le due guide, Maria e Antonella, che subito ci dividono in due gruppi. La mostra Artemisia Gentileschi a Napoli” é a palazzo Piacentini a via Toledo, sede delle Gallerie d’Italia ed ex Banco di Napoli. Io sono nel gruppo di Maria: vivace, preparata, napoletana verace;  le sue spiegazioni sono spesso intercalate da colorite espressioni napoletane.

La Gentileschi visse a Napoli tra il il 1630 e il 1654. Per questo giustamente si è voluto dedicare alla pittrice questa grande mostra nella città dove visse a lungo e morì. Alle 21 sue opere  esposte fanno da contraltare le tele degli artisti contemporanei attivi in città (in primo luogo Stanzione, Cavallino e Finoglio) e questo rende bene il contesto artistico partenopeo dell’epoca. Tra loro anche una donna, Annella De Rosa (presente in mostra con Il ratto d’Europa) con cui la Gentileschi entra in contatto nei suoi anni napoletani.

Molti i soggetti femminili ritratti nelle opere in mostra, dalle sante alle eroine dell’Antico Testamento e del mito; notevole la tela del San Gennaro che ammansisce le belve, parte di un ciclo dipinto per la cattedrale di Pozzuoli. Emerge una potente sensibilità femminile che l’epoca in cui visse e le difficoltà affrontate per imporsi fanno ancor più risaltare.  Questa mostra fa emergere in modo molto evidente  la statura artistica di Artemisia, finora forse nota soprattutto per le dolorose vicende della sua vita.

Nella Galleria Umberto, dove ancora  resistono le reminiscenze dei fasti di un vecchio café chantant, il salone Margherita, una targa commemorativa del comune di Napoli rende omaggio alla scrittrice e giornalista Matilde Serao.

Costeggiando il teatro San Carlo, ancora chiuso per restauri,  e dopo una breve sosta allo storico Caffé Gambrinus visitiamo palazzo Zapata, sede del MUSAP (Museo Artistico Politecnico), creato dalla Fondazione Circolo Artistico Politecnico Onlus, testimonianza della vita artistica e letteraria napoletana dall’ Ottocento ad oggi, con sale fastosamente arredate (una di queste dedicata a Matilde Serao) e una ricca collezione di opere d’arte, dipinti e sculture, documenti fotografici, oggetti.

 Tempo libero fino alla cena, servita nel ristorante dell’albergo e accolta con apprezzamento unanime con menzione speciale per il branzino all’acqua pazza.

SABATO 11 marzo 2023

Prima colazione sulla terrazza panoramica, tra casatielli, sfogliatelle e l’imperdibile spettacolo del Golfo ai nostri piedi. Alla fine  mi metto al pianoforte e strimpello due canzoni rigorosamente napoletane, Santa Lucia luntana e Reginella, le prime che mi vengono in mente.  Puntuali, le due giovani guide vengono a prenderci in albergo. Il giro di oggi parte da via Foria, davanti a Porta San Gennaro, affrescata da Mattia Preti, partenza naturale per la visita al Rione Sanità, posta com’è di fronte al borgo delle Vergini. E qui ci viene svelata l’origine della denominazione “Sanità”, apparentata con “santità”, evocazione di salubrità dell’aria per la vicinanza alla collina di Capodimonte e luogo di sepoltura con presenza di catacombe. Finalmente alla Sanità,  mitico quartiere dove ai tempi dei miei studi universitari ma anche fino a non molto tempo fa non si osava entrare. Oggi, con il progetto San Gennaro Extramoenia e con il restauro di importanti monumenti come le catacombe di San Gennaro, San Gaudioso e San Severo e con il contributo determinante di persone come don Antonio Loffredo, parroco  della Basilica di Santa Maria alla  Sanità, si é messo in moto un circuito virtuoso che ha coinvolto i giovani del quartiere creando occasioni lavorative e di riscatto sociale.  Il quartiere accoglie con la sua vivacità travolgente e lascia un’impronta indimenticabile in chi lo visita: il mercato dei Vergini con i limoni che fecero innamorare Goethe e i pesciolini che guizzano nelle vasche; la lava dei Vergini che invase le strade di pietre e fango; il palazzo dello Spagnolo,

set di tanti film,  con il progetto di un museo dedicato a Totò, nato nel quartiere;  il palazzo Sanfelice, reso popolare  dalla fiction di RAI Uno Mina Settembre…finchè siamo nel cuore del rione Sanità, nella piazza dove  si fronteggiano da un lato la chiesa di Santa Maria alla Sanità (anche detta San Vincenzo alla Sanità) e dall’altro i murales  di Tono Cruz (Luce, Totò e Peppino dalla scena de La Banda degli Onesti).  Li ammiriamo,  mentre aspettiamo di poter entrare in chiesa dopo l’uscita di un  funerale.  Ci attendono, per la visita guidata, i ragazzi della Cooperativa La Paranza: ci ringraziano perchè con la nostra visita abbiamo loro consentito un incremento dei soci.  La cooperativa gestisce, oltre alla visita delle catacombe, una serie di altre attività tra cui una casa editrice (tra le ultime uscite “Vico esclamativo” di Chiara Nocchetti, edizioni San Gennaro, che racconta 24 storie di cambiamento) e un B&B, “La casa del Monacone” in via Sanità 124, restaurata da Riccardo Dalisi, figura chiave dell’arte dell’architettura del design, recentemente scomparso. Ma nel rione é stata anche creata un’orchestra giovanile, Sanitansamble, sul modello didattico del progetto Abreu nato in Venezuela da un’idea di Claudio Abbado. All’interno della chiesa cinquecentesca  é inglobata la chiesa paleocristiana, scendiamo  nei sotterranei per visitare le catacombe di san Gaudioso (santo africano e patrono del rione Sanità) che  rispecchiano il particolare rapporto della gente di Napoli con il mondo dell’aldilà.  Nella “galleria” degli “scheletri” ci viene indicato quello che si dice abbia dato a Totò ispirazione per comporre ‘A Livella”

(..Cca’ dinto, ‘o vuuo capì ca simmo eguale?…)

Completiamo la visita in sacrestia con  il monumentale bel “Presepe Favoloso”, opera della bottega La Scarabattola dei fratelli Scuotto, definiti dal maestro De Simone “dioscuri in jeans”: ci giriamo intorno perchè attorno alla Natività ospita in tutti i quattro lati una miriade di pupi e pastori anche ispirati all’attualità.

Dopo la pausa pranzo, rimanendo nel centro storico andiamo a visitare il complesso di Donnaregina Nuova e Vecchia, con le due chiese gotica e barocca. Il gotico di Donnaregina è tra i primi esempi dell’epoca: splendido il sepolcro di Maria d’Ungheria di Tino da Camaino con la sfilata di piccole statue dei figli della regina; il coro delle Clarisse e la cappella Loffredo con affreschi trecenteschi attribuiti alla scuola di Giotto e del Cavallini; la chiesa barocca, sconsacrata, ospita il Museo Diocesano con una galleria di magnifiche opere d’arte tra cui il San Zosimo di Antonello da Messina, in prestito da Siracusa. 

Relax in albergo, tranne per chi  non rinunzia a fare un ultimo giro per Napoli.

La cena del sabato sera, molto affollata, alla trattoria Medina, poco distante dall’albergo, ci offre una buona varietà di cibi sfiziosi di verace napoletanità. L’atmosfera é chiassosa e vivace; forse riflette l’euforia di una città che, rivivendo il mito di Maradona, santo protettore della città con San Gennaro, pregusta la conquista dello scudetto per la squadra del cuore.

DOMENICA 12 marzo 2023

Una scoperta straordinaria  e non programmata, per la necessità di modificare il programma delle giornate napoletane a causa dello spostamento della mostra di Capodimonte sui pittori spagnoli a Napoli: l’ex Ospedale di Santa Maria della Pace, con cui completiamo la visita di qualche anno fa  alla  Farmacia Storica degli Incurabili, entrambi parte integrante del Museo delle Arti Sanitarie.

Scendiamo dal  pullman  nei pressi di porta Capuana e di là, a breve distanza, saliamo lo scalone del  palazzo nobiliare donato dalla regina Giovanna al suo amante Sergianni Caracciolo, tramutato poi in ospedale dall’ordine ospedaliero spagnolo-portoghese di San Giovanni di Dio. La fortuna ci offre  una guida di eccezione per la visita  della sala del Lazzaretto, riaperta da poco al pubblico, il professor Gennaro Rispoli, chirurgo, ispiratore e direttore del Museo delle Arti Sanitarie. Con l’aiuto della  sua illustrazione colta e illuminante scopriamo il percorso espositivo della mostra “Pianeta Pandemia. Storie virali di contagi e rimedi “ (per augurare salute ai visitatori con lo spirito napoletano, sottolinea il prof. Rispoli). Pannelli, ricostruzione di ambienti (anche case di tolleranza con dovizia di particolari), oggetti e tanto altro, il tutto diviso in due sezioni (Storie di Epidemie e Storie di Vaccini). Un viaggio interessante nella storia della medicina e della ricerca scientifica. Straordinario é il contenitore, una sala immensa lunga quasi ottanta metri, con volta affrescata e raffigurazioni di Vergine e Santi; notevoli il ballatoio che corre lungo le pareti laterali e  che consentiva al personale di somministrare agli infettivi viveri e medicine tenendosene a debita distanza; la maschera dal lungo becco adunco che veniva indossata dai medici curanti, e che che conteneva erbe curative che si pensava filtrassero aria infetta; il presepe con pastori malati e medici in costumi  settecenteschi, e tanto altro. E qui Maria, la nostra guida, ci affascina con la sua bella voce impostata cantandoci un classico napoletano, “Era di maggio”. La visita prosegue, si arriva al Covid 19, che tanto brutalmente ha inciso nelle nostre vite: emerge, dalle parole del prof. Rispoli, una considerazione che non si può che condividere, sulla difficoltà costante, nel tempo, di gestire  le emergenze  attraverso la difficile e complessa cooperazione tra scienza medica e  autorità politica.

Nel nostro gruppo ci sono anche dei medici che intervengono scambiando col prof. Rispoli commenti e notizie sui comuni colleghi. Il direttore dell’Hotel-Dieu di Parigi, uno degli ospedali storici più antichi al mondo, tuttora in attività, è venuto a visitare la Sala del Lazzaretto rimanendone fortemente affascinato. In questo luogo così particolare é stata girata, per suggerimento del prof. Rispoli, la fiction “L’amore che guarisce” (protagonista Giuseppe Fiorello) dedicato alla vita di Giuseppe Moscati, il medico dei poveri proclamato santo. 

Dall’ex Ospedale della Pace a Santa Caterina a Formiello, ultima nostra meta partenopea. 

E’ un complesso ben articolato, con la chiesa rinascimental-barocca, l’antico lanificio ormai dismesso, unico esempio di archeologia industriale borbonica nella città rispetto a San Leucio, il chiostro rivitalizzato dalla fondazione Made in Cloister con mostre di arte contemporanea, ora con la mostra Composing Bioethical Choices dell’ucraino Aljoscha , una denuncia della guerra, realizzata nei primi mesi di conflitto con gli studenti delle scuole di Kiev.

Nel viaggio di ritorno sostiamo a Vallesaccarda, dove il grande  Minicuccio ha apparecchiato per noi la tavola del pranzo, ricca, varia e gustosa  come  sempre.    

L’Adirt incontra Anna D’Elia

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Venerdì  5 maggio 2023

ore 17.30 in via Istria 6

l’Adirt  incontra Anna D’Elia

che con il suo Saggio “Arte per il Pianeta“ (editore Meltemi 2023) prosegue la trilogia sulla cura iniziata con “Fotografia come Terapia” (2018) e  “Vederscorrere, l’arte che salva” (2021).
L’arte impegnata sul fronte della sostenibilità ambientale ripensa i corpi e le soggettività, i tempi, gli spazi, le connessioni tra specie vegetali e animali per affrontare le attuali criticità. 

Lo spettatore è sollecitato a vivere le opere come esperienze necessarie per sopravvivere nelle mutate condizioni planetarie.

Monteferraro: Un Bosco di Comunità tra Turi e Conversano.

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Venerdì  28 aprile 2023

ore 17.30

nella sede dell ‘Adirt in Via Istria n.6

“Monteferraro: un Bosco di Comunità

tra Turi e Conversano”

Gianni Signorile, esperto di etnobotanica  e profondo conoscitore di questi luoghi, racconterà il fragno, i peri selvatici, le orchidee e le essenze rare e, soprattutto, racconterà dell’acquisto del bosco condiviso, che ha visto coinvolte 350 persone di tutta Italia, alcune dall’India, dall’Egitto e dalla Francia.

Tino Sorino e Pierfranco Moliterni raccontano Nino Rota – Adirt 21 aprile 2023

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Venerdi 21 aprile,

alle ore 17.00, sede Adirt in via Istria n. 6

Nino Rota e Bari, attraverso il Racconto di Tino Sorino e Pierfranco Moliterni.
Tino Sorino nei suoi testi “In seicento o a spasso con Nino Rota” e “ Nell’intimità di Nino Rota. Curiosando ancora tra le carte di Prudenzina Giannelli” (NeP edizioni 2022), traccia una biografia intima di Nino Rota e dei suoi amici di Puglia.

Pierfranco Moliterni con il suo  “Nino Rota. L’ingenuo candore di un musicista” (Edizioni Radici Future  2020),  si sofferma sul musicista e sul suo stile “inattuale” rispetto alle avanguardie e ai novecentismi della musica contemporanea oltre che sul Direttore del Liceo Musicale e del Conservatorio di Bari.

Comunicato Adirt del 29 marzo 2023

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MARTEDI 4 aprile 2023, ore 17:30 

nella sede dell’Adirt, in via Istria n. 6, incontro con Fabio Galeandro, direttore del Museo e del Parco archeologico di Egnazia, su:

Antichi popoli di Puglia. L’archeologia racconta”,

un viaggio nel tempo lungo 900 anni, attraverso reperti archeologici mai esposti.

seguirà

GIOVEDI 6 aprile 2023

la visita guidata della “Mostra sugli antichi Popoli di Pugliapresso il Castello Svevo.

Appuntamento ore 09:45 presso la Biglietteria del Castello.

Per organizzare al meglio il tutto è importante conoscere il numero dei partecipanti alla visita guidata.

info: 339.4029450 – 338.6092628

Lucia Aprile

DanteDì all’Adirt

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Sabato 25 Marzo 2023

ore 17:30

Via Istria n. 6 Bari

Il 25 marzo è il DanteDì, la Giornata nazionale dedicata a Dante Alighieri.
La data è quella che gli studiosi riconoscono come inizio del viaggio nell’aldilà della Divina Commedia ed è l’occasione per ricordare in tutta Italia e nel mondo il genio di Dante con tante iniziative, anche on line, organizzate dalle scuole, dagli studenti e dalle istituzioni culturali.

Per il “DanteDí“, l’ADIRT invita Soci ed Amici, Sabato 25 marzo, presso la nuova sede in via Istria n.6, a condividere ad alta voce brevi letture, di Dante e su Dante, portate dai Partecipanti.

Sarà una bella occasione per riprendere i libri della Commedia da qualche mensola poco frequentata della libreria, per ricordare e scegliere i versi da leggere insieme nell’incontro di sabato, facendo rivivere alcuni versi nella lettura ad alta voce.

Antonio Pofi. Una Lettera da Gimma

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MARTEDI 21 Marzo, ore 17:30

Sede ADIRT, Via Istria, n. 6

Martedì 21 marzo alle ore 17:30,  l’Adirt nella nuova sede in Via Istria n. 6, presenta Una lettera da Gimma di Antonio Pofi. A cura di Gianni Pofi.

Un racconto autobiografico narrato con sincerità e semplicità. La storia di una vita travagliata e coinvolgente, da cui traspare il carattere tenace, la ricerca di realizzazione professionale, la volontà di riconoscimento sociale che ha sempre sostenuto l’Autore.

Ma nella narrazione si specchiano anche i grandi rivolgimenti politici, sociali e di costume avvenuti in Italia nel XX secolo, dalle miserie dell’arcaica società contadina del meridione alle illusioni del ventennio fascista e del colonialismo italiano, dalle resistenze alla modernità dei grandi latifondisti agli entusiasmi della ricostruzione post-bellica degli anni ’50 – ‘60

Risalta nel racconto una preziosa testimonianza su drammatici quanto quasi sconosciuti episodi di atroce violenza avvenuti tra prigionieri italiani in Kenya nel 1943-1944.

Michele Cecere dialogherà con Gianni Pofi. Letture di Lucia Aprile.

info.  339.4029450 – 338.6092628 

l’ADIRT a Napoli

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10 – 11 – 12 MARZO 2023

Il 9 marzo 2020 iniziava il lockdown. Ci siamo ritrovati chiusi in casa, la nostra vita “normale” spazzata via, i nostri viaggi di conoscenza svaniti nel nulla.

Ora, dopo tre anni, ci riproviamo partendo proprio da quell’ultimo viaggio a Napoli, rimasto quasi sospeso in una dimensione irreale.

A Napoli il mito non è mai distante dal reale. Italo Calvino diceva che le città non sono solo un labirinto di strade, ma anche un paesaggio dell’anima.

Ecco dove avrebbe voluto trovare casa, perche lì la Sanità sa come da nessun’altra parte di ventre materno, primogenitura, principio di un lunghissimo passato mai passato, silenzio e tumulto di un fuoco che continua a covare sotto la cenere.” Ermanno Rea, Nostalgia

IL VIAGGIO

VENERDI 10 marzo 2023, partenza.

Arrivo a Napoli intorno alle 12.00 

Percorso a piedi per raggiungere Gallerie d’Italia dove visiteremo la Mostra “Artemisia Gentileschi a Napoli” 

A seguire passeggiata a Toledo sulla tematica relativa ai Luoghi legati a Matilde Serao (Angiporto Galleria/Piazzetta Matilde Serao, Galleria Umberto).

Visita al MUSAP – Museo Artistico Politecnico di Napoli a Palazzo Zapata, la storia di Napoli in un viaggio immaginifico dalla Belle Epoque all’arte contemporanea. “Immergersi nelle preziose sale di MUSAP è come tuffarsi in un luogo fuori dal tempo

SABATO 11 marzo 2023

Transfer in bus al Rione Sanità – La Basilica di Santa Maria della Sanità un autentico museo della pittura napoletana del XVII secolo, con preziosi quadri, tra gli altri, di Luca Giordano e Andrea Vaccaro, e la prima rappresentazione napoletana della Madonna con Bambino

Catacombe di San Gaudioso, una delle antiche aree cimiteriali di epoca paleocristiana, IV-Vsec. Le Catacombe di Napoli sono gestite da Padre Loffredo e dai 39 ragazzi della Cooperativa La Paranza che hanno creato un circolo virtuoso che ha fatto conoscere e valorizzare anche tutte le altre bellezze dello storico quartiere cittadino riconosciuto dall’Unesco patrimonio dell’umanità

Visita al Complesso Monumentale Donnaregina, un percorso storico-artistico di oltre tre secoli, all’interno di una vita conventuale e monastica di grande interesse.

DOMENICA 12 marzo 2023

La Sala del Lazzaretto dell’ex Ospedale della Pace dove è allestita una mostra permanente sulla storia della grande tradizione medica napoletana.

Chiesa di Santa Caterina a Formiello e Fondazione per l’arte contemporanea Made in Cloister che ha recuperato e restaurato in parte il chiostro di Santa Caterina, consentendo, attraverso un complesso progetto, lo sviluppo di attività artistico-artigianali all’interno del chiostro stesso e dove è visitabile la mostra site specific Composing Bioethical Choices dell’artista ucraino-russo Aljoscha

Partenza per Vallesaccarda (AV) e rientro a Bari

Tesori di Archeologia e arte nei Musei di Monopoli/Visita Museo Archeologico di Egnazia

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Sabato 4 Marzo 2023

Tesori di Archeologia, Arte nei Musei di Monopoli

“Egnazia e il mare”, Museo Archeologico di Egnazia

Ore 8:30 Partenza con autobus da Largo Sorrentino / Ore 8:45 da Largo 2 Giugno 

Ore 10:00 MONOPOLI.

Il Museo Diocesano.
Sala della Pittura Napoletana: opere di Paolo Finoglio, Giambattista Lama, Andrea Miglionico, Alessandro Fracanzano, a testimoniare i consolidati rapporti di Monopoli con la capitale del Regno, le sue botteghe ed i suoi artisti.

Sala della Pittura Veneta: sono esposte opere di Palma il Giovane, Francesco Vecellio, Paolo Veronese, Costantino da Monopoli.

Al piano terra preziosi oggetti in argento utilizzati per la liturgia, gli antifonari cinquecenteschi con le melodie legate alle celebrazioni.

Suggestiva poi la storica Biblioteca Mons. Pedicini  con volumi rari stampati tra il 1500 e il 1800, rimasta inalterata per due secoli. 

– Il Museo di Romualdo è allestito nel soccorpo della Concattedrale barocca dove- ,  grazie alle ricerche archeologiche svolte durante gli interventi di restauro, sono state riportate in luce :

un  abitato di capanne  dell’età del bronzo (XV sec. a. C.) e  una piccola area con  livelli di frequentazione dell’età del ferro (XI-VIII sec. a. C.).
Ubicate nei vari ambienti vi sono tombe del V e del III secolo a. C. ed anche resti del sepolcreto altomedievale da riferire alla prima chiesa sorta in quest’area.

Il particolare allestimento consente di visionare i reperti nello stesso luogo nel quale sono stati rinvenuti e di ripercorrere a ritroso la storia della città.

  • Pranzo o sul mare o in campagna

POMERIGGIO  

Museo Archeologico Nazionale di Egnazia dove visiteremo la nuova sezione
«Egnazia e il mare» al piano interrato che amplia e approfondisce il rapporto della città con il mare, che nel museo era solo accennato..
Ed è proprio l’idea di immersione totale quella da cui parte l’allestimento delle sale, di fatto la ricostruzione di un paesaggio sottomarino tra i riverberi del soffitto ondulato e la proiezione interattiva di uno specchio d’acqua in movimento, teche con reperti recuperati e ancora avvolti nelle reti, in uno scenario dagli effetti multimediali curati da Studio Azzurro,  gruppo fondato a Milano nel 1982   “bottega d’arte contemporanea” che si esprime con i linguaggi delle nuove tecnologie.

Ritorno a Bari

Lucia

Inaugurazione nuova sede ADIRT

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L’Adirt ritorna ad avere una Sede.

Il quartiere è il Madonnella, la via è Istria, il numero è il 6.


La inaugureremo

MARTEDI 14 febbraio 2023 alle ore 18:00.

In tale occasione racconteremo anche il nostro progetto di questo 2023.
L’Adirt ha compiuto 40 anni che vogliamo ricordare tornando indietro nel tempo non per nostalgia ma per verificare che cosa è accaduto di tutti quei luoghi oggetto della nostra attenzione e del nostro impegno :
gli Insediamenti rupestri di Via Omodeo e di Santa Candida, le Lame e le Gravine, il Fortino aperto alla città, la Muraglia chiusa al traffico,  le chiese chiuse di Bari vecchia, il Museo archeologico, il Murattiano, l’Archeologia industriale , le Ville di Corso Benedetto Croce, le Periferie, Loseto, il rapporto di Bari e il suo mare …
Vi aspettiamo.

Lucia Aprile

Adirt Capodanno “Insieme”. Viaggio in Umbria

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30 dicembre 2022 – 3 gennaio 2023
Capodanno in Umbria “ Insieme “

Programma

Venerdì 30 dicembre 2022.

Ore 07.15 Partenza da Largo Sorrentino – Ore 07.30 da Largo 2 Giugno
Pranzo libero

Ore 15.00 Arrivo a Passignano sul Trasimeno – Hotel  Belvedere tel.075.8043848

Ore 16.30 Passeggiata verso piazza Garibaldi

Ore 17.45 Incontro con la Guida per una lettura del borgo

Ore 20.30  Cena e pernottamento in hotel

Sabato 31 dicembre 2022

Ore 08.00 Sveglia e prima colazione

Le terre del Perugino: Panicale e Corciano

Panicale: San Sebastiano (Perugino), S.Michele Arcangelo (Masolino), Museo del Tulle, Teatro del Sole.

Pranzo libero
Corciano: i suoi vicoli e Santa Maria Assunta (Perugino)

Ore 22.00  Cenone di fine anno

Domenica 1 gennaio 2023

Ore 09.00 Sveglia e prima colazione

Perugia: Galleria Nazionale dell’Umbria, Abbazia di San Pietro, Arco etrusco, piazza San Francesco
Pranzo libero

Ore 20.30 Cena e pernottamento in hotel

Lunedì 2 gennaio 2023

Ore 08.00 Sveglia e prima colazione

Ore 10.00/10.30 Solomeo: Brunello Cucinelli e la sua filosofia aziendale

Pranzo libero

Il Lago Trasimenoex omni parte perlucidus”: il paesaggio e i piccoli borghi

Ore 20.30 Cena e pernottamento hotel

Martedì 3 gennaio 2023

Ore 08.00 Sveglia, prima colazione e partenza per Montegabbione

Ore 10.30 La Scarzuola: la visione surreale, onirica e inafferrabile di Tomaso Buzzi.

Pranzo

Ore 22.00 Arrivo a Bari Largo 2 Giugno– Largo Sorrentino

Lucia Aprile    339.4029450   /   338.6092628  

Autista Michele Raimondi  338.326.1053

ADIRT- Associazione Difesa Insediamenti Rupestri e Territorio-  BARI
info@adirt.it     www.adirt.it

L’Adirt partecipa al Convegno – Le Università per le città ed i territori – 1 e 2 dicembre 2022

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Cara Adirt,

ti informo che il 2 dicembre 2022 la nostra Associazione è stata invitata a partecipare al Convegno Nazionale “Le Università per le città e i territori. Proposte per l’integrazione tra politiche
universitarie e politiche urbane”
, organizzato da Urban@it, centro nazionale di studi per le politiche urbane. 

Questo, in sintesi, il contenuto del nostro intervento presentato dalla Presidente Lucia Aprile.

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“La nostra presenza qui, oggi, a questo convegno che ha come obiettivo creare un ponte tra il mondo della ricerca, il mondo delle istituzioni e la società, ha un senso per tutto ciò che l’Adirt è stata o che ha cercato di essere.

L’Adirt nacque nel 1982 come un movimento di protesta contro la realizzazione di un parcheggio in via Omodeo, ma divenne subito dopo un movimento di conoscenza del nostro patrimonio culturale, archeologico e architettonico.
Tutto questo divenne possibile grazie a Nino Lavermicocca che, con i suoi studi  classici presso la nostra università e con  la sua attività  di ricerca che lo avevano portato a Washington, a Salonicco, a Parigi, aveva approfondito  l’Arte bizantina nell’Italia meridionale, l’Archeologia medievale.
Nino però, non era solo uno studioso, era anche nato a Bari vecchia, per il cui riscatto  si era  impegnato  sin di tempi dell’università, come per la internazionalizzazione della figura di San Nicola, che nel suo culto univa milioni di fedeli da oriente ad occidente.
Con Nino vedemmo lo scempio di Bari vecchia, le demolizioni del murattiano, la formazione di interi quartieri ghetto privi di servizi sociali, la mancanza del verde pubblico .

Non fu però solo conoscenza ma anche e soprattutto difesa, tutela, valorizzazione.

L’Associazione Adirt si aprì a tutti: enti culturali, privati, esperti, cultori della materia.                                                                                                                                                       Coinvolse l’Amministrazione comunale e regionale, le Istituzioni ed i giornali.   
Il suo Metodo: le tavole rotonde, i seminari, le escursioni, i viaggi di studio.

Numerose le  Pubblicazioni, in particolare:

  • La guerra dei trent’anni, sulla distruzione del Borgo Murattiano.
  • Bari sotto chiave, sulle chiese chiuse di Bari vecchia.
  • Le 7 pagine di Città: l’insediamento protostorico, l’età greco-romana, fra tardo antico e medioevo, la Polis bizantina, la Città medievale.

E poi:

  • Il censimento degli insediamenti rupestri nel territorio di Bari.
  • Il  progetto per il  parco archeologico di via Omodeo.
  • Il restauro e la chiusura al traffico della muraglia.
  • Il fortino da restituirealla città.
  • Le ville antiche da salvare.
  • L’attenzione ai Quartieri  periferici ed emarginati, per la creazione di nuovi spazi e servizi sociali.
  • L’Archeologia industriale e la sua destinazione d’uso.
  • La formazione di Cooperative di giovani quali Monterosso, la Cast.

Mi preme inoltre sottolineare che grandissimo fu il merito dell’Adirt nel coinvolgimento delle Scuole sul territorio; in collaborazione con il Cidi (Centro Iniziativa Democratica Insegnanti), nacque “Città come aula”,una serie di lezioni e visite guidate per docenti e studenti. Furono realizzati “Il campo archeologico a Canne della battaglia”, un Campo Scuola di 18 giorni per 20 giovani dai 15 ai 18 anni; “Mostre didattiche, su Bari fra tardo antico e alto medioevo”, precedute da Laboratori didattici.

Noi riteniamo ancora valide queste linee di azione!
Chiede il Convegno: “Come rafforzare il rapporto tra università e città?”

L’Università porti i suoi studenti sul territorio per un’esperienza non solo di conoscenza o puramente estetica, ma istituzionalizzata nel percorso universitario attraverso la pratica di  laboratori, escursioni di studio,  progetti.

L’Adirt quest’anno ha compiuto 40 anni e ha incominciato a ricordarli ritornando sui luoghi da dove era partita, per leggerne trasformazioni e problemi, con la guida spesso di giovani ricercatori del Politecnico.

Un esempio:
la lettura della nuova via Sparano”, quel ritmo particolare tutto giocato tra interno ed esterno, tra attraversare e stare, tra commercio e arte, tra tradizione e innovazione, sottolineato dal progetto Salimei.

L’Adirt è dunque disponibile:
– a offrire la propria esperienza e le buone prassi per arricchire la formazione degli studenti;
– a dare loro uno spazio nella nostra Associazione per continuare insieme quel percorso di conoscenza e di cura che, soprattutto dopo tre anni di chiusura per la pandemia e di ansia per le trasformazioni nel mondo, crediamo ancora più necessario riprendere.

Lucia Aprile

Una questione privata, di Beppe Fenoglio

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25 ottobre 2022

Beppe Fenoglio, “Una questione privata“, Einaudi, 2022

proposto da Isa Bergamini

Breve nota a cura di Isa Bergamini dopo l’incontro del gruppo di lettura:

La nota ricorrente è stata l’emozione nel leggere la storia di ragazzi la cui giovinezza è stata negata e le cui vite sono state travolte dalla guerra. Il racconto dell’amore di Milton, Fulvia e Giorgio è la questione privata che ha tutti i segni di umanità nella disumanità della guerra.

Si è detto che la Resistenza come scelta di vita viene raccontata in questo libro, nella sua sommessa e drammatica quotidianità, vissuta come unica scelta possibile per avere diritto ad una dignità umana, nella consapevolezza di una solitudine che non urla la sua disperazione.

Più volte è stata citata la descrizione del paesaggio delle Langhe e soprattutto della nebbia che nasconde, avvolge e protegge,  ma anche può ingannare.

L’amore travolgente del giovane Milton è compagno del suo andare, ma la morte incombe ad ogni passo e ad ogni suono su quelle colline.

E’ stata sottolineata l’alta qualità delle pagine di Fenoglio in cui il lirismo traspare sommesso in una scrittura piana, dolce e penetrante, risultato di un grande lavoro.

Diversi sono stati i pareri su come Fenoglio abbia voluto concludere la storia o se l’abbia lasciata volutamente indefinita.

Quando si è parlato di Resistenza è stato citato N. Bobbio (Profilo ideologico del Novecento in E. Cecchi, N. Sapegno, Storia della letteratura italiana, Garzanti, Milano, 1969) “…La Resistenza, non fu una rivoluzione e tanto meno la tanto attesa rivoluzione italiana; rappresentò puramente e  semplicemente la fine non pacifica ma violenta del fascismo (…) La Resistenza si dimostrò essere un “tempo breve”, consumato e strozzato prima di aver potuto esprimere tutto il proprio potenziale di forza ideale e di capacità rivoluzionaria.”

Quando si è parlato del paesaggio in queste pagine di  Fenoglio, è stato citato quanto ha scritto Emilio Cecchi “(…) La sua forza sta in questo: che, non rinunciando mai alla sua ostinazione intellettuale e morale, egli arriva a darci la rivelazione delle forze tempestose che sovrastano la vita. (…) … la dolcezza dei paesaggi, i contraccolpi della memoria, il respiro della natura che muovono il suo mondo esprimono una reverenza quasi religiosa per la scabra, infinita avventura umana.”

L’incontro, anche questa volta, è stato piacevolmente addolcito dalle “coccole” di Luciana.

Ho paura torero, di Pedro Lemebel

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4 Ottobre 2022

Pedro Lemebel, “Ho paura torero”, traduzione di M.L. Cordaldo e G. Mainolfi, Marcos y Marcos, 2004 e 2021

proposto da Tonia Lamanna

di Tonia Lamanna

Un libro che commuove, diverte, sorprende, graffia e fa pensare. Una satira demistificante del potere dittatoriale di Pinochet che emerge dal “basso” dei quartieri popolari e della marginalità sociale del protagonista omossessuale e travestito. E’ la Fata dell’angolo, sartina canterina a servizio di altezzose clienti benestanti, una “mammola tutta bambagia e delicatezza” che in-cantata dal fascinoso Carlos, universitario e rivoluzionario, attraverso questo amore impossibile e poetico, libero e pudico, malinconico e struggente, sensuale e delicato, riscatta tutta se stessa da una vita di umiliazioni e violenze familiari, di frequentazioni sordide e amicizie equivoche, maturando progressivamente ed insieme consapevolezza politica e dignità personale.

Il romanzo ha tutto il sapore della vicenda autobiografica vissuta dall’autore cileno, il trasgressivo Pedro Lemebel, attore, fotografo, cineasta, attivista del movimento gay, in quel lontano 1986 quando, dopo tredici anni di dittatura in Cile, Pinochet promuove una consultazione popolare sicuro di vedere ancora confermato il suo potere autocratico. In un movimento circolare e musicale, quasi in forma di rondò, l’autore costruisce un contrappunto sonoro al racconto alternando “versi” di canzoni popolari d’amore fuori moda, sentimentali e nostalgiche care al protagonista – in morbido corsivo nel testo – agli spigolosi notiziari in maiuscolo, asciutti e taglienti della Cooperativa-Radio Maggioranza, intrecciando contemporaneamente sui due versanti del racconto (la vita sociale colorata e pittoresca del quartiere/ i luoghi aridi, fatui e mortiferi del potere) metafore e temi comuni: torte e feste di compleanno, tovaglie ricamate, cappelli gialli e a falda larga, colibrì e condor, auto-nido e auto-bunker.

Il tutto rappresentato attraverso un icastico linguaggio letterario, effervescente di accostamenti visionari modernamente barocchi (perla triste rimasta senza mare, sgorbio disarticolato del disamore,…) o di ricercate litanie profane di epiteti (mano gabbiana, mano farfalla, dita vespe….) che sorprendono continuamente il lettore mai impigrito nel processo d’interpretazione simbolica del testo.

I personaggi del dittatore sanguinario e della sua molesta e logorroica consorte, ritratti nella prosaica routine domestica della coppia, escono dalla penna dell’autore sgonfiati della prosopopea di facciata del potere. Inchiodato alle sue paure subconsce e alle sue lugubri nevrosi il primo, meschina, superstiziosa e sciocca la seconda, fanno da specchio negativo alla coppia Carlos-Fata dell’angolo che invece, cambiati positivamente dalle vicende politiche vissute insieme, nel loro ultimo toccante e inevitabile saluto avvolti da uno struggente tramonto della baia di Valparaiso, si rivelano ambedue divenuti capaci di sentimenti profondi, sinceri, autentici, generosi, maturi.

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Breve nota a cura di Isa Bergamini dopo l’incontro del gruppo di lettura.

Il libro è piaciuto a tutte. Si è detto che l’ironia che lo percorre, riesce a tenere insieme due storie parallele, da una parte la storia sontuosa dai mille colori di un amore impossibile e dall’altra le figure grottesche, opache e pallide di Pinochet e sua moglie, raccontati nel loro privato e ferocemente messi a nudo, in totale contrapposizione alle pagine dedicate alla Fata dell’angolo e alla vitalità di Carlos e dei suoi amici.

Si è detto che questo breve e intenso romanzo, l’unico di Lemebel, è proprio un ricamo poetico, un ricamo come quelli con cui la Fata dell’angolo decorava le sue tovaglie, in pagine dove alcuni testi di canzoni popolari fanno da contrappunto ad una prosa sontuosa, elaborata e mai volgare. Si può considerare questo libro anche come un romanzo di formazione, pensando al percorso di maturità politica raggiunta dalla Fata dell’angolo, mentre il giovane Carlos impara a scoprire “l’altro” da rispettare e non solo strumentalizzare. E’ stato definito un romanzo struggente, tragico e grottesco, infatti nelle sue pagine traspira soprattutto passione umana e passione politica, filtrate da un’ironia che colpisce facili sentimentalismi e soprattutto il potere, rappresentato da vari siparietti di vita quotidiana della coppia Pinochet.

Sono stati ricordati Il bacio della donna ragno di Manuel Puig e Notturno cileno di Roberto Bolaňo, uno per la condivisione di alcuni temi e l’altro per il richiamo ad una pagina barocca, ed entrambi per la presa di posizione politica contro la feroce dittatura in Cile.

Su You Tube è possibile vedere alcune scene del film “Tengo miedo torero” del regista Rodrigo Sepulveda con Alfredo Castro e Leonardo Ortzgris, oltre ad alcune interviste allo scrittore.

E’ stato inoltrato sulla chat di LeggerMente il testo “Parlo per la mia diversità” , un vero e proprio manifesto umano e politico.

A fine incontro sono state lette le ultime righe di Quarta lettera da “Baciami ancora, forestiero“, di Pedro Lemebel:

“…E in questa vertigine ti scrivo, in questa vertigine immagino i tuoi occhi che mi seguono nella scrittura. E, magari, questo momento, in cui lettura e lettera, occhio e cuore, voce e silenzio, acqua e aria, ritrovano l’orizzonte vago di quel pomeriggio portuale, di fronte al grande anfiteatro di Valparaíso, dove feci un sogno da trapezista, senza rete… perché tu eri il mare.”

Diario di Viaggio. Spoleto-Castelluccio-Norcia-Vallo di Nera-Piediluco

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Diario di viaggio

Spoleto – Castelluccio – Norcia – Vallo di Nera – Piediluco

28 – 30 Giugno 2022

A cura di Angela Mengano

Partenza alle sette di Martedi 28 Giugno.

Siamo 25, più Nicola, il nostro autista preferito, con il pullmann di Starbus da 52 posti che ci consente un viaggio più comodo, considerato che dovremo indossare per tutto il viaggio – sette ore comprese le due soste regolamentari – le famigerate mascherine anti Covid. Lucia apre un’anteprima di viaggio con le sue letture vecchie e nuove per farci pregustare i luoghi che visiteremo.

A Spoleto ci accoglie un albergo di fascino, l’Hotel San Luca. Con la guida, Daniela Cittadoni, iniziamo la visita della città di Spoleto, resa meno faticosa, visto che dal piano dovremo salire fino al punto più alto, da un modernissimo sistema di tapis roulant (percorso sotterraneo meccanizzato) che, attivato di recente, ha suscitato interesse nella comunità urbanistica internazionale, come un innesto perfettamente riuscito nell’impianto medievale della città. E’ così che in pochissimo tempo ci troviamo ai piedi delle mura ciclopiche (ne é facile la lettura stratificata dall’età preromana all’età moderna) per poi, in pochi passi, arrivare al belvedere tra la Rocca di Albornoz, il Ponte delle Torri e il bosco sacro di Monteluco di fronte a noi. Daniela ci fa una bella e avvincente panoramica sulla storia di Spoleto. Il tempo vola: ci affrettiamo verso piazza Duomo. Magnifica la prospettiva della facciata in fondo alla lunghissima scalinata; tutta la piazza é già sistemata con le sedie per gli spettacoli del Festival dei Due Mondi aperto pochi giorni fa. E tutto intorno nobili architetture, e il Teatro Caio Melisso, e la casa di Giancarlo Menotti, che del festival fu il fondatore e l’anima. Il culmine nella visita del Duomo é lo stupendo ciclo absidale di Storie della Vergine di Filippo Lippi, ultimato dopo la sua morte dai suoi aiutanti. Suggestiva anche la Cappella della Santissima Icone, dove si conserva la icona bizantina che Federico Barbarossa donò alla città in segno di riconciliazione dopo averla distrutta tempo addietro! A questo punto Daniela ci saluta, mostrandoci la strada del ritorno, che si conclude con una discesa dalla pendenza ripidissima, una bella scorciatoia che ci porta in men che non si dica in albergo.

Cena a La Pecchiarda, in esterno sotto il pergolato, con un menu decisamente “umbro” tra norcinerie varie e gli strangozzi alla spoletina ovvero alla “fuga di Annibale”.

Mercoledi 29 Giugno

Lasciamo la valle Umbra e ci spostiamo in Val Nerina con Monia, che oggi sarà la nostra guida. Attraversiamo paesaggi verdi e ombrosi, rasentiamo Santa Anatolia di Narco, località nota per la coltivazione della canapa. Di tanto in tanto si intravede, più in basso, il corso del fiume Nera, lungo il quale correvano i binari della vecchia ferrovia Spoleto-Norcia, capolavoro di ingegneria ferroviaria.  E intanto Monia attira la nostra attenzione sulla geologia del luogo e sui fenomeni sismici ricorrenti fino a quelli del 2016 che hanno portato distruzione e morte.

Strada facendo Monia ci racconta altre curiosità: con Borgo Cerreto ha a che fare l’origine della parola “ciarlatano”, una storia di tasse mal digerite all’ombra dello stato pontificio che spinge alcuni soggetti a “organizzarsi” a mò di imbonitori in stile Vanna Marchi; l’antica scuola chirurgica di Preci forse collegata al culto della dea Cibele o alla presenza ebraica nella zona; una insolita presenza di una fabbrica artigianale di cioccolato e via dicendo.

A poco a poco ci addentriamo nel Parco dei monti Sibillini, da qualcuno definito “luogo di millenaria instabilità”. Spesso la visuale del paesaggio é ostacolata dalla crescita degli alberi che a quanto pare da queste parti si é restii a tagliare per ragioni di rispetto ambientale. In prossimità delle Forche Canapine, meta sciistica del fine settimana, ci imbattiamo nella vista impressionante del rifugio Perugia mezzo crollato per il terremoto. 

Finalmente, avvicinandoci, cominciamo a scorgere le macchie multicolori della fioritura delle lenticchie nella Piana di Castelluccio, cuore del viaggio. Il nostro Nicola perlustra pazientemente la zona alla ricerca di un parcheggio per il pullmann che ci permetta di tuffarci in quel mare colorato, e finalmente ci immergiamo felici tra i colori, dove il bianco della lenticchia si fonde col blu del fiordaliso, col giallo della colza e della senape e col rosso del papavero. Mi pare di sognare perché i fiordalisi che disegnavo nell’album delle elementari li immaginavo e basta, non avendoli mai visti! Intorno la piana a perdita d’occhio coronata dai monti, tra cui spicca il Monte Vettore, con l’interessante fenomeno carsico dell’inghiottitoio e la faglia, inquietante cicatrice nel ventre della montagna. In questi luoghi martoriati ci sono anche, come Monia ci dice, splendidi esempi di immigrazione e integrazione di pastorizia, i sardi insieme a bielorussi ucraini e moldavi, in maggioranza, perchè gli italiani oramai rifiutano questo genere di lavori. E’ arrivato il momento di lasciare Castelluccio e scendere a Norcia. Da lontano il paese ha la forma di un cuore, dicono, o piuttosto – dice Monia – di un’ellisse un pò sbilenco! Arrivarci oggi dopo quel terribile terremoto mette tanta tanta tristezza. A cui si aggiunge lo sconcerto nel constatare che il processo di ricostruzione sembra essersi arenato, dice Monia, per mancanza di fondi. Mah. Mi sembra vergognoso e imperdonabile. La comitiva si muove in ordine sparso alla ricerca di punti di ristoro che offrano, possibilmente, riparo dalla calura di questa precocissima estate. E tutti più o meno scegliamo di fermarci intorno alla piazza dove sorge l’edificio del teatro Civico, inaugurato nel 1876, e quindi leggermente più anziano del nostro Petruzzelli.

Subito dopo scopriamo durante la passeggiata esplorativa al seguito di Monia il centro storico di Norcia fortemente segnato dal sisma, con segnali di ricostruzione qua e là. Un bell’esempio lo ha dato Brunello Cucinelli, illuminato imprenditore del cachemire, con il restauro della Torre Civica del Palazzo comunale. Anche l’Eni interviene con un progetto multimediale di comunicazione (Norcia Live Stones). Nella piazza san Benedetto, dove si concentrano i principali edifici, desta profonda impressione la vista della chiesa dedicata al santo, patrono d’Europa, di cui resta in piedi la sola facciata. Sembra aver retto alla furia del terremoto, almeno all’apparenza, la Castellina, imponente Fortezza cinquecentesca, mentre anche la concattedrale, a poca distanza, ha subito danni notevoli dal terremoto.

Prima di risalire in pullmann tanti di noi non mancheranno di fare acquisti nelle botteghe di prodotti tipici del luogo, tra tartufi e norcinerie varie. Sulla via del ritorno a Spoleto scopriamo un gioiellino, Vallo di Nera, comune con poco più di 300 abitanti ampiamente meritevole di essere incluso tra i borghi più belli d’Italia. Silenzio, pace, aria buona e una intatta atmosfera medievale, frutto di una singolare compattezza architettonica. Sorpresa nella sorpresa, la chiesa romanica di Santa Maria Assunta con uno straordinario ciclo trecentesco di affreschi “votivi”, così li definisce Monia, tra cui l’interessante “Processione dei Bianchi”. Molti i particolari curiosi da notare, per esempio la precisione nella descrizione dei paesaggi, necessaria ad evitare che il santo a cui ci si votava “sbagliasse indirizzo”! O anche la Trinità raffigurata con tre teste. Adriana ci offre anche una sua riflessione sulle possibili analogie con il ciclo di affreschi nella chiesa di Santa Caterina a Galatina. Chiudiamo la visita di Vallo di Nera con il giro circolare del borgo, che ospita anche la Casa dei Racconti, centro di ricerca e documentazione sulla tradizione orale. Allontanandoci dall’abitato vediamo scorrere le limpide acque del Nera. All’incrocio Monia ci indica la sindaca del paese, sua buona amica, e noi le rivolgiamo un fragoroso applauso.

Dopo un relax rigenerante, anche stasera ceniamo a La Pecchiarda. Ci viene raccontata l’origine del nome: “pecchia” (ragazza molto carina) – “arda” (alta), allusione all’antica titolare del locale, bella ragazza alta che nel lavare i panni al fiume si alzava le vesti mostrando le sue grazie. Applausi per le tagliatelle al tartufo e per l’ottima carne. Nel dopocena, Lucia piloterà la conversazione verso un embrione di programma di viaggio (sogni e chimere?) di traversata dell’Atlantico verso il Nuovo Mondo. Un altro gruppetto, me compresa, sceglie di inerpicarsi per scale e scalette per scoprire gli incanti della notte spoletina attraverso le due piazze principali in piena movida – Mercato e Libertà, da un angolo estremo di quest’ultima gettiamo lo sguardo al di là delle sbarre di ingresso al Teatro Romano; l’Arco di Druso di età augustea; la scenografica scalinata di piazza Pianciani, e il ritorno studiato sulla mappa con il conforto di gentilissimi passanti.

Giovedì 30 Giugno

Il giorno della partenza é arrivato. Depositati i bagagli nella hall dell’albergo facciamo colazione. Scopro un pianoforte Yamaha e ne approfitto, seguita a ruota da Lucia, affezionata al celebre motivo di Nino Rota. Nel viaggio di ritorno facciamo sosta a Piediluco, dal 2016 parte del club dei borghi più belli d’ Italia sulla sponda del lago omonimo. Il programma iniziale (passeggiata nel borgo poi navigazione sul lago) viene prudentemente invertito per evitare le ore più calde.  Il giro – guidato dalla simpaticissima Silvana – inizia dall’edificio dell’ex scuola elementare in attesa di recupero e prosegue per un po’ ai bordi del lago con la colorata installazione di Giulio Turcato, Le Libertà, che rappresenta tanti cuori tutti diversi l’uno dall’altro. Silvana ci racconta quanto é speciale il luogo: meta di Grand Tour tra sette e ottocento; scelto dalla Federazione Nazionale Canottaggio per gli allenamenti (“la Coverciano del canottaggio”); immortalato da Corot coi suoi dipinti; scelto come prima sede (Villalago del barone Franchetti) di Umbria Jazz; il colore del lago, scuro per la presenza di alga rossa. Due montagne piramidali, speculari, monte Luco e monte Caperno, si affacciano sulle quiete acque del lago. Pesca di trote, salmerini, lucci. Vegetazione di canne, che si raccolgono per la produzione artigianale di cesti.  Più oltre scopriamo, in cima a una ripida scalinata,  la bella chiesa di San Francesco, edificata a ricordo del passaggio del santo, attestato nelle Fonti Francescane da Tommaso da Celano.  Patrono del paese é però il Buon Gesù, festeggiato il 14 gennaio. La passeggiata prosegue al Rione Borgo, ricco di balconi e scalinatelle addobbate a festa con abbondanza di fiori e decori in preparazione della Festa delle Acque, prevista per il prossimo fine settimana. E’ ora arrivato il momento del giro in battello.  Al timone Davide, molto simpatico ed esauriente nelle sue spiegazioni, collaboratore dell’Arpa di Perugia. Navighiamo lentamente, assaporando l’atmosfera. Lo sguardo si perde tra la calma superficie del lago e il verde che lo circonda da ogni parte. Isolato in cima a un colle, un paesino fiabesco, Labro. Di qua l’Umbria, di là il Lazio. Il momento più emozionante sarà quando, raggiunta un’ansa appartata del lago, nel silenzio totale potremo cogliere distintamente le voci del lago e dei suoi abitanti. Qualcuno di noi chiede a Davide informazioni sullo stato dell’ambiente, purtroppo in degrado rispetto al passato. Altre curiosità: l’eco che in un certo punto del lago si produce: ci provano alcuni di noi.  Infine, scopriremo che Galileo Galilei andando in barca sul lago di Piediluco sperimentò la relatività del moto!

Felici e soddisfatti dopo la traversata sediamo affacciati sul lago all’ombra degli alberi ai tavoli del ristorante La Baraonda.

Se ben ricordo all’origine il menu contemplava una pasta con carciofi e salsiccia, ma Lucia ha chiesto il menu di lago, dandoci modo di gustare le prelibatezze del luogo, a partire dal “carbonaretto”, lo squisito salmerino sapientemente cotto sulla brace, i tagliolini al profumo di lago, la trota alle erbe, il tutto annaffiato da un buon Bianco Grechetto, e per chiudere, il sorbetto al limone. Lieto fine con il ritrovamento dello smartphone di una delle nostre amiche, come d’altronde era successo ieri con il telefonino riportato in albergo al legittimo proprietario da un Carabiniere giovane, bello e gentile!

Chiusura di Lucia con le riflessioni e le letture di fine viaggio e applausi meritatissimi per Nicola che con tanta calma e pazienza ci ha riportato a Bari.

L’Arpa e l’Ombra, di Alejo Carpentier

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21 giugno 2022

Alejo Carpenter, “L’Arpa e l’Ombra“, Traduzione di Angelo Morino, Ed.Sellerio, 2020

proposto da Rosa Giusti.

di Rosa Giusti

Cristoforo Colombo…E’ stata la curiosità su questo personaggio a spingermi alla lettura de L’arpa e l’ombra, chè di lui tratta, in forma di romanzo storico, lo scrittore cubano Carpentier (1904-1980).
E di fatto il libro mi è servito a “scoprire” Colombo, colui che nell’accezione comune ha “scoperto” l’America. Ma insieme con lui ho “scoperto” Carpentier. Un bel risultato davvero, perché opera e autore si sono rivelati ben al di sopra delle mie modeste aspettative di approfondimento su Colombo.
La nazionalità latino-americana dell’autore presagiva una storia diversamente raccontata dall’altra parte del mondo e già questo mi pareva un elemento di novità interessante. Nella prima edizione di “El arpa y la sombra” (1979), attingo dalla postfazione di Angelo Morino, “Carpentier annotava di sentirsi irritato dall’insistenza agiografica del libro su Colombo di Claudel e più ancora da quello di Leon Bloy nonché dalle proposte della chiesa cattolica di beatificare il navigatore genovese e, rivendicando il diritto dei latino americani ad avere storia e identità proprie, che non fossero riflesso di quelle europee, si dedicava alla demistificazione di Colombo, non mirando ad “abbatterne le statue”, ma semplicemente a consegnarlo alla verità di uomo del suo tempo”.
Per scrivere in questa ottica, Carpentier si documenta attingendo a fonti storiche, e genialmente, struttura il libro sulla tentazione della Chiesa di fare santo Colombo, regalandoci una storia in massima parte vera e in parte verosimile, come deve essere un romanzo storico.
Nel primo capitolo ci imbattiamo in Pio IX che esamina la pratica di Colombo: ci sentiamo immediatamente avvolti in un’atmosfera tutta papalina, ridondante di ori e di riti e di gerarchie e di intrighi, descritta con modalità stilistiche involute e barocche. Il pontefice, che ha direttamente visitato l’America meridionale rimanendo impressionato dalla vastità dei paesaggi e dalla vivacità di una economia in fieri, è fatalmente attratto dal varo di un santo dei due mondi, di un santo marinaio, ponte tra l’Europa e l’America, che riconfermerebbe Urbi et orbi, l’autorità e il dominio della chiesa di Roma
Nel secondo capitolo incontriamo Cristoforo Colombo morente, a Valladolid, in attesa del confessore. Qua la scrittura diventa discorsiva, intima: un uomo è deciso a ripercorre i momenti salienti della sua vita con sincerità, a fare un esame di coscienza. Intende ammettere i molti vizi e le poche virtù che lo hanno contraddistinto e riconciliarsi e riconsegnarsi al Creatore. Ed è in questo capitolo che ci avviciniamo a Colombo, partecipando alla sua vita densa di avvenimenti speciali, di viaggi, avventure, amori e battaglie, tante battaglie, per raggiungere il fine che dà il senso ultimo della sua esistenza: solcare mari sconosciuti, scoprire nuove terre. E’ un genovese e un navigatore a cui stanno strette le rotte mediterranee o artiche, vuole andare ad ovest, dove ha subodorato la possibilità di approdi diversi, già raggiunti partendo da nord, dai Vichinghi… Riesce con enorme sforzo dialettico a convincere Isabella, regina di Spagna, a finanziare la sua impresa, le promette di trovare una nuova via per le favolose Indie da cui ricavare tesori inimmaginabili. Le tace la sua convinzione di “scoprire” un diverso continente.
Il Colombo morente parla diffusamente dell’arduo viaggio con le tre caravelle, del sospirato e finalmente realizzato arrivo sulla terra ferma, della delusione di non avervi trovato oro, della spasmodica ricerca di altri beni di valore da poter esibire alla regina. E del suo ritorno in Spagna, con il clamore e il trionfo iniziali e le successive pesanti critiche. Ma dà anche spazio al punto di vista degli Indiani, a come essi percepiscono gli Europei “conquistatori” in maniera assolutamente negativa, non solo per la prepotenza e l’avidità, ma anche per le abitudini del loro normale modo di vivere quotidiano: scarsa igiene, sovrabbondanza di vesti, maschili e femminili, l’andare in giro armati come se fossero in guerra…
Da tanta narrazione, avvincente narrazione, il personaggio Colombo si definisce nella sua realtà e si può dire che finalmente lo si può conoscere per davvero. Si può ammirarlo per aver inaugurato l’Uomo Nuovo, con la sua sete di conoscenza anche se non disinteressata, pragmaticamente pronto a tutto per perseguire i suoi scopi, e lo si biasima per aver strumentalizzato esseri umani, per aver inaugurato un colonialismo deteriore, per aver schiavizzato i nativi e per venderli al mercato di Siviglia. Da ultimo, assolutamente perso il senso del sacro, pure incantato dalla natura maestosa dei luoghi raggiunti, Colombo pensa di poterli “vendere sul mercato europeo” come l’Eden ritrovato, per ricavarci profitti.
Nel terzo capitolo si consuma l’ultimo atto del processo di santificazione, ora di competenza di papa Leone XIII. Come ben sappiamo, Colombo non sarà il “San Cristoforo delle Indie”. In questo finale, lo stile di Carpentier ancora una volta stupisce. Smessi i toni barocchi e colloquiali, il suo linguaggio estremamente duttile si fa ironico e creativo raggiungendo toni divertenti, senza mai perdere la profondità. Il lettore non può che goderne e nello stesso tempo ammirarne la formidabile capacità letteraria.
Apprendo che L’arpa e L’ombra non è fra le migliori opere di Carpentier, che è forse la più brutta. E quindi non posso che accingermi a leggere altri libri, di questo fantastico autore.

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Breve nota a cura di Isa Bergamini dopo l’incontro del gruppo di lettura:

L’argomento, la scrittura e la struttura del libro sono stati molto apprezzati. Non a caso Rosa ne aveva proposto la lettura proprio quando nei mesi precedenti in molti paesi al di là dell’Atlantico, c’erano state manifestazioni con abbattimento di diverse statue di Cristoforo Colombo. Il protagonista di questo libro è preso in prestito per parlare del nodo mai risolto che continua a legare nel bene e nel male la Vecchia Europa ai paesi del cosiddetto Nuovo Mondo.
Si è detto che “L’Arpa e l’Ombra” è un romanzo storico fra vero e verosimile, scritto con una prosa ricca e immaginifica, soprattutto nella descrizione delle isole caraibiche, dove Colombo era approdato, un Eldorado descritto con bellissime pagine dai colori barocchi.
E’ stato particolarmente sottolineato come Carpentier evidenzi il rapporto ambiguo fra Nuovo e Vecchio Mondo, come lo renda e come, con grande capacità, riesca ad entrare nella realtà di un periodo storico molto complesso.

La cattiva coscienza degli europei è una presenza costante nelle sue pagine.
Dopo un inizio con una scrittura quasi curiale e la seguente esplosione con descrizioni dai colori vividi dei paesi caraibici, il libro si conclude con pagine dall’ironia che ha fatto ricordare quelle di M. Bulgakov.
Si è sottolineato che i protagonisti di “L’Arpa e l’Ombra” e di “Notturno cileno” di R. Bolaño, entrambi a fine vita ne fanno un esame lucido e profondo, ma mentre nel libro di Bolaño si assiste ad una tragedia, in questo di Carpentier c’è cronaca di alto livello ma non dello spessore e della profondità dell’altro.
E’ stato citato “Il secolo dei lumi” di A. Carpentier.


Referendum 12 giugno: una riforma da capire. Con Nicola Colaianni

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Mercoledì 9 Giugno 2022, ore 17:00

presso la sede della C.G.I.L, Fondazione Rita Maierotti, via Giuseppe Volpe n.4. incontreremo

Nicola Colaianni, già magistrato in Cassazione e professore presso l’Università di Bari, 

su ” Referendum: una riforma da capire” .

Notturno cileno, di Roberto Bolaño

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24 maggio 2022

Roberto Bolaño, “Notturno cileno“, traduzione di Ilide Carmignani, Adelphi, 2016

proposto da Luciana Cusmano

di Luciana Cusmano

“Fare letteratura è un mestiere pericoloso”, afferma Bolano, “perchè la vera letteratura è sapere ficcare la testa nel pozzo, nel buio del male, sapere saltare nel vuoto”.

Il delirio notturno di un sacerdote, che in una notte drammatica ripercorre  eventi della sua vita, serve a Bolano per denunciare i compromessi e le viltà di una classe di intellettuali resasi complice del potere che ha schiacciato il Cile.

Il linguaggio fluido, ricco di metafore, spesso surreale, dalle forti connotazioni metaletterarie, fà di Bolano uno degli innovatori della letteratura latinoamericana, che si sottrae alle convenzioni di un realismo magico, saturo di epigoni, attraverso il dialogo con una tradizione sovranazionale e di aspirazione cosmopolita.

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Breve nota a cura di Isa Bergamini dopo l’incontro del gruppo di lettura:

Il dialogo è stato intenso e appassionato per questo libro molto amato e definito come un piccolo grande libro rivoluzionario per i temi e soprattutto le modalità di tradurli in una pagina densa, in un racconto che dice ma non svela, lasciando al lettore la ricerca nel profondo di segni rivelatori. Infatti molte di noi hanno voluto rileggerlo una seconda volta, con grande piacere.

In particolare, si è messo in evidenza l’intensità con cui il protagonista in un continuo ininterrotto flusso di coscienza alla fine dei suoi giorni ripercorre una vita di compromessi e di tradimenti nei confronti di quel doppio di sé, da lui chiamato il “giovane invecchiato”, in pagine che si rincorrono con un ritmo incalzante.

Si è detto che Bolaño, con un racconto denso e non semplice, rende il protagonista, il cileno gesuita dell’Opus Dei Sebastian Urrutia Lacroix uomo di cultura vasta e profonda, il testimone in negativo di quanto egli pensasse sulla funzione e la responsabilità dell’intellettuale nella vita politica e sociale del suo tempo e del suo paese. Tutto il libro è un dialogo interiore che rivela un percorso di consapevolezza e non di pentimento, testimoniando dall’interno l’assenza di etica con un diretto e profondo atto d’accusa al mondo dei  letterati e delle gerarchie ecclesiastiche. E’ stato anche evidenziato che il libro a un consapevole realismo affianca anche  evidenti e complessi riferimenti simbolici, infatti sono state citate reali figure di intellettuali cileni oltre ai falchi e alle colombe produttrici di “merda”.

L’incipit forte e potente apre la prima pagina del libro che si chiude coerentemente con l’ultima che suscita in chi legge interrogativi esistenziali e storico politici. Si è sottolineato anche che in molte pagine si trovano testimonianze della profonda cultura dell’autore, testimone impegnato del suo tempo non solo con i suoi libri ma anche con difficili scelte di vita. Si è detto che i modelli europei e in particolare J.Joyce sono evidenti nella formazione culturale di R. Bolaño ed è stata in particolare sottolineata la presenza di numerose citazioni dantesche, dei colori delle poesie di Charles Beaudelaire ed infine di diversi rifermenti alla cultura greca.

E’ stato notato che i nomi che compaiono nel libro rispondono a una precisa e consapevole scelta dell’autore: Farewell vuol dire Addio, Oido palindromo odiO anche in spagnolo, Aruap palindromo di paurA in italiano, infine Lacroix che è il secondo cognome del gesuita protagonista.

– I gemelli di San Nicola – di e con Marco Caratozzolo.

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MERCOLEDI 25 MAGGIO 2022, ore 17:00

l’Adirt incontra Marco Caratozzolo, docente di Lingua e Letteratura russa dell’Università di Bari, presso la sede della C.G.I.L, Fondazione Rita Maierotti, via Giuseppe Volpe n.4.

I gemelli di San Nicola”: il seme dell’accoglienza in un tesoro russo trovato per caso.
Una Bari vecchia vivacissima attraverso le pagine di  Vasilij Nemirovič-Dančenko, scrittore russo di fine ‘800, scoperte nella Biblioteca Lenin di Mosca da Marco Caratozzolo e da lui curate e tradotte per Stilo Editrice. 

Il testo:

Vasilij Nemirovič-Dančenko, I gemelli di San Nicola, Stilo Editrice, 2021

L’Adirt a Molfetta

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Sabato 14 maggio 2022

In mattinata visiteremo il Pulo di Molfetta, caratteristica dolina creatasi per il cedimento della volta di numerose cavità sotterranee, di forma ovoidale, profonda 30 m, scavata nella roccia di origine carsica, a circa 1,5 km dal centro della città di Molfetta, in direzione sud-ovest.  Di grande interesse dal punto di vista geologico, storico, archeologico e non di meno, importante per la sua biodiversità botanica e faunistica.

Seguirà la visita al Museo del Pulo e un aperitivo sul porto di Molfetta.

Soci e Simpatizzanti interessati sono invitati quanto prima a comunicare telefonicamente (vedi numero a piè pagina) la propria adesione.

E’ richiesta la data di nascita e il luogo di residenza. Inoltre, dovendo muoverci con mezzi propri, per poterci organizzare al meglio, è opportuno che i partecipanti  informino se intendono utilizzare il proprio mezzo ed eventualmente se desiderano condividerlo.

Informazioni più precise circa orari e luoghi verranno fornite dopo le adesioni.

Info:    339.4029450    –    338.4639612

Lezione di Tango, di Elsa Osorio

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26 aprile 2022

Elsa Osorio, “Lezione do Tango“, traduzione di Roberta Bovaia, TEA 2006.

Proposto da Franca, Maria Grazia e Teresa.

di Franca Botrugno, Maria Grazia Toma e Teresa Santostasi.

Il ricordo di un viaggio amato, Buenos Aires, la Plata, la musica, l’abbraccio della gente argentina e il desiderio di una lettura che si preannunziava coinvolgente, un titolo stimolante “il solletico ai piedi e a tutto il corpo che chiedeva Tango”, per tornare finalmente a danzare, dopo la pandemia.

Franca, Maria Grazia e Teresa per ragioni differenti, a settembre 2021, hanno proposto di leggere insieme “Lezione di Tango”, della scrittrice argentina Elsa Osorio. Franca e Maria Grazia lo hanno già letto durante il bel viaggio in Argentina che risale a tanti anni fa; lo propongono per rivivere le atmosfere del Tango e per provare a “ballarlo” con le amiche del gruppo di lettura. Teresa, che non lo ha ancora letto, si è lasciata sedurre del titolo e dalla recensione che racconta di una danza simbolo dell’identità argentina, dove il Tango prende parte alla vita dei personaggi, intrecciandosi con le loro storie e avendo come sfondo la situazione politica del paese sudamericano di fine ottocento, dalle prime ondate immigratorie, i primi moti socialisti, fino alla dittatura militare nel 1930.

Il racconto è una saga corale di diverse generazioni nella quale si muovono numerosi personaggi collocati in tempi e luoghi diversi con i quali non è stato facile destreggiarsi nella lettura. In una milonga parigina si incontrano Ana, giovane sociologa ricercatrice nata a Buenos Aires, ma emigrata da piccola in Francia e Luis, un regista argentino di passaggio a Parigi. Entrambi hanno la passione per il tango. Il pretesto narrativo nasce dal passato argentino che accomuna i due personaggi: il bisnonno di Ana, Hernàn Lasalle, era un grande ballerino di tango e Asunciòn, bisnonna di Luis e domestica in casa Lasalle, che condivideva con Hernàn l’attrazione per il tango e un amore impossibile.

La particolarità del romanzo, il cui titolo originario è “Cielo di Tango”, è la presenza di un personaggio incorporeo, il Tango, che diventa qui simile ad un luogo dove i diversi personaggi oramai defunti, tornano a vivere come voci di un Coro in remoto che commentano e partecipano emotivamente alle vicende dei viventi, tanto quanto i personaggi stessi.                        

Di non semplice lettura, il racconto della Osorio, sovrapponendo tempi diversi, discorsi diretti ed indiretti, trasferendo un soggetto narratore ad un altro, ricorda il ritmo del Tango basato sull’improvvisazione, caratterizzato dall’eleganza delle pause, da movimenti rigidi, con brusche impennate, casquet e dalla passionalità. La storia raccontata è in realtà l’evoluzione del Tango la cui musica risuona in ogni pagina, trasmettendo un sentimento di passione, ma anche di amarezza e malinconia che prende origine dalle storie di migrazione nel’’800. L’Autrice esprime nel suo racconto, l’anima del Tango, un ballo che è diventato parte integrante della cultura argentina, dove immigrati e crillos si sono fusi in una danza che è anche un abbraccio.

“E in noi che lo balliamo” dice Carlota “il corpo si muove con una volontà propria, indipendente da ogni idea…come se fosse posseduto…lasciarsi abitare da Tango”; “Quel che è certo è che Tango si è espresso attraverso di noi”, dice Hernàn, “tutti insieme nessuno in particolare, abbiamo fatto Tago e per questo siamo qui. Ce lo siamo conquistati”.

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Breve nota a cura di Isa Bergamini dopo l’incontro del gruppo di lettura:

E’ stato detto che il libro non è del tutto riuscito sotto vari aspetti. Deludente in particolare perché non sa far parlare la storia come invece si riprometteva e in qualche modo ammicca al modello del romanzo ottocentesco europeo. I personaggi percorrono pagine in un intrico di situazioni, luoghi e tempi diversi che si sovrappongono e che rendono ardua la lettura, tanto che per renderla più agevole è stato necessario costruirsi una mappa con nomi e relazioni di parentela. 

Il libro è stato definito in parte artificioso, costruito con frammenti di cronaca,  non raggiungendo così né profondità né emozione nel delineare i personaggi.

Il Tango non è l’unico protagonista perché la storia è corale, con un racconto che procede proprio come un tango con slanci, pause, riprese e inversioni di rotta, che sono proprio la nota o meglio lo spartito di questo libro con tutte le difficoltà che ne comporta la lettura. Il testo risulta alcune volte divertente, ma in definitiva deludente.

Sono stati anche evidenziati alcuni caratteri specifici di una parte della tradizione latino-americana, il rapporto con i morti, la presenza di una meta-realtà sia a livello collettivo che personale.

Naturalmente si è parlato del Tango e sono stati citati:

  1. il film “Lezioni di tango” di e con Sally Potter, film del 1997. Il film non ha alcuna relazione con il libro di Elsa Osorio
  2. “Il Tango” di Jorge Luis Borges, Adelphi, 2019
  3. “Evaristo Carriego” di Jorge Luis Borges, Einaudi, 1972

Arte in due. Incontro con Katia Ricci

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Giovedì 5 maggio, ore 17:00

l’Adirt organizza un incontro presso la sede delle C.G.I.L, Fondazione Rita Maierotti, via Giuseppe Volpe n.4.

Arte in due:

Larionov (Tiraspol 1881) e Goncharova (Negaevo 1881)

Dialogo senza frontiere

Con Katia Ricci, docente e critica d’arte, scrittrice, curatrice di mostre e cataloghi di artisti contemporanei, cofondatrice del circolo culturale “La merlettaia” che ha sede a Foggia e che si occupa di libertà civili e di emancipazione delle donne. 

Accesso con mascherina FFP2 e Green pass valido.

Contatti: 339.4029450 – 338.4639612

Cacao, di Jorge Amado

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15 marzo 2022

Jorge Amado, “Cacao“, traduzione di Daniela Ferioli, Einaudi, 2015. Proposto da Elisa Cataldi.

di Elisa Cataldi

Alla fine del 1800 – inizi del 1900 l’Europa e l’America del Nord si scoprono golose di Cioccolata: questo rappresenta lo stimolo per i latifondisti (o aspiranti tali) dell’America Latina ad una deforestazione selvaggia per fare spazio a monocolture di CACAO. Gli stati a sud di Bahia diventano l’Eldorado anche per migliaia di braccianti che si trasferiscono nelle “fazendas” col miraggio di guadagni che migliorino la loro atavica miseria. I proprietari delle piantagioni però, conoscono una sola legge: la produzione del Cacao e la sua quotazione. Lo sfruttamento della manodopera diventa clamoroso, configurando condizioni di vera e propria schiavitù.

Jorge Amado, all’età di 20 anni, nel 1933, avendo assistito direttamente a queste perequazioni sociali in quanto figlio di un proprietario terriero, grande produttore di cacao, scrive questo piccolo libro di denuncia (116 pagine) che risulta molto efficace e coinvolgente. Lo stesso Autore dice che non si tratta di un romanzo, non è letteratura, non vi è raccontata una storia vera e propria, ma dopo averlo letto risulta chiaro che oltre l’impegno politico, siamo di fronte ad un’opera di altissima letteratura, eccome!!! Si tratta di uno spaccato di quella società fatta di soprusi ed ingiustizie, che J. Amado denuncia con una scrittura semplice e diretta ma con la eccezionale capacità affabulatoria coinvolgente e ricca di sensualità, che caratterizzerà tutta la sua opera successiva.

Una miriade di personaggi vivi, pulsanti, dai sentimenti forti, intensi nell’allegria come nel dolore. Personaggi di fronte ai quali non si può restare indifferenti, così ben disegnati nel loro profilo psicologico, che non si fa fatica a riconoscere il prepotente, l’ingenuo, l’arrivista, il cattivo, l’amico, l’arrogante etc. Lo scrittore ci fa immergere in atmosfere di sopraffazione, di arroganza, di sofferenza, di rabbia, di odio, ma anche di amicizia, di solidarietà tra gli ultimi della terra e di estrema dignità. Un piccolo gioiello insomma, che ci fa comprendere i motivi di una svolta comunista e dell’inizio di una coscienza di classe come dice l’autore, col cuore pulito e felice.

Complementare a questa narrazione è risultato il supporto di: “Le vene aperte dell’America Latina” di Eduardo Galeano, che sviluppa le stesse tematiche anche se col taglio non più di un’opera letteraria, ma di una vastissima ed esaustiva inchiesta giornalistica.

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Breve nota a cura di Isa Bergamini dopo l’incontro del gruppo di lettura:

Il libro è risultato a tutte molto interessante e anche coinvolgente. Interessante per i temi storici, politici e sociali nel Brasile dei primi anni ‘30, ma anche coinvolgente per la scrittura alta di  J. Amado ancora in giovane età, quando scrisse questo libro. A più voci si è parlato di alta letteratura per la capacità dimostrata nel delineare i personaggi con pochi efficaci tratti e con una scrittura essenziale e diretta.

Molti i temi che il libro affronta e che sono stati colti e sottolineati.

J. Amado dichiara esplicitamente nella nota iniziale, il suo intento di aver voluto scrivere un libro politico, infatti la sua attenzione è in particolare focalizzata sulla presa di coscienza della solidarietà di classe da parte del giovane protagonista, intorno al quale si muovono personaggi appartenenti a classi sociali distanti e contrapposte che evidenziano le contraddizioni di quella società in quel momento storico. In particolare si è parlato della complessità di tutte le figure femminili, che anche in questo libro di J. Amado hanno una dimensione da protagoniste, come saranno ancor più nei libri scritti nella maturità.

Molto interessanti sono stati i riferimenti alla storia del Brasile fatti da Monica, che ci hanno permesso di cogliere una serie di sfumature che Amado è riuscito a far trasparire dalle pagine di questo piccolo e denso libro.

E’ stato fatto anche un ardito confronto con l’esperienza di Carlo Levi in luoghi e tempi diversi, ma con emozioni, scelte politiche simili e la volontà di denuncia di profonde ingiustizie sociali.

E’ stato detto che molti temi che J. Amado ha affrontato e denunciato nei suoi primi libri compaiono in “Le vene aperte dell’America Latina” di E. Galeano, scritto negli anni ’60. E’ anche stato sottolineato come ancora oggi la situazione di subordinazione delle classi lavoratrici rispetto alla classe dei padroni e al grande capitale internazionale, sia rimasta la stessa in America Latina dopo la violenta cancellazione di tentativi di nuovi ordinamenti democratici nel secolo scorso.

Accanto ai temi politici si è parlato della qualità letteraria di questo libro, per la sua costruzione, per il colore dal quale traspare il netto confronto etico ed estetico fra il mondo dei ricchi e quello dei “nati vinti”. Infine è stata sottolineata la felice chiusura del libro che si apre alla speranza, una speranza che nasce dalla consapevolezza dei propri diritti: “Partivo per la lotta con il cuore libero e felice”. Sono stati fatti riferimenti alle ricerche di Claude Lévi-Strauss, ai rapporti di J. Amado con J.P. Sartre e A. Camus.

Per un approfondimento sulla storia dell’America Latina al tempo della conquista, si è detto che è importante e molto interessante “La conquista dell’America. Il problema dell’altro” di Tzvetan Todorov, Einaudi.

Bari inedita – il mare e la sua città. Di Marco Montrone

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Martedì 15 marzo, alle ore 17:30

nella Sala Consiliare del Palazzo della Città metropolitana di Bari, sarà presentato il libro dal titolo “Bari inedita – Il mare e la sua città” (Gelsorosso Editore), a cura di Marco Montrone, direttore responsabile della testata giornalistica Barinedita

Oltre all’Autore interverranno Lucia Aprilepresidente ADIRT (Associazione Difesa Insediamenti Rupestri e Territorio) e Amalia Mancini, scrittrice. 

Il volume celebra Bari, città di mare e sul mare. Attraverso una “passeggiata” suddivisa in sei tappe, da Santo Spirito sino a Torre a Mare, vengono raccontati edifici, porti, torri, moli, lame, oasi naturalistiche e spiagge che si trovano lungo i 58,9 chilometri di litorale barese. Luoghi che raccontano di antiche leggende, di vecchi mestieri, di pesci e pescatori, di venti e di cultura.  

I capitoli, corredati da numerose fotografie, traggono spunto da diversi articoli pubblicati in questi anni da Barinedita, uniti in un vero e proprio racconto che si pone l’obiettivo di guidare il lettore alla scoperta dello “skyline” cittadino.

Poichè è importante conoscere il numero dei partecipanti, è necessario che entro domani mattina, Socie e Simpatizzanti diano la propria adesione chiamandomi al numero: 339.4029450

Lucia Aprile

La vita bugiarda degli adulti, di Elena Ferrante

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22 febbraio 2022

Elena Ferrante, “La vita bugiarda degli adulti”, Edizioni e/o, 2019, pag. 336. Proposto da Monica Mc Britton.

di Monica Mc Britton

Perché ho proposto la lettura di “La vita bugiarda degli adulti”?

Innanzitutto, perché è di Elena Ferrante e lei è una scrittrice italiana contemporanea che mi piace, la ritengo stimolante, complessa, non-banale e un esempio di scrittura femminile. Tutti questi elementi mi hanno fatto venire il desiderio di sentire anche voi, di avere un confronto. Del resto, il mio interesse per Elena Ferrante era sufficientemente solido da consentirmi di proporvi un testo che non avevo ancora letto.

In merito alla sua scrittura, ci sono una serie di interventi. Anche Lei interviene spesso. Trattasi di un modus operandi un po’ particolare. Come si sa, Elena Ferrante è pseudonimo: non sappiamo chi sia. Girano una serie di ipotesi. Francamente la questione mi lascia fredda. In definitiva, condivido l’idea che la personalità concreta di uno scrittore o una scrittrice è secondaria. Tuttavia, mi interessa molto la riflessione che un Autore o una Autrice fa della sua attività di scrivere. Così ho letto anche “I margini e il dettato”, pubblicato da Elena Ferrante nel 2021, che contiene tre lezioni all’Università di Bologna e un saggio su Dante. In queste lezioni, Lei sottolinea come è passata – anche grazie alla lettura di Adriana Cavarero, “Tu che mi ascolti, tu che mi racconti” (un libro che anche io amo molto) – da una scrittura fondata sulla narrazione autobiografica del personaggio femminile ad una narrazione, sempre in prima persona, ma fondata su una relazione (“L’amica geniale”) ad una pluralità di relazioni, come è il caso di questo romanzo.

In questo romanzo, appunto, non c’è solo il rapporto fondamentale fra Giannina e la zia Vittoria, il quale scatena una serie di altri rapporti, ma è anche la relazione che obbliga Giannina a rivedere i suoi rapporti con le sue amiche di sempre e quindi impostarli diversamente. In ultima analisi è un romanzo di formazione ed è intrigante l’espediente del braccialetto che, man mano che il testo si sviluppa, assume una dimensione quasi magica. In questo senso, può essere letto come una rivisitazione di un amuleto napoletano…Ed è anche il pretesto per evidenziare una serie di “bugie” degli adulti. Per ultimo, vorrei chiamare l’attenzione sulla rilevanza di Napoli e sulle soluzioni letterarie utilizzate per evocare il dialetto napoletano. Rispetto a quest’ultimo profilo, il dialetto è evocato, ma non puntualmente trascritto.

Post-scriptum: A seguito degli stimoli pervenuti dalla discussione, mi viene da aggiungere che questo sicuramente non è il miglior lavoro di E. Ferrante e quindi è non molto adatto a invogliare all’approfondimento della sua opera. Tuttavia, rimango convinta che, nel panorama, odierno, l’A. merita di essere letta.

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Breve nota a cura di Isa Bergamini dopo l’incontro del gruppo di lettura:

“Romanzo di formazione; senza anima, non genera emozioni; storia ben articolata, molto ben raccontata la complessità delle relazioni fra le persone; romanzo mediocre sulla mediocrità; l’intreccio della storia è realistico e credibile; molto ben raccontata la psicologia dei personaggi, gli adulti con la loro pochezza e soprattutto la complessità dell’adolescenza; linguaggio ruvido; molto ben scritto; scrittura banale, sovrabbondante; personaggi senza sfumature; brutta copia dell’”Amica geniale”; noioso; retorico; la presenza di Napoli è ben costruita; Napoli è sbiadita non c’è il carattere della città; Napoli il macrocosmo in cui si muove una micro storia simile a tante; è un’operazione editoriale; è una scrittura autobiografica sulle relazioni fra donne; interessante uso indiretto del dialetto; racconto privo di spessore; il finale aperto è molto simile alle serie televisive; il finale aperto può voler dire una ripartenza nella vita della protagonista o della storia.

L’anonimato della scrittrice sembra una sapiente operazione di promozione; l’anonimato è una ragione di tutela della libertà personale.”

Tutto questo si è detto con toni diversi e  contrastanti,  sempre molto appassionati.

Durante la discussione sono stati citati:

“Tu che mi guardi, tu che mi racconti. Filosofia della narrazione”, Adriana Cavarero, Feltrinelli, 2001

“I margini e il dettato”, Elena Ferrante, ed. e/o, 2021

“Su tutti i vivi e i morti. Joyce a Roma”, Enrico Terrinoni, Feltrinelli, 2022

“Napoli porosa”, Walter Benjamin, Asja Lacis, Libreria Dante&Descartes, 2020

“Leggere gli uomini”, Sandra Petrignani, Laterza, 2021

“Lessico femminile”, Sandra Petrignani, Laterza, 2019

“Libri che mi hanno rovinato la vita e altri amori malinconici”, Daria Bignardi, Einaudi, 2022. P. 176

L’Adirt al Laboratorio di restauro

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MERCOLEDI 9 marzo, alle ore 17.00 

L’Adirt  visita un Laboratorio di restauro a cielo aperto nel quartiere Madonnella.
Si tratta di Palazzo Ladisa, in corso Sonnino n. 144/b , progettato negli anni ’50  da Chiaia e Napolitano insieme con il pittore Gennaro Picinni.

Ora vi è un cantiere la cui direzione dei lavori è dell’arch. Riccardo Pavone mentre la direzione tecnica è dell’arch. Elisabetta Ranieri

Il nostro interesse nasce  per l’attenzione posta dai residenti nella ricerca storica  e per la conseguente azione di salvaguardia dei moduli architettonici e pittorici.
Ci lavorano con passione e rigore le restauratrici Claudia Catacchio e Arianna Quarta, coordinate da Elisabetta Longo. Lavorano  con tessere in vetro, ricreano i mosaici e li riportano nelle zone danneggiate.
Tutto questo tra il portone del palazzo e la strada.

E’ necessario che i Soci diano la propria adesione muniti come sempre di mascherina e green pass.
Info:    339.4029450    –    338.4639612

in allegato la foto delle giovani restauratrici di palazzo Ladisa

Ricordando Arturo. L’Adirt visita la Mostra “Donne resistenti”.

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A Soci e Simpatizzanti,

Sabato, 5 febbraio 2022, ore 11:00

Museo civico, Strada Sagges n.13

“Ricordando Arturo”

l’Adirt visita la mostra “Donne resistenti. Italia, Spagna, Germania, Francia” le donne nella Resistenza europea e le importanti pagine scritte da loro anche a Bari.
La mostra è stata realizzata in Italia dall’ANPI provinciale di Bari e dalla sezione ANPI Bari Arturo Cucciolla.  Con noi Nicola Signorile.
E’ importante conoscere il numero dei partecipanti, sempre con green pass e mascherina FFP2.
Vi invito a contattarmi al più presto.

Lucia Aprile

Info:  339.4029450      338.4639612

La nostra mail:           info@adirt.it  

Il nostro sito  :            www.adirt.it

Adirt Social  :             https://www.facebook.com/groups/211127923815649/?ref=share

L’Adirt visita la Mostra fotografica: Ri-Tessere

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A Soci e Simpatizzanti,

l’inaugurazione della Mostra fotografica di Olga Diasparro “Ri-tessere” presso l’ex Palazzo delle Poste in piazza Cesare Battisti, su un progetto a cura di Giraffa Onlus e Fondazione Finanza Etica, mi dà l’opportunità di ricordare un bel momento del nostro “Andare Adirt”:
la visita nel 2006 della “Fondazione Le Costantine”, nella frazione Casamassella di Uggiano la Chiesa (Le). Si tratta di un centro di attività agricola, artigianale e pedagogica nato per volontà di Lucia De Viti De Marco, figlia del noto economista Antonio. Un’oasi di pace immersa tra uliveti e macchia mediterranea  che riunisce in una sola realtà l’ospitalità, la tessitura, l’agricoltura biodinamica e la formazione.
Ci colpì in modo particolare il Laboratorio di tessitura artigianale “Amando e Cantando che produceva  manufatti tessili realizzati su antichi telai in legno a 4 licci riprendendo tradizioni e tecniche risalenti a centinaia di anni fa. 
E soprattutto il progetto  che, dando lavoro e autonomia alle donne, le rendeva protagoniste della loro vita in un contesto spesso chiuso e poco attento ai loro bisogni.
Ci colpì il Racconto…..
“Una bambina, non riuscendo a pronunciare la parola Signora, la chiamava Ora. Ella non poteva mettere in difficoltà quella bambina, e così volle essere chiamata Ora da tutte le persone che la circondavano. Da allora Lucia De Viti De Marco fu per tutti Ora.”
Un grazie ancora oggi a Marinella Sorrentino  e a Giuseppe Quinto che, da appassionati del Salento,  resero  possibile tutto questo.

ed è per tutto questo che:

SABATO 29 gennaio 2022, ore 10.30, ex Palazzo delle poste, piazza Cesare Battisti 1,
l’Adirt visita “Ri-Tessere”, la mostra fotografica  che racconta per immagini il progetto ”Semi di futuroImprenditorialità femminile contro la violenza di genere” e che vede la collaborazione di Associazione Giraffa onlus, Fondazione  Finanza etica e la Fondazione salentina Le Costantine.
Con noi Olga Diasparro, autrice degli scatti e Maria Pia Vigilante, presidente di Giraffa onlus.

Vi invito a contattarmi al più presto.

E’ importante conoscere il numero dei partecipanti, sempre con green pass e mascherina FFP2.
A presto.

Lucia Aprile

Info:  339.4029450      338.4639612

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Un brav’uomo è difficile da trovare, di Flannery O’Connor.

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18 gennaio  2022

Flannery O’Connor, “Un brav’uomo è difficile da trovare”, Minimum fax, 2021, p. 283. Proposto da Adriana Pepe.

di Adriana Pepe

   La recente riedizione di questa raccolta di dieci racconti, la prima pubblicata da Flannery O’Connor nel 1955, ci ha dato l’occasione per accostarci a questa singolare scrittrice, una delle voci più originali della letteratura nordamericana della prima metà del Novecento.  La bella traduzione di Gaja Cenciarelli preserva la straordinaria forza espressiva della scrittura della O’Connor, crudamente realistica ma anche densa di suggestioni emotive e visive. Sin dal primo racconto che dà il titolo alla raccolta – la storia pulp della strage, su una strada di campagna della Georgia, di una  famigliola in vacanza, ad opera di tre assassini evasi – si evidenzia il feroce sarcasmo, il gusto del grottesco che costituiscono la cifra essenziale della narrativa della O’Connor. Caratteristiche  che hanno fatto considerare questa scrittrice – nata a Savannah in Georgia e vissuta per la maggior parte della sua breve esistenza  (1925-1964) nella fattoria di famiglia di Milledgeville – una esponente significativa della cosiddetta “Southern Gotic literature”. Grottesco, mistero, violenza, orrore sono aspetti tipici di questo filone letterario (Carson McCullers, Truman Capote, Tenneesse Williams, per certi versi anche W. Faulkner), alimentato dalla forte tradizione orale, intrisa di elementi afro, degli stati del Sud. Ma la O’Connor, nei suoi numerosi saggi sulla tecnica e il significato della sua scrittura, prende le distanze da questo tipo di narrativa. Animata da una salda fede cattolica (la sua famiglia è di origine irlandese), sostenuta da studi di teologia e sociologia, la O’Connor permea i suoi racconti di un profondo senso del divino e conferisce al grottesco e alla violenza una dimensione fortemente simbolica,  espressione di una umanità marchiata nel corpo e nello spirito dal peccato originale. Una umanità che attraverso una situazione estrema, un evento traumatico, arriva a riconoscere la misteriosa azione  salvifica della Grazia. I racconti, come i suoi due romanzi – La saggezza nel sangue (1952) e Il cielo è dei violenti (1962)- sono popolati da “brava gente di campagna” bigotta e razzista, da predicatori folli, falsi profeti, personaggi la cui tara morale  si concretizza spesso in deformità fisica o psichica. Con l’arma del paradosso e di una feroce ironia la O’Connor esprime una dura presa di posizione verso gli aspetti deteriori della società – perbenismo ipocrita, razzismo, proliferazione di strane sette religiose- negli stati del Sud degli anni Cinquanta. 

Per una più approfondita conoscenza di questa scrittrice: Fernanda Rossini, Flannery 0’Connor. Vita, opere, incontri, Edizioni Ares 2021

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Breve nota a cura di Isa Bergamini dopo l’incontro del gruppo di lettura:

Per alcune è stata una vera scoperta questa grande scrittrice americana del ‘900, erede di W. Faulkner, N. Hawthorne e per certi aspetti anche di E.A. Poe.

Da tutte è stato particolarmente sottolineato l’alto livello della scrittura straordinaria, raffinata e densa di suggestioni, con uno stile asciutto e essenziale, apparentemente semplice e si è anche ricordata l’esperienza formativa della O’Connor come autrice di strisce a fumetti satirici. Differenti sono state le reazioni alle storie di questa umanità dolente e scomoda, condannata a un esito esistenziale oscuro. Il grottesco, l’orrore e il senso del mistero che caratterizzano parte della tradizione letteraria della letteratura del Sud degli Stati Uniti ricorrono nelle pagine di questi racconti, dove la violenza e l’infelicità trovano una promessa di riscatto solo nella profonda spiritualità e religiosità dell’autrice. Il suo pungente sarcasmo prende le distanze dal mondo bigotto delle tante sette religiose che già negli anni in cui lei scriveva, raccoglievano sempre più adepti in particolare negli Stati del Sud, ancora oggi espressione di un mondo conservatore e chiuso.

Si è detto che le storie di questi racconti riflettono un mondo di miseria morale, senza utopia, che al verificarsi di un imprevisto diventano dramma. E’ stato anche sottolineato che Flannery O’Connor aveva fatto studi di sociologia ed è stato evidenziato come, con i ritratti di una umanità predestinata al male, si sia collocata  rispetto alla scuola teorica degli anni in cui aveva studiato.

In fine è stata posta la questione di quale fosse un possibile specifico femminile nella scrittura di Flannery O’Connor, decidendo di ritornare su questo tema in altra occasione.

Durante l’incontro si è fatto riferimento anche a Tennessee Williams, Truman Capote, William Faulkner, al cinema di Joel ed Ethan Coen, al film di John Huston “La saggezza del sangue “ del 1979 e al film documentario “Flannery” a lei dedicato del 2019.

Noicattaro, 9 gennaio 2022. Il Teatro cittadino nojano.

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SABATO 8 GENNAIO 2022 l’Adirt si è recata a Noicattaro per una visita guidata del Teatro cittadino nojano, ritenuto il più piccolo teatro d’Europa. Già nel 2010 avevamo prenotato una visita, ma all’ultimo non fu possibile perché luogo non ritenuto sicuro.
Dopo più di 60 anni dall’ultimo spettacolo e al termine di un attento e accurato restauro ad opera dell’architetto Luigi Sylos Labini viene restituito alla collettività.
Nel 2019 diventa famoso in tutto il mondo per essere stato il set di una delle scene più suggestive del film “Pinocchio” di Matteo Garrone.

Il Teatro all’italiana più piccolo al mondo è una struttura ipogea, ambientata in un vecchio trappeto del 1700, il “trappeto del Carmine”, appartenente ai duchi Carafa di Noja, antico nome di Noicattaro. La sua storia è un tormentato percorso fatto di divulgazione della cultura, dissesti finanziari e numerose “altre vite”. Nel corso della sua breve esistenza, il teatro è stato infatti anche un cinema, un deposito e persino un’abitazione di fortuna per alcuni sfollati.

Il Teatro nasce ufficialmente con la delibera comunale del 20 marzo 1869, ma già nel 1863, l’assessore Sturni, sulla spinta delle famiglie dell’alta borghesia locale, legate all’imprenditoria agricola, desiderose di offrire uno svago ai cittadini e ai contadini, aveva proposto di trasformare il vecchio trappeto in teatro che, grazie ad un abile lavoro di falegnameria, ha rappresentato per quasi un secolo un importante centro culturale e ricreativo. Per la riconversione della struttura, un privato aveva devoluto al Comune nojano la somma di 1.700 lire. Il progetto di conversione della struttura in teatro fu curato dal regio ingegnere Francesco Paolo Nitti.

Una volta giunti in via Carmine, non è difficile individuarlo, perché su un portone posticcio in metallo è ancora visibile la scritta, in stampatello: “Teatro cittadino”. Dall’ingresso parte una breve scalinata che conduce nell’ipogeo, dove troviamo due spazi ben distinti: a sinistra l’area destinata al pubblico e a destra quella utilizzata dagli attori.

Il Teatro all’italiana si caratterizza innanzi tutto per la netta separazione tra platea, cioè lo spazio per il pubblico, e proscenio, vale a dire la zona riservata agli attori, il cosiddetto “arco di proscenio”, cioè quella struttura, qui in legno, che separava visivamente i due ambienti, sulla quale sono ancora visibili gli stemmi del Comune nojano. A sinistra dell’arco di proscenio, si stende la platea e, sul fondo, si innalzano i due ordini di palchi, destinati rispettivamente all’alta borghesia e nobiltà locale il primo, alla plebe il secondo. Un’altra caratteristica del Teatro all’italiana – ci spiega la guida Viria Rescina – è proprio la netta separazione delle classi sociali all’interno della struttura: popolo e famiglie facoltose dovevano evitare ogni contatto e così, l’accesso ai due ordini prevede due ingressi diversi: a destra quello dei ricchi, a sinistra la scalinata che conduce al secondo ordine, detto anche piccionaia. Il primo ordine contava dieci palchi, il secondo nove. In totale il Teatro ospitava fino a 200 persone, che potevano stare sedute o in piedi. Le autorità cittadine avevano un palco a parte, cui si accedeva da una scala in legno e di cui oggi restano visibili i segni lasciai dai pioli nel tufo. A destra della scalinata d’ingresso è l’area destinata agli attori. Ancora oggi sui lati del quadrilatero che costituiva la base del palcoscenico sono visibili i fori delle travi che reggevano la struttura, mentre al di sopra, alcune travi di legno conservano le giunture che servivano a mantenere le varie scenografie. I camerini si trovavano sotto il pavimento, sul quale si aprivano tre botole: una per gli attori, l’altra per le attrici, una terza, infine, destinata al gobbo.

Il Teatro ebbe vita breve ma intensa e fu chiuso definitivamente intorno agli anni 60 del secolo scorso, successivamente murato per questioni di igiene pubblica. Nel 2006 il Fai (Fondo italiano per l’ambiente), ha commissionato il progetto di recupero del teatro all’architetto Luigi Sylos – Labini. Da un’indagine comparativa effettuata dallo stesso Sylos-Labini, su un teatro simile, a Perugia, è emerso che la struttura nojana ruba lo scettro di teatro più piccolo del mondo per pochi metri quadri (circa una ventina) alla struttura umbra. L’architetto ha realizzato un piano di recupero (donato al Comune di Noicattaro) per il quale è stato previsto lo stanziamento di un milione di euro (fondi regionali ed europei) che sono serviti a ristrutturare non solo la costruzione, ma anche alcuni spazi attigui, come una corte esterna che è diventata foyer.

Un grazie sentito alla nostra guida Viria Rescina per il suo racconto ricco di storia e di amore per i territorio

Quando tornerò, di Marco Balzano

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16 dicembre 2021

Marco Balzano, “Quando tornerò”, Einaudi, 2021. Proposto da Elisa Cataldi

di Elisa Cataldi

Entroterra rurale dei paesi dell’Est Europa dopo la disastrosa caduta dell’impero sovietico, “paradiso” socialista che comunque assicurava un lavoro a tutti. Ora c’è solo miseria, ora si può solo emigrare per sopravvivere, per assicurare ai propri figli una vita decente, un’istruzione, un futuro.

Ma in questo caso, ad emigrare sono per lo più le donne, spesso anche con alti livelli di scolarizzazione. Gli uomini invece restano a casa, spesso rozzi, ignoranti, tenacemente attaccati al loro ruolo di padre-padrone, spesso dediti all’alcool. Ma soprattutto, a restare a casa sono i figli, molti anche in tenera età, bene o male affidati a parenti anziani (il cosiddetto fenomeno degli ORFANI BIANCHI ).

E’ il fenomeno delle BADANTI. La opulenta società europea, e soprattutto italiana, a partire dagli anni ’90,  ha scoperto la comodità di delegare la cura dei propri anziani alle donne dell’Est, spesso sottopagandole e “in nero”. Una moderna schiavitù che comporta la disgregazione di intere famiglie, la crisi irreversibile di rapporti famigliari e tanto tanto dolore sia in chi va (“ Mal di Italia”), che in chi resta.

Marco Balzano racconta nel suo “Quando tornerò”, di un caso paradigmatico di questo fenomeno. Ci fa riflettere, dà voce a chi non ce l’ha, perché … ”loro badano ma nessuno bada a loro!”

Una storia durissima e crudele nella quale l’autore ascolta con rispetto ed empatia il dolore di queste persone.

Lo fa con una scrittura facile, lineare, forse un po’ piatta e banale: a fronte di una problematica sociale ed umana tanto importante; la narrazione spesso non risulta abbastanza coinvolgente ed emozionante.

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Breve nota a cura di Isa Bergamini dopo l’incontro del gruppo di lettura

Unanime è stato il giudizio sull’importanza del tema scelto dall’autore e anche sullo stile piatto e facile della pagina, ma molto differenti i pareri sul libro. Per alcune i temi trattati sono così tanto importanti da far esprimere un giudizio positivo complessivo, mentre per altre molto chiaramente il risultato è deludente sia per la qualità della scrittura che per la struttura stessa del romanzo, i cui personaggi hanno una loro oggettiva drammaticità che risulta banalizzata nel testo. Vera ha approfondito e spiegato quello di cui si parla nella nota finale del libro dove Balzano scrive di “Male d’Italia” e di “Orfani bianchi”, denunciando così esplicitamente le ragioni da cui è nato il suo romanzo, che cerca di dar voce alle donne che vengono dai paesi dell’Est ad assistere i nostri anziani e ai loro figli rimasti a casa, sconvolgimenti sociali e problematiche umane che trovano impreparate le nostre società, che non sanno affrontare la vecchiaia sempre più avanzata e diffusa, lasciando alle leggi del mercato la soluzione.

GIOVEDI 16 DICEMBRE. Conversazione con Nicola Signorile e VENERDI 17 DICEMBRE, Festa del Tessaramento.

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GIOVEDI 16 DICEMBRE, ore 17.00

presso C.G.I.L. Fondazione Rita Maierotti, Via Giuseppe Volpe, n.4
“Scolorare di verde
“, una conversazione sul “Nodo verde”, il progetto per il Parco sui binari, firmato da Massimiliano Fuksas.
Il piano riguarda un’area urbana  che include piazza Moro e tutto il fascio ferroviario compreso tra corso Italia e via Capruzzi (sull’asse nord-sud) e da corso Italia a via Eritrea (sull’asse ovest- est).
Si punta alla creazione della nuova stazione e, soprattutto, della collina artificiale che scavalcherà i binari.
Con Nicola Signorile
Si accede solo con Green Pass

VENERDI 17 DICEMBRE, ore 17.00

FESTA DEL TESSERAMENTO

presso il Salone parrocchiale di San Giuseppe, largo monsignor Curi.
Si accede dalla stradina laterale parallela al cinema Esedra e sempre con Green Pass.

Lucia Aprile

info: 339.4029450 – 338.6092628

Domenica 12 dicembre. l’Adirt in via Sparano

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DOMENICA 12 DICEMBRE, ore 10.00

Appuntamento presso la Fontana di Piazza Moro, di fronte alla stazione centrale. Con mezzi propri.
L’Adirt in via Sparano: il Borgo murattiano, la Città contemporanea.
Sarà con noi l’architetta Maddalena Scalera che ci aiuterà a cogliere le mutazioni della città che vive e si trasforma nel tempo, anche nel disegno urbano di via Sparano, una delle principali arterie del Borgo murattiano. 
Integrazioni e sostituzioni, pause e accelerazioni, prospettive e attraversamenti raccontano relazioni tra cose e persone, tra commercio, arte e futuro.

P.S. L’incontro, limitato a non più di 20 persone, è necessariamente destinato a Socie e Soci dell’Adirt.

Lucia Aprile

info: 339.4029450 – 338.6092628

Lunedi 6 dicembre. Incontro con Paola Fresa

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Dedicato a Gianni Attolini

LUNEDI 6 dicembre, ore 17.30 

presso C.G.I.L. Fondazione Rita Maierotti, Via Giuseppe Volpe, n.4
L’Adirt incontra Paola Fresa: ci racconterà il suo amore per il teatro e ”Il Problema” una sua opera che sarà rappresentata:

SABATO 11 dicembre, ore 21.00, al Nuovo Teatro Abeliano – Via Padre Massimiliano Kolbe, n.3
“Il Problema”. Menzione Speciale Premio Platea 2016, ha tra i suoi interpreti: Nunzia Antonino, Michele Cipriani, Franco Ferrante, oltre che la sua autrice, Paola Fresa.

Lucia Aprile

Info:  339.4029450      338.6092628

www.adirt.it

Incontro Giovedi 2 dicembre 2021. Bari CostaSud

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L’Adirt torna ad incontrarsi e lo fa con uno sguardo sulla città che cambia, convinta, come sempre, che la Conoscenza  sia lo strumento più valido di partecipazione.

GIOVEDI 2 dicembre ore 17.00,  

presso sede C.G.I.L. Fondazione  Rita Maierotti, Via Giuseppe Volpe, 4

“Bari Costasud”, un progetto di riqualificazione della costa: un’ area attualmente segnata dal degrado e dalla scarsa fruizione collettiva diviene un parco lineare costiero lungo 6 km che connetterà il lungomare monumentale novecentesco e le spiagge urbane con i quartieri collocati a est e a sud del nucleo urbano centrale (Japigia, Madonnella, San Giorgio) configurandosi come il parco più rilevante, in termini di dimensioni e funzioni, dell’area metropolitana di Bari. 
Con Nicola Martinelli

NB.
L’accesso presso  C.G.I.L. Fondazione  Rita Maierotti, via Giuseppe Volpe, 4 sarà consentito solo con mascherina e Green pass valido .

Info:  339.4029450   –   338.4639612
info@adirt.it           www.adirt.it

MODIFICHE al Comunicato del 16 novembre 2021

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20 novembre 2021

Modifiche al comunicato del 16 novembre 2021

Care Socie e cari Soci,

Facendo seguito al Comunicato inviato il 16 novembre, Vi INVITIAMO A PRENDERE VISIONE DI ALCUNE MODIFICHE CHE RIGUARDANO SIA LE DATE CHE GLI ORARI DEGLI INCONTRI.

L’incontro del 22 Novembre è stato rinviato al 16 Dicembre

LUNEDI  29 NOVEMBRE, ore 16.30
Appuntamento presso l’ingresso monumentale Fiera del Levante (ex Italy). Con mezzi propri.
Visita guidata di Apulia film house, la casa del cinema e dell’audiovisivoun museo che racconta la storia del cinema ed ospita alcune delle opere più imponenti di alcuni filmmanifesti e locandine dei film della Mediateca regionale pugliese, teche e tavoli espositivi di scenografie e produzioni internazionali girate in Puglia, il “Polo del digitale” con desk e postazioni lavoro per post-produzione, effetti speciali e animazione.
All’esterno, poi, c’è un’arena per proiezioni e spettacoli estivi dove, ad accogliere i visitatori, c’è la “Bocca di Pescecane” realizzata per il “Pinocchio” di Garrone.

GIOVEDI 2 DICEMBRE, ore 17.00 Incontro presso la Fondazione Rita Maierotti, Via Giuseppe Volpe, 4
“Bari Costasud” un progetto di riqualificazione della costa: un’area attualmente segnata dal degrado e dalla scarsa fruizione collettiva diviene un parco lineare costiero lungo 6 km che connetterà il lungomare monumentale novecentesco e le spiagge urbane con i quartieri collocati a est e a sud del nucleo urbano centrale (Japigia, Madonnella, San Giorgio) configurandosi come il Parco più rilevante, in termini di dimensioni e funzioni, dell’area metropolitana di Bari. 
Con Nicola Martinelli

Dedicato a Gianni Attolini
LUNEDI 6 DICEMBRE, ore 17.00 

presso la Fondazione Rita Maierotti, Via Giuseppe Volpe, 4 l’Adirt incontra Paola Fresa: ci racconterà il suo amore per il teatro e ”Il Problema”, una sua opera che sarà rappresentata:
SABATO 11 DICEMBRE, ore 21.00 – Nuovo Teatro Abeliano-
   Via Padre Massimiliano Kolbe, 3.
“Il Problema”, Menzione Speciale Premio Platea 2016, ha tra i suoi interpreti: Nunzia Antonino, Michele Cipriani, Franco Ferrante, oltre che la sua autrice Paola Fresa.

DOMENICA 12 DICEMBRE, ore 10.00 Appuntamento presso la Fontana di Piazza Moro, di fronte alla stazione centrale. Con mezzi propri.
L’Adirt in via Sparano: il Borgo murattiano, la Città contemporanea
Con Maddalena Scalera

GIOVEDI 16 DICEMBRE, ore 17.00 presso la Fondazione Rita Maierotti, Via Giuseppe Volpe, 4
<<Scolorare di verde>>

sul “Nodo verde”, il piano firmato da Massimiliano Fuksas  che riguarda un’area urbana  che include piazza Moro e tutto il fascio ferroviario compreso tra corso Italia e via Capruzzi (sull’asse nord-sud) e da corso Italia a via Eritrea (sull’asse ovest- est). Si punta alla creazione della nuova stazione e, soprattutto, alla collina artificiale che scavalcherà i binari.
Con Nicola Signorile

FESTA DEL TESSERAMENTO

Il luogo e la data vi saranno indicati in seguito

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Sono state create Tre chat Soci Adirt per comunicazioni e per adesioni urgenti.

Il gruppo di lettura LeggerMente si incontra normalmente presso il Museo civico in strada Sagges ,13

La Piazza del Baratto, invece, è ancora sospesa fino a tempi migliori.

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Il nostro viaggio a Napoli è previsto per febbraio 2022.

Si spera che, fatta la terza dose, possiamo serenamente ricominciare il nostro “Andare”

A presto

Lucia Aprile

Info:  339.4029450      338.4639612

La nostra mail:           info@adirt.it  

Il nostro sito  :            www.adirt.it

Adirt Social  :             https://www.facebook.com/groups/211127923815649/?ref=share

Il Bacio della donna ragno, di M. Puig

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9 novembre 2021

Manuel Puig, “Il bacio della donna ragno“, traduzione di Angelo Morino, SUR, 2017.  Proposto da Vanda Morano

di Vanda Morano

Nella convivenza forzata della cella di una prigione argentina un oppositore politico ventiseienne e un omosessuale più maturo imparano a conoscersi superando le diversità. In un ambiente claustrofobico e difficile accade quello che altrove non si sarebbe mai realizzato: amicizia e forte coinvolgimento emotivo. E’ il cinema che crea  un canale di comunicazione che annulla le differenze. Il fragile omosessuale Molina ne conosce la magia e racconta trame di film degli anni ’40; Valentin, spavaldo e controllato, lentamente si fa sedurre, le sue certezze franano. Molina ‘accende lo schermo’. Hollywood regala l’incantamento di terre lontane, di amori esaltanti e la possibilità di sentirsi ‘altri’. La prossimità fisica tra i due diventa rapporto più intimo e occasione per una riflessione ‘politica’. Valentin spinge il compagno di cella a non assumere nella vita di relazione solo un ruolo passivo  e gli chiede anche di contattare i suoi compagni di lotta. Sarà la morte che segnerà un ribaltamento dei ruoli: Molina farà una scelta eroica e Valentin, torturato e sotto l’effetto della morfina, vivrà una allucinazione liberatoria dei sentimenti.

Un romanzo che parla di cinema ma anche di violenza politica, di confini di genere, di tradimenti, di amore, di relazioni familiari, di ambiguità, di concretezza e di immaginazione. L’architettura è sperimentale e si articola in una originale serie di prove stilistiche perfettamente calibrate: liriche descrizioni di film, flussi di coscienza, rapporti di polizia e notizie a piè di pagina sulle teorie psicanalitiche.

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Comunicato Adirt. 16 novembre 2021

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Carissime/i
il desiderio di ripartire  e di ritornare ad occuparci del nostro territorio e del suo patrimonio ci ha portato a Giugno  presso il Faro borbonico del Porto di Bari dove, con Nicola Colaianni, abbiamo letto alcuni brani della Enciclica “Laudato si’“ di Papa Francesco sulla cura della casa comune e con Pasquale Guaragnella, alcune liriche di  Giorgio Caproni e il loro profondo legame con l’amore e la natura .
E poi, come dice Battiato, abbiamo voluto “trovare l’alba dentro l’imbrunire” e quindi abbiamo incontrato Soci e Simpatizzanti all’Alba, a Pane e Pomodoro, per assistere al Sorgere del Sole e per condividere  versi, pensieri  di molti scrittori che si sono ispirati a questo momento del giorno .
In autunno ci siamo ritrovati nel  Museo archeologico di Santa Scolastica, nel Parco di piazza Gramsci e nella Domus Milella per la mostra di Francesco Granito.

Avremmo desiderato dare vita ad altri momenti di incontro ma la ricerca della sede si è rivelata molto più difficile ed è per questo che abbiamo deciso, nell’attesa, di utilizzare alcune sedi disponibili ad ospitarci  come la Fondazione Rita Maierotti in Via Giuseppe Volpe n. 4, aperta di pomeriggio il lunedì e il giovedì, e il Museo civico in Strada Sagges,13.
In tal modo e sempre tenendo presenti le regole anti Covid, possiamo ricominciare.

LUNEDI 22 NOVEMBRE ore 17.30, presso la Fondazione Rita Maierotti Via Giuseppe Volpe, 4
Il «Nodo verde», progetto per il parco sui binari, firmato da Fuksas.
Riguarda un’area urbana  che include piazza Moro e tutto il fascio ferroviario compreso tra corso Italia e via Capruzzi (sull’asse nord-sud) e da corso Italia a via Eritrea (sull’asse ovest- est).
Si punta alla creazione della nuova stazione e, soprattutto, alla collina artificiale che scavalcherà i binari. Con Nicola Signorile

LUNEDI 29 NOVEMBRE ore 16.00, presso l’ex Palazzo del Mezzogiorno Fiera del Levante.
Visita guidata di Apulia film house, la casa del cinema e dell’audiovisivoun museo che racconta la storia del cinema ed ospita alcune delle opere più imponenti di alcuni filmmanifesti e locandine dei film della Mediateca regionale pugliese, teche e tavoli espositivi di scenografie e produzioni internazionali girate in Puglia “il Polo del digitale” con desk e postazioni lavoro per post-produzione, effetti speciali e animazione.
All’esterno, poi, c’è un’arena per proiezioni e spettacoli estivi dove, ad accogliere i visitatori, c’è la “Bocca di Pescecane” realizzata per il Pinocchio di Garrone.

GIOVEDI 2 DICEMBRE ore 17.30, presso Fondazione Rita Maierotti Via Giuseppe Volpe, 4
Bari Costasud” un progetto di riqualificazione della costa: un’area attualmente segnata dal degrado e dalla scarsa fruizione collettiva diviene  un parco lineare costiero lungo 6 km che connetterà il lungomare monumentale novecentesco e le spiagge urbane con i quartieri collocati a est e a sud del nucleo urbano centrale (Japigia, Madonnella, San Giorgio) configurandosi come il parco più rilevante, in termini di dimensioni e funzioni, dell’area metropolitana di Bari. 
Con Nicola Martinelli

Dedicato a Gianni Attolini
LUNEDI 6 DICEMBRE ore 17.30, presso Fondazione Rita Maierotti Via Giuseppe Volpe, 4

L’Adirt incontra Paola Fresa: ci racconterà il suo amore per il teatro e ”Il Problema”, una sua opera che sarà rappresentata SABATO 11 DICEMBRE ore 21.00 – Nuovo Teatro Abeliano – Via Padre Massimiliano Kolbe, 3.
“Il Problema”, Menzione Speciale Premio Platea 2016, ha tra i suoi interpreti gli attori Nunzia Antonino, Michele Cipriani, Franco Ferrante, oltre che la sua autrice Paola Fresa

DOMENICA 12 DICEMBRE ore 10.30, Fontana di Piazza Moro, di fronte alla stazione centrale
L’Adirt in via Sparano: il Borgo murattiano, la Città contemporanea.
Con Maddalena Scalera

GIOVEDI 16 DICEMBRE ore 17.30, Festa del tesseramento

Il luogo vi sarà indicato in seguito

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Sono state create Tre chat Soci Adirt per comunicazioni e per adesioni urgenti.

Il gruppo di lettura LeggerMente si incontra normalmente presso il Museo civico in strada Sagges ,13

La Piazza del Baratto, invece, è ancora sospesa fino a tempi migliori.

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Il nostro viaggio a Napoli è previsto per febbraio 2022.

Si spera che, fatta la terza dose, possiamo serenamente ricominciare il nostro “Andare”

A presto

Lucia Aprile

Info:  339.4029450      338.4639612

La nostra mail:           info@adirt.it  

Il nostro sito  :            www.adirt.it

Adirt Social  :             https://www.facebook.com/groups/211127923815649/?ref=share

Invito alla visione del film – il Successore –

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L’Adirt e il Comitato per la Pace di Terra di Bari invitano Soci e Simpatizzanti alla visione del film “IL SUCCESSORE” in programma Lunedì 8 Novembre 2021, alle ore 20.00, presso il Cinema Splendor, via Buccari 24.
Può accadere che un fabbricante di mine antiuomo decida di smettere di produrle e di impegnarsi personalmente nella bonifica dei terreni nelle ex-zone di guerra?
E’ successo proprio a Bari e questo film racconta questa bella storia.
Venite a vederlo al cinema Splendor insieme col protagonista, l’ingegner Vito Fontana.
Costo del biglietto: € 3,0
La scheda del film: https://www.torinofilmfest.org/it/archivio-torino-film-festival/film/il-successore/24072/#regia

Il clima in città – Invito incontro Cinema Esedra

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A Soci e Simpatizzanti,

l’Adirt ha piacere di incontrare Soci e Simpatizzanti per una iniziativa che, oltre a condividere, affronta tematiche trattate questa estate, a giugno, con Nicola Colaianni, durante la lettura ed il commento dell’Enciclica “Fratelli Tutti” di Papa Bergoglio.

Vi aspettiamo!

l’Acrobata, di Laura Forti

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11 ottobre 2021

Laura Forti, “L’Acrobata”, Giuntina, 2019. Proposto da Isa Bergamini

di Isa Bergamini

E‘ la biografia elaborata dalla scrittrice, di una famiglia ebraica che attraversa il secolo e i continenti.  Racconta un dramma esemplare nel Cile violato dalla dittatura, attraverso il soliloquio introspettivo di grande intensità di una donna.

Si affacciano molti temi importanti per problematicità  e forza di coinvolgimento: la questione ebraica; l’esilio e le separazioni; la nascita di una figlia fragile che travolge la vita di una famiglia; l’influenza e la responsabilità storica e culturale dei movimenti di destra latino-americani; I movimenti marxisti dei giovani ed in particolare la loro matrice nella tradizione ebraica; la difficoltà di decidere da parte di una madre, se interferire nelle scelte di vita di un figlio anche quando possono metter in pericolo la vita stessa; il ricordo di un vissuto che si vorrebbe seppellire e che ritorna con forza nel momento in cui con la consapevolezza di essere arrivata a fine vita, la protagonista sceglie di raccontare e scrivere la sua testimonianza, perché il ricordo si faccia nuovamente vita nel passaggio di testimone a chi continuerà a tenerlo vivo.

Acrobata è il nipote che ha scelto di fare l’acrobata-pagliaccio nel circo e su un filo attende di sapere, acrobata é stato il figlio sul filo fra vita e morte nelle sua difficile e drammatica vita e acrobata é anche la nonna che scrive, fra il suo buio dolore per la morte del figlio e la forza della positività che ha sempre sentito nella sua vita.

Il libro é scritto con una affinata scrittura tutta femminile che si rivela in particolare quando fa sentire quanto sia veramente ancestrale il rapporto di una madre con un figlio e i fili che li legano anche con la struggente consapevolezza della separazione, dello strappo, del taglio, che avviene numerose volte nel tempo di una vita, di quel cordone ombelicale che pur sempre lascia un segno, una ferita, una cicatrice ad entrambi.

Altrettanto importante é il tema dell’oblio, come elemento della nostra vita e non rifugio dall’ossessione del passato, l’oblio che serve a rielaborare la vita passata nel ricordo per raccontarla. Il racconto  della nonna non avviene a voce ma attraverso la rielaborazione della scrittura trasfigurando così la vita vissuta in quella forma di oblio che é il ricordo.

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Breve nota a cura di Isa Bergamini dopo l’incontro del gruppo di lettura:

Ad inizio del nostro incontro abbiamo ricordato che il 5 ottobre 1988 un plebiscito in Cile,  determinò dopo 15 anni, la fine della brutale dittatura di Augusto Pinochet e si è ricordato anche il lucido, profondo e applauditissimo discorso di Salvador Allende all’ONU nel dicembre 1972, solo 9 mesi prima del colpo di Stato che determinerà la fine della vita democratica in Cile.

Il libro denso di tematiche, con una scrittura forte e profondamente femminile, è risultato interessante, coinvolgente e intenso. La biografia elaborata da Laura Forti,  di una famiglia ebrea che attraversa il secolo e i continenti, racconta un dramma esemplare nel Cile violato dalla dittatura, attraverso il soliloquio introspettivo di grande intensità di una donna.

Si affacciano in queste pagine molti temi importanti per la loro problematicità e per la forza nel coinvolgimento di chi legge, fra i quali: la questione ebraica; l’esilio e le separazioni; la nascita di una figlia fragile che travolge la vita di una famiglia; l’influenza e la responsabilità storica e culturale dei movimenti di destra latino-americani; i movimenti marxisti dei giovani ed in particolare la loro matrice nella tradizione ebraica;  la difficoltà di decidere da parte di una madre, se interferire nelle scelte di vita di un figlio anche quando possono metterne in pericolo la vita stessa; il ricordo di un vissuto che si vorrebbe seppellire e che ritorna con forza vitale nel momento in cui con la consapevolezza di essere arrivata a fine vita, la protagonista sceglie di raccontare e scrivere la sua testimonianza, perché il ricordo si faccia nuovamente vita nel passaggio di testimone a chi continuerà a tenerlo vivo.

Si è anche parlato dello spettacolo a cura del Teatro dell’Elfo, la puntuale regia di Elio De Capitani con una grande Cristina Crippa e il bravo Alessandro Brini Ocaña, visibile su Raiplay, se ne è sottolineata la grande efficacia nel tradurre un racconto in un testo per il teatro, rispettandolo nelle sue pagine e articolandolo con sapienza per le esigenze della rappresentazione.

Sono stati citati i seguenti libri:

Le vene aperte dell’America Latina, Eduardo Galeano, Sperling&Kupfer, 1997

La solitudine del sovversivo, Marco Bechis, Guanda, 2021

Funes, l’uomo della memoria, in Finzioni, Jorge Luis Borges, Adelphi, 2003

Gli abusi della memoria, Tzvetan Todorov, Meltemi, 2018

Francesco Granito – Mostra

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Domenica 3 ottobre 2021 – ore 10.00

Incontro Adirt

a piazza del Ferrarese, angolo Corso Vittorio Emanuele

per raggiungere insieme le sculture e le installazioni di:

Francesco Granito

in
Equilibrio Squilibrio

Mostra promossa da Domus Milella in collaborazione con l’Alliance Française di Bari.

La Mostra, distribuita tra il salone del piano nobile e il cortile interno, è articolata attorno a due nuclei concettuali: nel salone al piano nobile il confronto tra pesantezza della materia e leggerezza della forma, nel giardino pensile (tra i pochissimi presenti nel centro storico di Bari) l’incontro tra la complessità dell’arte e la levità del gioco e dell’infanzia. Un duplice rapporto a cui esplicitamente rinvia anche il titolo.

Importante conoscere quanto prima il numero dei Soci che intendono partecipare (tutti con Green Pass e mascherina),  telefonando o inviando un WhatsApp a:

Lucia Aprile: 338.6092628 –  339.4029450  
Angela Mengano:       338.4639612

Domus Milella – ex Palazzo della Gironda – strada della Gironda 22 – Bari

Comunicato Adirt 21 settembre 2021

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Carissimi Soci, Care Socie,

non è facile ricominciare.

L’età dell’insicurezza, l’ha chiamata Carlo Galli in un suo articolo di giorni fa. E di insicurezza si tratta.
L’ Adirt non ha più una Sede già da due anni; ne abbiamo individuata una nel medesimo quartiere, siamo in contatto con la proprietà e con alcune associazioni per una soluzione accettabile per tutti.
Il  nostro desiderio  però di incontro e di condivisione per una nuova vita della nostra Associazione, dopo un lungo e triste silenzio, è intatto, c’è, non è andato via….e quindi ne approfittiamo insieme con il bel tempo per:

Giovedì 23 settembre, ore 16:50 Museo archeologico di Santa Scolastica
Piazzale Cristoforo Colombo

ore 17:00   Mostra di arte contemporanea, “Il sole è nuovo ogni giorno”, di Giuliana Storino

ore 18:00   Musica al Museo.  Con Pino Petrella (tiorba), Betty Lusito (voce)
Musiche della tradizione meridionale.

Sabato 25 settembre, ore 10:30 – “Incontriamoci tutti al Parco”, parco Robert Baden-Powel in Piazza Gramsci, davanti all’Istituto P. Santarella.

Bambini, mamme, papà e numerosi anziani, che lo frequentano abitualmente, chiedono al Comune una riqualificazione che ne permetta la tutela delle belle e grandi piante, ma soprattutto la possibilità di poterlo vivere in ogni sua parte nel decoro e nella sicurezza.

L’Adirt , che ha nelle sue finalità anche la tutela dell’ambiente e la vivibilità della città, promuove questa prima passeggiata  di conoscenza del parco e delle richieste dei cittadini .

Altre iniziative pensate e da programmare in seguito

La Bari del futuro“, alla luce anche dei nuovi progetti di rigenerazione urbana prospettati da BiArch, il festival dell’architettura che si è tenuto in questi giorni nella nostra città.
Con Giandomenico Amendola

“Ti porto a Bari”, è il nome del progetto che ha visto giovani architetti, sempre nell’ambito del BiArch, lavorare  sul tema del paesaggio come ”ricucitura del tessuto urbano e il mare”.
I luoghi su cui si sono soffermati sono, per noi Adirt,  di grande interesse: il parco del Castello, La colmata di Marisabella, San Cataldo.   

In collaborazione con Mar di Levante.

Volevo inoltre informarvi riguardo il nostro viaggio a Napoli programmato per 7/8marzo 2020: l’anticipo che è stato dato dai partecipanti è sempre valido fino a febbraio 2022; se il viaggio fosse annullato, ce lo  restituiscono .

Noi siamo per l’Andare, ma ognuno deve essere vaccinato e avere il Green Pass.

Vi ricordo, se possibile, di incominciare a riordinare foto, comunicati, locandine per la
Mostra dei 40 Anni Adirt  nel 2022

Vi aspettiamo intanto  Giovedì 23 settembre ore 16:50, nella piazza antistante il Museo di S. Scolastica

Lucia Aprile    Info:  338.6092628 –   339.4029450   

Angelo Ceglie, mostra di arte contemporanea.

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Mercoledì 21 luglio, alle ore 19.00, 

presso il Museo Archeologico di Santa Scolastica a Bari,

l’Adirt visiterà  la mostra di arte contemporanea “Le forme del desiderio” con la guida di Angelo Ceglie che ne ha curato la direzione artistica.

Tema centrale della mostra è il Collezionismo raccontato attraverso la video-arte, la danza, le interviste, il cinema, la musica, il design.

Di grande interesse sarà veder dialogare  tali opere d’arte, prestate da alcuni collezionisti privati del nostro territorio, con la collezione archeologica del Museo.

Tra le opere esposte: Sol Lewitt, Robert Mapplethorpe, Robin Heidi Kennedy, Dennis Oppenheim, Andy Warhol, Sol Lewitt, James Brown, Joseph Kosuth, Jenny Holzer, On Kawara, Vincent Shine, Joseph Kosuth e Pat Steir.

L’ingresso del Museo si trova sulla Muraglia accanto alla chiesa di Santa Scolastica.

Appuntamento alle 18:45 .

Si prega di inviare un messaggio whatsapp  o una mail di adesione

Info:  338.6092628

 info@adirt.it 

www.adirt.it

L’Adirt incontra l’alba

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GIOVEDI 1 LUGLIO

ore 05:00, spiaggia Pane e Pomodoro

“Ho abbracciato l’alba d’estate”, da “Illuminazioni” di Arthur Rimbaud.


E il mio maestro mi insegnò com’è difficile trovare l’alba dentro l’imbrunire
da “Prospettiva Nevski “, di Franco Battiato
 

Giovedì 1 luglio, ore 05:00 – Pane e pomodoro


L’ Alba, il risveglio della vita dalle ombre della notte, «Aurora dalle rosee dita» per Omero, un momento quasi magico, da sempre accompagnato da mistero e incanto .
L’Adirt invita Soci e Simpatizzanti a vivere  insieme questo momento come segno di rinascita,  di ripresa e, poiché molti scrittori e musicisti si sono ispirati a questo momento del giorno, a condividerne  parole e musica                                    
                                                                       o


semplicemente a, godere delle voci della natura.

Associazione Difesa Insediamenti Rupestri e Territorio
info@adirt.it   www.adirt.itinfo: 338.6092628  339.4029450

“Io, figlio di mio figlio”, di Gianluca Nicoletti.

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21 giugno 2021

Gianluca Nicoletti, “Io, figlio di mio figlio“, Mondadori 2018. Proposto da Franca Botrugno

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Breve nota a cura di Isa Bergamini dopo l’incontro del gruppo di lettura:

L’ultimo incontro dell’anno di Leggermente, al Fanale Borbonico fra grandi navi, ci ha viste felici di poterci di nuovo incontrare.

Abbiamo parlato di “Io, figlio di mio figlio”, di Gianluca Nicoletti, Mondadori, 2018, e ha condotto Franca.
La discussione è stata appassionata intorno ad un tema che ha interessato tutte non solo per ragioni di solidarietà, ma anche perché è risultato evidente quanto ancora poco si sappia dell’autismo e in generale delle neuro diversità. Si è evidenziato come tanti sono i bimbi, gli adulti e le loro famiglie che sostengono una condizione che diventa disagio per la solitudine nella quale spesso sono relegati.
Il libro di Nicoletti è stato visto soprattutto come un documento di denuncia, ma da alcune è stato anche detto di averlo letto con fatica e in particolare è stato sottolineato un procedere logorroico e in molte pagine ripetitivo, con una scrittura veloce e aggressiva. Sono poi stati evidenziati alcuni temi che ricorrono come un “refrain” nel libro, la solitudine di questo padre e l’angoscia per quello che succederà a un figlio “con un cervello diversamente programmato”, quando suo padre non ci sarà più.  

L’Adirt con Pasquale Guaragnella

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Ai Soci, ai Simpatizzanti, alla Stampa

Mercoledì 23 giugno

ore 18:00

L’Adirt ritorna per la seconda volta a ri-incontrarsi, a condividere letture e pensieri, lo fa all’aperto, sul mare,

al Faro borbonico

Con noi Pasquale Guaragnella

su
Giorgio Caproni: il mare e ”l’arte di esistere”  

info: 338.6092628  –  339.4029450  

Al Faro borbonico si può accedere:
liberamente con l’auto dal Varco della Vittoria (di fronte allo Stadio), lasciando ai controlli il numero della targa della macchina e proseguendo sempre dritto verso i Silos Granari e poi a sinistra verso il parcheggio del Molo borbonico

oppure

con l’autobus n° 50 che parte da piazza Moro, percorre le vie Andrea da Bari, Calefati, Piccinni, piazza Massari, entra nell’area portuale e fa capolinea al Terminal Grecia da cui ha inizio il Molo borbonico

Incontro con Nicola Colaianni, presso il Faro borbonico

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Martedi 8 giugno, alle ore 18.00

presso il Faro borbonico


l’Adirt leggerà con Nicola Colaianni alcuni brani della Enciclica “Laudato si’ “ di Papa Francesco


«Coltivare e custodire» il giardino del mondo (cfr Gen 2,15):
«coltivare» è arare o lavorare un terreno,
«custodire» è proteggere, curare, preservare, conservare, vigilare.

Il link per il testo
https://www.vatican.va/content/francesco/it/encyclicals/documents/papafrancesco_20150524_enciclica-laudatosi.html

Al Faro borbonico si può accedere:

liberamente con l’auto dal Varco della Vittoria (di fronte allo Stadio), lasciando ai controlli il numero della targa della macchina e proseguendo sempre dritto verso i Silos Granari e poi a sinistra verso il parcheggio del Molo borbonico

oppure

con l’autobus n° 50 che parte da piazza Moro, percorre le vie Andrea da Bari, Calefati, Piccinni, piazza Massari, entra nell’area portuale e fa capolinea al Terminal Grecia da cui ha inizio il Molo borbonico

Lettera a Soci e Simpatizzanti Adirt.

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30 maggio 2021

Carissime/i

è da un po’ che non ci sentiamo.

La sede è stata lasciata, i nostri libri e armadi sono custoditi in via Abate Gimma grazie alla disponibilità di Rosa Giusti, nostra amica e socia.

Il gruppo di lettura “LeggerMente” si incontra su Skype e comunica le proprie letture e riflessioni sul nostro Sito www.adirt.it.

Su facebook, Adirt Social registra diversi interventi di Soci e Simpatizzanti inerenti a luoghi già visitati o a possibili mete del nostro Andare o a problemi del territorio.

Ma l’Adirt in questi 40 anni è vissuta di relazioni, di incontri che hanno allargato le nostre conoscenze e stimolato il nostro vivere la città.

Da qualche giorno si parla di riaperture. L’Adirt vuole tornare a ripartire e non con la fantasia, ma tornando ad occuparsi del nostro patrimonio storico – artistico – ambientale – archeologico per la cui difesa 40 anni fa è nata e intende come sempre farlo insieme con i cittadini e con le istituzioni.

Gli argomenti:

la Pandemia ha prodotto una maggiore consapevolezza circa la necessità di salvaguardare la salute dell’ambiente per il potenziale legame messo in luce da diversi studi tra cambiamenti climatici e diffondersi di nuove epidemie. Si parla di un profondo cambiamento delle città, quasi una rivoluzione urbana perché dal virus, insieme agli esseri umani, sono stati attaccati i centri pulsanti della vita culturale, economica, sociale, rimpiazzati solo in parte dalla tecnologia.

Ecco, noi vorremmo ripartire da questi temi e ri-incontrarci su questi temi.

  • Con Nicola Colaianni leggeremo alcuni brani della Enciclica “Laudato sì” di Papa Francesco, sulla cura della casa comune.
  • Con Giandomenico Amendola parleremo della Bari del futuro “futuro non più dato e riveniente dal passato, ma da scegliere e costruire”.

Completeremo questo ritorno a rivederci e ad incontrarci:

  • Con Pasquale Guaragnella che con il suo “Caproni e il mare” ci racconterà lo stretto legame di questo straordinario poeta con l’amore e la natura.
  • Con Pierfranco Moliterni, con il suo libro “Nino Rota. L’ingenuo candore di un musicista” (Ed. Radici Future), ricorderà gli anni di Nino Rota, direttore del Liceo Musicale e del Conservatorio di Bari, apprezzato e amato da generazioni di musicisti pugliesi per aver con loro e per loro accompagnato lo sviluppo dell’arte musicale in tutti i suoi aspetti.

Gli incontri avverranno all’aperto, presso il Fanale borbonico del Porto di Bari, nel prossimo mese di GIUGNO nelle date che verranno di volta in volta comunicate e nel rispetto delle norme anti Covid.

Al Fanale borbonico si può accedere liberamente con l’auto dal Varco della Vittoria (di fronte allo Stadio) lasciando al box controlli il numero della targa della macchina e proseguendo sempre dritto verso i Silos Granari e poi a sinistra verso il parcheggio del Molo borbonico.

oppure 

con l’autobus n° 50 che parte da piazza Moro, percorre le vie Andrea da Bari, Calefati, Piccinni, piazza Massari, entra nell’area portuale e fa capolinea al Terminal Grecia, da cui ha inizio il Molo borbonico

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E il mio maestro mi insegnò com’è difficile trovare l’alba dentro l’imbrunire
Così Franco Battiato.

L’Adirt incontrerà Soci e Simpatizzanti all’Alba, a Pane e Pomodoro, per assistere al Sorgere del Sole e poiché molti scrittori si sono ispirati a questo momento del giorno, vi invitiamo a condividerne versi, pensieri, espressioni…. con un bel thermos di caffè.

Anche questa data, come tutte le altre, sarà comunicata in seguito, tenendo presente le condizioni del tempo.

A presto                                            

Lucia Aprile (Tel. 338.6092628 – 339.4029450)

Comunicato Rinnovo Quota Associativa Adirt 2021

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Associazione Difesa Insediamenti Rupestri e Territorio
info@adirt.it  www.adirt.it

Comunicato a Soci e Simpatizzanti Adirt

Credo che gli stati d’animo e le riflessioni siano in questo periodo molto comuni e condivisi.
Siamo stati tutti più soli e in tale isolamentoabbiamo avvertito più intensamente le sofferenze di chi è stato maggiormente esposto, ma anche la vicinanza di chi ha continuato a sentirsi parte di un’associazione, di una comunità quale è l’Adirt.

E’ stato davvero molto importante e significativo sentire la vostra fiducia e il vostro sostegno e, dato che molti di voi lo hanno chiesto, vi ricordiamo anche come sostenere la nostra associazione.

L’aiuto principale è rappresentato dal RINNOVO DELLA QUOTA ASSOCIATIVA per il 2021.

Potete rinnovarla tramite bonifico bancario, specificandolo nella causale.
Di seguito trovate le nostre coordinate bancarie e le tipologie delle quote associative:

€   10,00     Socio Studente  

€   60,00     Socio Ordinario

€ 100,00     Coniugi, Fratelli, Sorelle

IBAN dell’Adirt: IT59 M033 5901 6001 0000 0106 668

Seguirà un Comunicato con alcune iniziative che si svolgeranno nel prossimo mese di GIUGNO, all’aperto, presso il Faro borbonico del Porto di Bari, nel rispetto delle norme anti Covid.

A presto.
Per il Direttivo Lucia Aprile             

Info: 338.6092628 (Lucia) – 338.4639612 (Angela)

Nemesi, di Philip Roth

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18 maggio 2021

Philip Roth, “Nemesi”, Einaudi 2011. Proposto da Vanda Morano.

di Vanda Morano

Nel 1944  una epidemia di poliomielite sconvolge la quieta ordinarietà della cittadina di Newark dove vivono in confini separati vari gruppi etnici. Dapprima si diffondono sconcerto, poi paura e chiusura in una crescente tensione. La narrazione si concentra su Cantor, giovane ragazzo limitato da gravi problemi di vista che comunque ha trovato una collocazione nella società come allenatore di successo e fidanzato di una ragazza che appartiene all’upper class. La malattia e la morte scompaginano tutti i progetti e danno una nuova misura alle cose.

E’ la Nemesi, è la giustizia compensativa che interviene quando si è andati oltre. Torna in Roth il tema del fallimento del sogno americano. Cantor combatte una guerra ingiusta e terribile perché assale gli innocenti. Inconsapevole portatore di contagio, si isola nel suo senso di colpa e dubita anche di Dio. Alla fine per lui la storia rimane solo un rumore di fondo in cui vivere una pace scolorita e il ricordo di un amore che non si è compiuto. Fanno da controcanto nel romanzo i suoni: le lugubri sirene delle ambulanze e la melodia nostalgica di “I’ll be seeing you”.

Un Roth lontano dalle irriverenze e dalla teatralità barocca. Un Roth che predilige toni più pacatamente e nostalgicamente composti.

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Breve nota a cura di Isa Bergamini dopo l’incontro del gruppo di lettura:

“Un libro deve spingersi oltre l’intenzione del proprio autore. L’intenzione dell’autore è una povera cosa umana, fallibile, ma nel libro deve esserci di più.” Così scrive J.L. Borges, e forse mai come in questo incontro, le impressioni e riflessioni sono state così ricche per diversità, per approfondimenti e forse sono andate anche ben oltre le intenzioni dello scrittore.

Si è detto di aver trovato in questo libro il crollo di tutte le illusioni in un clima di grande tensione  e si è parlato in particolare di Bucky, un personaggio che la scrittura di Roth trasforma nel prototipo di uomo che non si mette in discussione, cristallizzato nella sua incapacità ad essere felice. Accanto alla maggioranza delle voci che hanno visto Backy come un uomo fragile e oppresso da un forte dilemma morale e chiuso in se stesso, ci sono state anche altre letture che hanno visto nella vita infelice di Backy, una sua scelta, un atto di forza e di superbia nei confronti di quel Dio che in quell’estate del 1944 assisteva impietoso, a quello che stava accadendo a Newark, in Europa e nel Pacifico.

Come per altri libri di Philip Roth, le sue pagine sono state molto amate da noi tutte, per la grande narrazione, per la ricchezza e profondità dei temi che affronta e soprattutto per l’analisi puntuale dei personaggi accompagnati sempre però da una lucida pietas. Un Philip Roth pacificato in questa ultima stagione della sua vita, che continua a fari i conti con il tema della morte ormai con la coscienza che la vita va accettata per quella che è, con o senza Dio.

Una storia di amore e di tenebra, di Amos Oz

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20 aprile 2021

Amos Oz, Una storia di amore e di tenebra, Feltrinelli, 2002. Proposto da Luciana Cusmano

di Luciana Cusmano

“Una storia di amore e di tenebra” é una narrazione autobiografica, densa delle drammatiche vicende che hanno spinto decine di migliaia di Ebrei, nei primi decenni del ‘900, ad abbandonare tanti paesi dell’Europa orientale e dei confini occidentali della Russia per cercare riparo ed un possibile futuro nella mitica terra dei Padri: la Palestina. L’estrema povertà delle loro risorse e il difficile, quasi impossibile, adattamento ad una natura dei luoghi e a consuetudini socioculturali tanto differenti, hanno prodotto nelle vite dei genitori e dei nonni dell’Autore sofferenze inestinguibili, che non hanno risparmiato neppure le generazioni di coloro che in questa terra promessa sono nati. E allora, ecco la fuga di Amos da quei ricordi, la sua nuova vita tra i forti e abbronzati pionieri dei kibbutz, pronto ad affiancarli di giorno nei duri lavori della terra e a parlare con loro di poesia e filosofia di notte, sotto una tenda, nel deserto. Ma la peculiare cultura familiare assorbita fino all’adolescenza è un richiamo ineludibile, che egli asseconderà con profondità di analisi, poesia, umanesimo molti anni dopo. 

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Breve nota a cura di Isa Bergamini dopo l’incontro del gruppo di lettura:

Intensi sono stati gli interventi che hanno dimostrato quanto appassionante sia stata la lettura di questo libro e quanto interesse ci sia stato per i tanti temi e le complesse problematiche che affronta. E’ stato definito un “romanzo magnifico” che raccoglie le voci di un popolo in un momento importante, in uno snodo fondante della sua storia contemporanea. La storia della nascita dello Stato di Israele si interseca con la storia personale dell’autore.

Amos Oz con la sua personalità di grande scrittore riesce a trasfigurare persone reali in personaggi con pagine di grande lucidità storico-politica a fianco a pagine di grande lirismo. Anche con una seconda lettura, quale è stata per alcune di noi, resta un libro importante e da ricordare, per i temi profondi, le riflessioni, il distacco e la coscienza critica che lo accompagna all’accostarsi ai temi della storia e della politica. E’ stata anche sottolineata la sapiente e appassionata traduzione di Elena Loewenthal.

Durante l’incontro sono stati citati questi libri:

1)        Gli ebrei e le parole, Amos Oz e Fania Oz, trad. E. Loewenthal, Feltrinelli, 2015
2)        L’alfabeto ebraico, Paolo De Benedetti, a cura di Gabriella Caramore, Morcelliana, 2011

Sono stati anche indicate le serie televisive:

1)        “Unorthodox” miniserie di 8 episodi su Netflix

2)        “Shtisel” 33 episodi per tre stagioni, in lingua originale e con i sottotitoli, su Netflix. Di questa serie se ne è parlato a: 1) Uomini e Profeti, radio 3 Rai il 24 aprile; 2) Radio 3 Mondo del 21 aprile. Tutti gli episodi si possono riascoltare sul sito di Radio 3 in podcast.

Martedi 27 aprile 2021, il gruppo di lettura si è riunito per riflessioni e comunicazioni su alcuni temi della cultura ebraica. Non si è parlato direttamente della Shoa, della tragedia che ha sconvolto l’Europa, ucciso gli ebrei e cancellato la loro memoria, ma naturalmente, è stata sempre sullo sfondo dei nostri discorsi. L’incontro si è concluso con la lettura di alcune storie dell’umorismo ebraico.

Si è fatto riferimento a diversi libri fra i quali:

  1. Contro il fanatismo, Amos Oz, trad. E. Loewenthal, Feltrinelli, 2007
  2. Il sonno della memoria, Barbara Spinelli, Mondadori, 2001
  3. Gli ebrei questi sconosciuti, Elena Loewenthal, Baldini &Castoldi, 1996
  4. Figli di Sara e Abramo, Elena Loewenthal, Frassinelli, 1995
  5. L’ebraismo spiegato ai miei figli, Elena Loewenthal, Bompiani, 2002
  6. Eva e le altre, Elena Loewenthal, Bompiani, 2005
  7. L’ebreo che ride, Moni Ovadia, Einaudi, 1998
  8. Il conto dell’ultima cena, Moni Ovadia, Einaudi, 2010
  9. Così giovane e già ebreo, M.A. Ouaknin, D. Rotnemer, trad. M. Ovadia, Piemme
  10. Cosa hanno mai fatto gli ebrei? Dialogo tra nonno e nipote sull’antisemitismo, Roberto Finzi, Einaudi, 2019
  11. All’erta siam razzisti, Rosellina Balbi, Mondadori, 1988
  12. Gerush 1492-1510. Espulsione degli Ebrei dalla Sicilia e dal Meridione d’Italia, A.V., Ass. Ebraico-Cristiana di Torino, 2011
  13. Vademecum per il lettore della Bibbia, Ass. Biblia, Morcelliana, 2017
  14. La famiglia Karnowski, Israel Joshua Singer, trad. A.L. Callow, Adelphi, 2015
  15. L’uomo che vendeva diamanti, Esther Singer Kreitma,  Morpurgo, 2016
  16. La moglie del rabbino, Chaim Grade, trad. A.L.Callow, Giuntina, 2019
  17. Un’eredità di avorio e ambra, Edmund De Waal, Bollati Boringhieri, 2011

Ricordare Pia Vivarelli

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Aurora  Vivarelli mi ha mandato un breve video su sua sorella Pia, importante  storica e docente dell’arte del  Novecento italiano, scomparsa prematuramente nel 2008, autrice di studi e mostre  fondamentali su De Chirico, Savinio, Gastone Novelli e  Carlo Levi,  della cui fondazione  fu  presidente per quasi 20 anni .

Pia si è formata a Bari e qui ha cominciato il suo percorso lavorativo. 

Un anno fa, martedi 18 febbraio 2020,  l’Adirt  l’ha  ricordata con Pietro Marino,  suscitando nei numerosi presenti interesse e commozione 

Lo abbiamo fatto convinti che la memoria vada tenuta viva, per acquisire consapevolezza e capacità di orientamento, e che conoscere un territorio significa anche conoscere gli uomini e le donne che lo hanno arricchito con la loro presenza e con le loro opere.

Tale incontro acquista ancora di più significato perché  ultimo in presenza e ultimo anche nella nostra sede in via Abbrescia.

Lucia

Il pensiero Meridiano, di Franco Cassano

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16 febbraio 2021

di Roberta Ruggiero

Martedi 16 febbraio, il gruppo di lettura “Leggermente” dell ‘Adirt, sotto la sollecitazione di un articolo di Oscar Iarussi pubblicato il 2 febbraio sulla Gazzetta del Mezzogiorno, si è’ incontrato su Skype, per parlare del libro “Il pensiero meridiano” di Franco Cassano, pubblicato venticinque anni fa. Dopo averlo analizzato nei suoi saggi, abbiamo  ritenuto che la sollecitazione a vedere il sud in modo nuovo e a non mitizzare un certo modello di sviluppo, ci trova ancora concordi. Soprattutto perché l’Autore non offre ricette già confezionate, ma ci spinge, dandocene gli strumenti, a sperimentare nuovi percorsi in prima persona.

Franco Cassano, in questo libro, parla di noi e a noi, incrociando “sociologia, lirica e progetto politico”.

Ci sembra che il modo giusto per ricordarlo, ora che non c’ è più’, è leggere o rileggere i suoi libri.

Le transizioni, di Pajtim Statovci

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19 Gennaio 2021

Pajtim Statovci, “Transizioni”, Sellerio 2020

di Isa Bergamini

Il titolo italiano ricalca il titolo inglese “Crossing”, quello finlandese era “Il cuore di Tirana”. Transizioni in italiano vuol dire: il passaggio fisico da uno stato ad un altro, il passaggio da una meta ad un’altra, le oscillazioni dell’animo umano e il percorso medico e psicologico di chi passa da un sesso ad un altro. Un titolo dunque che condensa alcuni fra i temi principali del libro.

Leggendolo scopriamo una storia dolorosa in pagine lucidissime e inquietanti, piene della rabbia di Bujar (15 anni) che si sente tradito anche dal padre quando muore e lo lascia solo, e quella di Agim (16 anni) non amato dalla sua famiglia che non accetta la sua omosessualità.

E’ un libro che racconta un ritorno, forse e comunque un particolare ritorno, ma soprattutto è un libro sull’identità, o meglio sull’impossibilità di definire e di definirsi in una identità. Nelle primissime pagine infatti si legge ”… Nessuno è tenuto a rimanere la persona che è nata, possiamo ricomporci come un nuovo puzzle.”.

Il tema certo non è nuovo e mi ha fatto pensare al mito e ad alcuni autori: nel mondo del mito classico, il dio Proteo che aveva il dono della profezia e che per sottrarsi alle domande di chi andava ad interrogarlo si trasformava in qualsiasi altra forma fisica; Ovidio “Le Metamorfosi”; F. Pessoa “Teoria dell’eteronimia”; J.L.Borges “Finzioni”; J. Joyce “Ulisse”; I. Calvino scrive – Il corpo significa! Grida! Contesta! Sovverte!- in “Se una notte d’inverno un viaggiatore”; W. Nabokov “Il Dono” e “Invito ad una decapitazione”; J. Kafka; L. Pirandello “Uno, nessuno, centomila”; E. Carrer “Limonov”; W. Allen “Zelig”.

Molto interessanti sono le pagine di storia dell’Albania, da Skanderberg al Knun il Codice di Diritto consuetudinario albanese, che fa pensare a problematiche storiche e antropologiche del nostro Sud. Sono particolarmente coinvolgenti le pagine che raccontano gli anni dal regime di Hoxha fino al tempo dell’immigrazione in Italia e in Europa, tutto questo filtrato dalle storie umane e drammatiche dei due ragazzi Bujar e Agim. La condizione dell’emigrante è in più occasioni raccontata e denunciata con forza e rabbia.

Ha una funzione importante per la costruzione del libro, la presenza nelle sue pagine delle storie legate alla tradizione albanese, che nel loro polimorfismo la raccontano in profondità e ne costituiscono in un certo modo il peso delle tradizioni da cui Bujar è fuggito e a cui in fine ritorna. Infatti l’elemento fantastico delle storie torna nelle ultime pagine del libro, con il racconto del sogno di Bujar, che tornato a casa, dorme nella sua vecchia camera, privata di tutto, quasi il ritorno nell’utero buio delle sue origini, per una nuova rinascita? Un altro Bujar? Il finale è aperto e lascia anche aperta la discussione su molte intense pagine di questo libro.

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Breve nota a cura di Isa Bergamini dopo l’incontro del gruppo di lettura.

Della lunga e interessante discussione cercherò di sintetizzare alcune delle molte cose importanti dette.
Questo giovane autore finlandese di origini kossovare è una forte voce nuova della letteratura internazionale, nelle sue pagine prende voce la rabbia di un popolo alla ricerca della sua identità, attraverso il racconto della storia dolorosa e inquietante di due giovani albanesi. Molte le problematiche che si affacciano in questo libro il cui titolo e la cui immagine di copertina sono stati particolarmente apprezzati, insieme alla qualità della traduzione.

In sintesi si è detto che “Le Transizioni” può dirsi un feroce romanzo di formazione e una metafora dell’uomo contemporaneo nel mondo della globalizzazione. La frammentazione del racconto è uno specchio della frammentazione di un mondo complesso e con una sapiente capacità narrativa, Statovci con lucido approccio storico, antropologico e culturale affronta la problematica dell’identità sia del singolo che di un’intera comunità.

In fine abbiamo chiesto a Vera un incontro dedicato al tema dell’identità. Lei, molto gentilmente, si è detta disponibile e ci incontreremo sempre su Skype martedì 26 gennaio alle ore 17,00.

Lucia ha poi raccontato quali sono state le letture che hanno accompagnato il viaggio Adirt in Albania nel 2009 e le ha inviate sulla chat di whatsapp. Le trascrivo insieme ad altre letture indicate da Roberta sempre su whatsapp, per chi volesse approfondire la conoscenza del mondo che si affaccia sull’altra sponda, per troppo tempo da noi ignorato o in passato considerato solo terra di conquista con l’occupazione nazi-fascista.

Libri indicati da Lucia:
“Vergine giurata” di Elvira Dones
“Chi ha riportato Dorutina” di Ismail Kadarè

Libri indicati da Roberta:
“”Aprile spezzato” di Kadare (su un passato regolato dal Kanun)
“Un uomo da nulla” di Kongoli (sull’Albania comunista)
“Guerra d’Albania” di Fusco (documento di una guerra dal ’40 al ’43)
“Dal tuo terrazzo vedo casa mia” di Malaj (racconti sui rapporti tra italiani e albanesi)

P. S. Vi invio in allegato due articoli su Pajtim Statovci, che ho trovato interessanti, entrambi scritti dal suo traduttore Nicola Rainò. Leggendoli, ho scoperto che Statovci, parlando dei suoi modelli letterari, indica Bulgakov, Toni Morrison, Isabel Allende e tra i finlandesi, parla di una ammirazione “immensa” per Olli Jalonen e soprattutto Sofi Oksanen. Qualcuna di noi ha letto questi autori finlandesi?

Articolo 1

http://Pajtim Statovci: scrittore tra Kosovo, Finlandia e Italia. Intervista su identità e nazionalismo. Di Nicola Rainò, da La Rondine – 19.2.2020

Scrittore finlandese, di origini kosovare, Pajtim Statovci si sta imponendo all’attenzione della critica internazionale. Ha pubblicato finora tre romanzi, e il secondo (Le transizioni) è in uscita in Italia nelle edizioni Sellerio. Dalla terra d’origine, il Kosovo, prendono le mosse personaggi giovani, animati da un forte senso di ribellione, privi di ideologie e in cerca di una loro via. Per qualcuno di loro, una via qualsiasi, purché lontano da quella “discarica d’Europa”. Passando da un paese all’altro, Bujar, il protagonista delle Transizioni, cambia continuamente identità, cambia genere, ruba l’identità altrui, è una creatura inquieta e proteiforme, smaniosamente in cerca di una sua collocazione, sempre difficile. Anche per il peso di un passato che non l’abbandona mai. I mostri della sua personale mitologia, apparentemente fantasie innocenti delle fiabe dell’infanzia, si incarnano in quelli ben più minacciosi della realtà. Non meraviglia che, parlando dei suoi modelli letterari, citi in primo luogo Bulgakov, Il maestro e Margherita, ma anche Toni Morrison e Isabel Allende, e tra i finlandesi, parli di una ammirazione “immensa” per Olli Jalonen e soprattutto Sofi Oksanen (cui lo legano, mi pare, anche aspetti strutturali dei suoi romanzi).

Gli abbiamo rivolto qualche domanda sulla sua idea di letteratura, sulle motivazioni che lo spingono a scrivere, sulle caratteristiche dei suoi personaggi, e sul rapporto tra vita e opere.

D. Le tue storie spesso toccano toni epici: alte montagne da scalare, mari aperti da attraversare, mete da raggiungere a rischio della vita. Traspare un fascino antico di leggende e miti. È così? Da dove ti viene questa ispirazione? R. “Io sono convinto che gran parte dei libri abbiano a che fare con la ricerca di pace e appartenenza, e la sopravvivenza, a volte anche a rischio di vita. Il mio background, essendo di etnia albanese, emigrato dal Kosovo in Finlandia all’età di due anni, ha avuto un impatto enorme sulla mia scrittura. La mia storia personale è il motivo per cui scrivo di pregiudizio, migrazione, diversità, poiché anch’io sono stato vittima del razzismo. I miti e le leggende albanesi erano molto presenti nella mia infanzia. Quando ero giovane, mi hanno raccontato storie che i miei genitori avevano ascoltato a loro volta da bambini. Queste storie celebravano la grandezza di una nazione, raccontavano una storia ricca di eroi potenti, di donne di inconcepibile compassione, divinità e creature simili a Dio. Era come se quelle storie cercassero disperatamente di rendere immortali i loro protagonisti, dare un ritratto di un territorio magnifico, e una descrizione di persone ugualmente magnifiche, quasi a fornire la migliore versione possibile di quel mondo a un pubblico che non aveva ancora familiarità con esso. Nelle mie Transizioni [titolo originario Tiranan sydän, “Il cuore di Tirana”], questi racconti popolari fondono e reggono il tema dell’identità, che non è mai statica ma in continua evoluzione. Come sempre con il folklore, chi racconta la storia spesso la modifica, come il mio protagonista. Cambiare paese, cambiare pelle, cambiare lingua e genere. Il mondo che metti in scena si trasforma costantemente. Non hai l’aria di un convinto nazionalista. È così. Reagisco e mi rapporto a storie che esplorano questioni di identità e nazionalità, e questo forse perché io stesso non ho un chiaro concetto di identità nazionale” D. Cosa significa essere finlandesi? O italiani? Quanto tempo si deve vivere in Finlandia per essere considerati finlandesi? Quanto devi conoscere una lingua affinché diventi una lingua madre? R. “Mi è stato chiesto della mia “finnicità” e della mia “albanesità” tante di quelle volte che ormai non lo so più e nemmeno mi interessa ad essere sincero se io sia considerato finlandese o albanese, e quale definizione o nazionalità mi attribuiscano i media, cosa dice il mio passaporto finlandese, perché il mio rapporto con la Finlandia e il Kosovo è e rimane quello di nessun’altra persona con il suo paese o i suoi paesi. Il modo in cui siamo collegati al nostro genere, alla nazionalità, al retroterra religioso, ecc. è sempre unico e distintivo. Le etichette (di etnia, sessualità, religione) sono sempre difficili perché le persone usano parole come “gay” o “rifugiato” o “cattolico” o “americano”, cercando di includere grandi masse. In un certo senso, è come cercare di spiegare o definire un’esistenza comune o un’esperienza generale, in una parola. Oltre che impossibile, è anche un po’ scorretto e ridicolo, perché arrogandoci il diritto di dire, ad esempio, – Questo è il mio amico gay -, stiamo invadendo lo spazio personale di qualcuno, sottraendogli il diritto alla sua storia personale, alla esperienza della sua sessualità, alla sua libertà di esistere. Nazionalità, genere, sessualità sono questioni così complesse e astratte che nemmeno gli specialisti riescono a comprenderle appieno”. D. Nei tuoi libri il passato e il presente dell’Albania e del Kosovo non mancano mai. Non credi che la vita di questi territori sia ancora ignota al resto dell’Europa? R. “Penso che, nel complesso, la vita in questi paesi non è stata sufficientemente rappresentata in campo artistico, questo è certo. Ma ci tengo a sottolineare che con il mio lavoro non sto cercando di “colmare un vuoto” o “rappresentare” nessuno. Il mio unico intento è di scrivere su ciò che sento vicino, su ciò che mi interessa e attrae. Al giorno d’oggi, gli scrittori si trovano ad affrontare questioni tali per cui si chiedono se abbiano il diritto di raccontare, dal momento che le storie raccontate hanno un’eco diffusa, una risonanza che a volte va al di là dell’invenzione letteraria. Sono soprattutto gli scrittori che non vengono dal mondo occidentale e scrivono dei luoghi di provenienza a condividere questa preoccupazione, almeno nella mia esperienza; come vengono lette le loro opere di narrativa, quanto il pubblico sia portato a generalizzare su un dato paese, su una cultura, a partire dal testo prodotto. Anch’io sento di essere diventato una specie di portavoce degli “immigrati albanesi” quando ho pubblicato il mio primo libro. Le riviste hanno scritto articoli su di me e sul mio romanzo con titoli come: “Vivere la Finlandia attraverso gli occhi di un immigrato”, “Ecco cosa significa essere straniero in Finlandia”, “Per un immigrato la Finlandia è fredda e razzista”. Una volta mi è stato persino consigliato di non scrivere sulla guerra in Kosovo perché la mia famiglia era fuggita dal mio paese d’origine e io non l’avevo sperimentata di persona. Inutile dire che, anche se non ero in Kosovo durante la guerra, ciò non significa che non abbia influenzato la mia esistenza. E come se lo ha fatto. Per quanto ne so, in maniera drammatica. Nel corso della mia breve carriera di scrittore, diversi giornalisti mi hanno posto domande su migrazione, razzismo, nazionalità e situazione in Medio Oriente. Ascoltare queste domande è piuttosto frustrante, perché so che mi vengono poste solo per via del mio background, perché una volta ero un profugo anch’io. E ciò mi rattrista molto, perché essere uno straniero non ti rende un esperto di culture e migrazioni. Non lo fa scrivere una storia su una famiglia albanese che chiede asilo in Finlandia. Tutto ciò è conseguenza dello stesso problema, fondamentalmente, di come uno scrittore venga visto come rappresentante del mondo in cui ha ambientato le sue storie. Per me, la creazione letteraria è uno scenario in cui ambientare una questione che mi preoccupa, mi pesa, e mi frustra. Non racconto una storia per spiegare niente a nessuno, per fornire al mio pubblico una chiave di lettura. Quello che posso dare è una storia, una storia in mezzo a milioni e milioni di altre storie, e i miei personaggi sono personaggi miei, le loro storie sono storie scritte da me senza eccezioni, e queste persone, e le loro origini, hanno diritto a questo punto di vista”. D. La nave “Vlora” al molo di levante di Bari, 8 agosto 1991 L’Italia è molto presente nei tuoi romanzi. Per alcuni dei tuoi personaggi è una meta da raggiungere, la salvezza, ma è anche un posto ambiguo, a volte pieno di minacce. Qual è la tua idea oggi dell’Italia, ancora un posto da sognare, oppure te ne sei fatto un’immagine più realistica? R. “Per i due adolescenti albanesi delle Transizioni, i ragazzi che lasciano tutto, la loro casa e la famiglia, inseguendo il sogno di una vita migliore, l’Italia rappresenta il nuovo inizio che si auspicano in un paese occidentale. Una delle frasi più significative del libro, secondo me, è questa: “L’Europa era la nostra America”. Quindi  due ragazzi si sono innamorati di questa idea, spesso molto falsa, che la vita in un paese occidentale sia automaticamente migliore della vita al di fuori dell’Occidente. Il desiderio di “scappare” / “raggiungere l’Occidente” è ancora molto comune nel mondo di oggi. Racconti di migrazioni drammatiche dai Balcani. Dall’inizio del decennio 1990 l’Italia è stata raggiunta da profughi albanesi e kosovari in grande numero” D. Ma non abbiamo scrittori italiani che abbiano scritto pagine memorabilia su questa tragedia decennale. Come ti spieghi questa distrazione? R. “Confesso che la cosa mi sorprende, poiché, come dici tu, si tratta di una storia tragica e di lungo periodo che ha avuto conseguenze immense sui destini di tanta gente. Anche perché si tratta di eventi accaduti al confine con l’Italia, e sono parte integrante della sua storia moderna… ” D. Nei tuoi testi c’è una grande presenza di simboli, anche se dopo il primo romanzo si nota una certa rarefazione. Si tratta di una scelta consapevole o di una evoluzione naturale del tuo stile? R. “Non so se ci sia una diminuzione dei rimandi simbolici, oppure se oggi sto utilizzando il simbolismo animale in maniera diversa rispetto agli esordi. L’ispirazione mi è venuta da un ambito di ricerca detto degli “Studi animalisti” che ho conosciuto studiando letterature comparate all’Università di Helsinki (e che è oggi il tema del mio dottorato di ricerca). Questo filone di ricerche indaga in che modo gli animali siano “alienati” dagli umani. Noi collochiamo gli animali in contesti alieni, come le opere letterarie, dove vengono interpretati attraverso l’occhio umano, ad esempio come simboli di esseri umani o di caratteristiche umane. Lo facciamo ripetutamente, anche se non abbiamo idea di cosa sia essere un animale. Questa è la differenza tra “animal others” e altri “reietti culturali” della società. Poiché gli animali non possono difendersi allo stesso modo degli altri “diversi” (come le minoranze etniche o religiose) o condividere un comune sistema di comunicazione, l’atto di “rubare una voce” è molto più complesso e molto più immorale. Leggere gli animali come nostri simboli è un modo per sminuirli, e viola il loro diritto di rappresentare se stessi, il loro diritto a non essere interpretati rappresentanti della loro specie. Volevo giocare con questa teoria nel mio primo romanzo [Kissani Jugoslavia, nell’edizione italiana “L’ultimo parallelo dell’anima”, ma il titolo originario significa “Il mio gatto Jugoslavia”] usando gatti e serpenti perché così volevo dire che non tutti sono in grado di difendersi o abbastanza forti da ribellarsi alla violenza, non tutti quelli che sono in grado di parlare riescono a farsi sentire. Diversi paesi esaltano la loro potenza scegliendo di essere rappresentati da animali in cima alla catena alimentare – aquile, leoni, bisonti, tigri e cavalli. A un certo punto del libro il protagonista Bekim dice: “Perché una cosa è dire di essere svedese o tedesco o inglese, altra cosa è dichiararsi turco o iraniano. La patria d’origine di una persona, tranne in pochi rari casi, non è una questione banale.” Il gatto nel mio romanzo Kissani Jugoslavia interpreta diversi ruoli. Il suo mutare d’aspetto e la sua natura contraddittoria, spero, danno spazio a diverse interpretazioni e consentono approcci diversi. Il gatto parlante è anche ciò che spinge Bekim a crescere. Inizialmente Bekim lascia che il gatto gli stia accanto anche se è molto irrispettoso e offensivo nei confronti delle persone che lo circondano. Il gatto può dire e fare tutto ciò che vuole, commettere abusi e insultarlo come gli pare. Il gatto occupa il suo appartamento e lo aggredisce, e Bekim gli permette di farlo perché ha una forma di razzismo interiorizzato e pensa di meritarselo. O forse questo accade perché Bekim sente che quell’attrazione, l’amore occasionale e il calore che riceve dal gatto significhino anche altro perché lui, un immigrato e un gay, rappresenta tutto ciò che il gatto odia. Forse Bekim pensa che l’amore di qualcuno come il gatto sia un tipo di amore diverso, più forte di qualsiasi altro amore e più potente perché questo amore ha attraversato confini e barriere. Forse pensa che se riesce a convincere uno del genere a concedergli amore e accoglienza, allora starà bene. Forse ha bisogno di sentire che è possibile, per le persone che pensano in modo simile al gatto, vederlo come qualcosa di più di un profugo o un gay, e innamorarsi di lui. Tuttavia, anche se il gatto vuole essere percepito come detentore del potere, inizia presto a ingrassare e per di più a soffrire di depressione. Improvvisamente, dopo aver miseramente fallito nella vita, il gatto non vuole più uscire di casa perché pensa di avere un aspetto orribile e sgradevole, teme che la gente noti i suoi artigli lunghi e sporchi e il suo pelo unto. Inanella una serie di fallimenti, finché finisce per diventare chiaro il perché dei suoi comportamenti stravaganti: anche lui è un “diverso” e si sente escluso, alla fine è un animale che vive in un mondo di umani. Lui stesso discrimina perché ha paura di essere vittima di ciò che colpevolmente fa. Immagino che per le persone come il gatto sia più facile combattere le insicurezze e le pene dell’autodenigrazione costringendo le persone amate a provare le stesse sensazioni. Spero di non essermi dilungato troppo. In sostanza, volevo continuare a usare simboli animali sia in Le transizioni che in Bolla, ma in maniera più sottile. Tutti i racconti popolari di Le transizioni, ad esempio, hanno un tema in comune: l’onore. Durante la loro educazione, i due ragazzi protagonisti – Bujar e Agim – ascoltano in continuazione storie di conquiste, di albanesi vittoriosi e trionfanti, mentre poi la realtà, con la caduta del comunismo, la povertà, la lotta quotidiana, è così lontana da ciò che le storie raccontavano che porta a una crisi dei protagonisti con la propria identità nazionale, seguita da un rifiuto totale di quella nazionalità perché ne provano vergogna, perché iniziano a soffrire di razzismo interiorizzato e odio per se stessi. Sono stati feriti in così tanti modi, che pensano che la cosa più saggia da fare sia creare storie alternative che li aiutino ad arrivare dove vogliono. Col senno di poi, pare che lo scenario costruito in Albania e Kosovo nelle Transizioni costituisca una sorta di prova generale per l’ultimo romanzo” D. Bolla. Da dove ti è venuta l’ispirazione per quest’ultima opera? Che ricerche hai fatto? R. “Preparo la mia narrazione leggendo (narrativa e saggistica), facendo interviste, chiedendo in giro e viaggiando – niente di speciale. Ho lavorato al mio ultimo romanzo Bolla per oltre 8 anni, ma anche se ho scritto i miei tre libri in qualche misura contemporaneamente, ciascuno di loro è stato un progetto indipendente, molto diverso l’uno dall’altro. L’idea di Bolla mi è venuta in mente per la prima volta quando stavo scrivendo Kissani Jugoslavia, e mi sono ispirato al personaggio del padre, Bajram. Volevo esplorare una mente complessa e contraddittoria: un uomo le cui azioni – la violenza nei confronti di moglie e figli – sono molto difficili da capire e da accettare, facili da considerare “malvagie”. Ma non credo che nessuno nasca malvagio. Le cose di rado sono semplicemente in bianco e nero. A volte le persone scivolano nel male, senza volerlo, per qualche accidente. Volevo mettermi alla prova scrivendo di un personaggio come questo: qualcuno intrappolato, chiuso, traumatizzato e coatto, e in un modo che non conduce necessariamente all’espiazione, o come dici tu, alla salvezza. Volevo scrivere della violenza direttamente, e senza alibi, perché la quantità di violenza nel mondo non si riduce ignorando quanta violenza ci sia. Inoltre, tutti conosciamo persone come Arsim – persone che sono così incapaci di esprimersi, che sono così distaccate dalle loro emozioni, che finiscono per ferire le persone intorno a loro. In generale, il mio bisogno di capire le persone è sempre stato più grande del mio bisogno di giudicarle. Penso che sia per questo che sono uno scrittore, per questo ho scritto Bolla, anche se è stato il libro più difficile da scrivere” D. Quali sono le tue abitudini di scrittore? Ti fai un piano prima di cominciare? Ti prefiggi un limite di pagine /ore ogni giorno? E quanto riscrivi in genere? Dove lavori di solito? R. “Scrivo solo quando ho voglia di farlo, quando sono ispirato, quando penso di avere qualcosa da dire. Non mi costringo mai a scrivere alcunché. Ci ho provato, a fare programmi giornalieri, fissare obiettivi, ma il risultato è qualcosa che non vale la pena di rileggere. Amo scrivere, mi dà pace e felicità e non vorrei mai sentirlo come una costrizione. È il mio mondo libero, dove posso sentirmi fiero e coraggioso, dove non ho paura di dire ciò che voglio dire sulla gente, il mondo, la politica, l’umanità. Faccio dei piani, ma spesso non mi attengo a questi piani. Direi che sono uno scrittore piuttosto caotico, tuttavia, in questo mio caos ci sono struttura e ordine, dato che in genere scrivo negli stessi ambienti: a casa, così come in alcuni caffè e biblioteche di Helsinki. Scrivo principalmente la sera e di notte. C’è questa tranquillità, questa solitudine, che mi affascina. Essere completamente solo, sveglio a tarda notte, per qualche motivo mi dà modo di pensare, e ispirazione. Inoltre, durante la notte tutti dormono, quindi non devi preoccuparti di rispondere a e-mail o telefonate”. D. Che esperienze hai avuto col razzismo in Finlandia? Hai notato cambiamenti nel tempo? Hai mai avuto la sensazione che il tuo nome, diverso da un normale Matti Virtanen, abbia costituito un impedimento, creandoti problemi nonostante tu sia cresciuto in Finlandia? Oppure è stato un vantaggio, un marchio esotico, che ti è stato d’aiuto?  R. “Mentre io crescevo, dopo che ci siamo stabiliti in Finlandia, la situazione in Kosovo è andata solo peggiorando, e molto presto bombardamenti, movimenti di truppe e omicidi erano le notizie di tutti i giorni. All’età di sette anni ho iniziato a frequentare una scuola finlandese e anche se non avevo ricordi della vita in Kosovo e ancor meno consapevolezza di ciò che stava accadendo lì, per i miei coetanei a scuola io ero la faccia della mia cultura. I media insistevano col racconto di storie di albanesi oppressi, scrivendo di violenza e rivolte costanti, di persone costrette a lasciare le loro case, che avevano perso la famiglia, restando prive di ogni mezzo. Mi sono trovato a far fronte a domande su un mondo in balia di crudeltà e isteria. Con mia sorpresa, queste domande non mi rattristavano. Né mi hanno fatto arrabbiare. Invece mi hanno fatto provare vergogna, facendomi sentire la necessità di desiderare un’altra nazionalità. Ricordo persino di aver chiesto a mia madre: Perché non ce la fanno a essere normali, come tutti noi? Piccolo com’ero, sentivo che queste notizie mi deprimevano, facevano sì che altre persone mi associassero alla guerra, facendomi vergognare di quella guerra, anche se io non c’entravo niente. La mente di un bambino è fragile, così ho iniziato a vergognarmi del mio passato. Dopo un po’ ho anche iniziato a evitare conversazioni che riguardavano la mia lingua, la nazionalità e la cultura, e alla fine, capito quanto mi sentissi a disagio quando il mio paese d’origine veniva evocato, ho smesso del tutto di parlare la lingua albanese, fingendo che di botto l’avevo dimenticata. La mia lingua madre era diventata un segreto umiliante. Non era più una forza, un di più delle mie competenze linguistiche, ma una prova del fatto che ero diverso dagli altri. Questo è il motivo per cui odiavo che mi chiedessero di parlare albanese a scuola. Crescendo, ho imparato che certe lingue sono più utili di altre, e ho imparato che i miei colleghi svedesi non erano immigrati. Ho capito che erano fratelli e sorelle che vivevano nella società finlandese, erano membri del “mondo civilizzato”. Laddove io, un albanese etnico, ero un membro di un altro mondo, un richiedente asilo, un profugo di guerra. Il mio paese d’origine non era noto per la produzione di auto veloci, telefoni cellulari o componenti di aeroplani, e quando dicevo a qualcuno da dove venivo, invece che di interesse, ero spesso oggetto di pietà. Non mi sono reso conto che stavo soffrendo di razzismo interiorizzato fino a quando ho iniziato a lavorare al mio primo romanzo. Mentre facevo le mie ricerche, leggendo di barbari atti di violenza, guardando immagini di cadaveri in fosse comuni, uomini ammazzati e lasciati decomporre sul ciglio della strada, provai vergogna per me stesso, ancora una volta, ma adesso in modo diverso. Mi sono reso conto che era questo, e solo questo, queste storie e queste immagini, che mi avevano relegato nella negazione e nella vergogna. Queste immagini e queste storie associavano regolarmente criminalità, violenza e morte con il luogo delle mie origini. Instillandomi il bisogno di nasconderlo, di provare vergogna, anche per la mia lingua madre, facendomi credere che, essendo un rappresentante di una certa nazionalità, ero in qualche modo responsabile della sua storia. Ora, non sono sicuro di come vadano le cose in Italia perché non conosco l’italiano, ma è molto allarmante ciò che sta succedendo oggi. Come quando si usano certe parole, quando si parla di costruire muri in modo che certe persone di certi paesi vengano tenute lontane. Ad esempio, nell’autunno del 2015 i media finlandesi hanno parlato molto della gente in fuga dalla Siria. I media hanno usato frasi come “un diluvio di profughi”. Alcune metafore, associate a disastri e catastrofi naturali, vengono utilizzate – quasi scelte con cura – per intonarsi al modo in cui (evidentemente) si è autorizzati a parlare di rappresentanti di determinate religioni e culture, delle loro tragedie e dei luoghi da cui potrebbero venire. È il caso di chiedersi, se accadesse qualcosa di così tragico (come la guerra) in un paese occidentale, diciamo la Svezia, per esempio, in quel caso i media descriverebbero le persone che fuggono dal loro paese in toni simili? In Le transizioni, diverse pagine raccontano come questo tipo di discorso influenza un individuo. Là dove è descritto il clima politico nei primi anni ’90, come cambiarono gli atteggiamenti degli italiani nei confronti degli albanesi immigrati. Mi sono sentito molto attratto da questi eventi anche se erano un po’ lontani da me, perché mi ci sentivo legato in tanti modi. Quanto al sentimento di vergogna per il mio passato, poi … mi rattrista dire che condivido l’emozione con molti come me. È anche il punto di partenza di Le transizioni. I due ragazzi del libro, soffrendo dello stesso tipo di vergogna, passano tutta la vita cercando di liberarsene. Uno di loro lo fa rendendosi disponibile a fare qualsiasi cosa per non esserne vittima, fino a “perdere la faccia”, mentire su ogni dettaglio del suo passato, persino rubare la vita, le speranze e i sogni degli altri”. D.Hai già raggiunto notevoli risultati ad un’età così giovanile. Vincere il Premio Finlandia per la letteratura ti ha messo sotto pressione, ha cambiato i tuoi progetti? Cosa vedi davanti a te?. R.Questo riconoscimento vale tutto per me. Ne sono così onorato e commosso, ne terrò conto per il resto della mia vita. Per il futuro spero di sentirmi ispirato a scrivere, proprio come lo sono stato fino ad ora. Il mio quarto libro, se e quando comincerò a scriverlo, avrà ben poco a che vedere con i miei lavori precedenti. Sarà un mondo a parte. Saperlo, mi permette di non sentire troppa pressione. Penso comunque che potrei esplorare modi di raccontare storie in altri modi, altri generi e scenari, come scrivere per le scene. Ma non lo so, il futuro è sempre un punto interrogativo”.

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Articolo 2

Le Transizioni” del giovane Pajtim. Un grande romanzo finlandese sull’incerta identità dell’Europa. Di Nicola Rainò 14.02.2020

Pajtim Statovci è il narratore emergente nel panorama della letteratura finlandese contemporanea. Ha da poco pubblicato il suo terzo romanzo, Bolla, che gli è valso il Premio Finlandia per la letteratura del 2019, il più giovane a ricevere questo riconoscimento. Nato in Kosovo nel 1990, è cresciuto in Finlandia dove si è trasferito con la famiglia fuggita dalla guerra quando aveva due anni. Leggendo i romanzi di Statovci viene un nodo in gola. Viene da domandare, a noi stessi e non solo: ci ricordiamo degli anni ’90, appena trent’anni fa, quando le coste della Puglia vennero “invase” da migliaia e migliaia di carrozzoni del mare sgangherati, e si trattava prevalentemente di albanesi, tutti “profughi economici”, tutti “clandestini” dichiarati? Non c’erano Ong, all’epoca, ad accompagnarli nei porti. Arrivavano a grappoli sui ponti e le torrette di vascelli fantasma e si lanciavano in mare appena avvistata la costa. Una euforia di naufragi che vide gli italiani, in particolare la gente di Bari, Brindisi e Otranto, offrire un aiuto a tanti disperati che avevano negli occhi fame, di tante cose. Le storie di Pajtim Statovci partono sempre da quella terra dilaniata, il Kosovo delle sue origini, dandone un ritratto mai univoco: accanto all’indigenza estrema dei paesini dell’interno, l’avidità dei nuovi ricchi, di nuovi predoni, italiani compresi, e la voglia di tanti di lasciare un mondo in rovina, con due stracci addosso, affrontando rischi di ogni genere: il mare, i trafficanti. Sullo sfondo, storie e leggende animano gli incubi di questi uomini, riaffiorano animali mitologici dalle memorie dell’infanzia, per poi ricomparire, in forme più spaventose, anche nelle nuove patrie provvisorie, le patrie di transito. Cosa c’era dietro quegli occhi, nell’animo di un ragazzo, pronto a lanciarsi in mare senza nessuna certezza? Nei romanzi di Statovci troviamo anche questo, la definizione transitoria di un’identità difficile, forse le ragioni di quella unità europea così difficile, ma non solo per egoismo politico. Il fatto è che l’Europa si lascia alle spalle tanti vuoti, con altrettante rimozioni: come quella degli scrittori italiani contemporanei. Non mi viene in mente un solo “grande” romanzo nell’Italia dei nostri tempi che abbia avuto il coraggio di affrontare adeguatamente le tragedie di questi decenni, dall’Albania alla Libia. Di fronte a una odissea di queste dimensioni, li vediamo affollare i talk show televisivi, dicendone di ogni genere: ma perché un tema così vicino a noi italiani, di gente con cui abbiamo una faccia e una razza, non riesce a trovare una voce? Ecco, Pajtim Statovci è (anche) questa voce, e dall’interno del fenomeno ci racconta faccende sporche e inquietanti che forse ci imbarazzano, o troviamo sgradevoli. Certo non fanno salotto. Ha scritto di questo romanzo il Guardian: «Questa è l’opera di un romanziere già maturo, in una tradizione che va da Camus a Kafka, da Kadare a Kristeva. Di una bellezza brutale.»

Le Transizioni  (titolo originario Tiranan sydän, “il cuore di Tirana”) è il racconto di un giovane europeo del nostro tempo: non ha certezze, è privo di ideologie, è una persona in cerca di definizione.  Non ha certezze nemmeno riguardo al suo genere. Bujar dice: «sono un ragazzo di ventidue anni, che a volte si comporta come immagina facciano gli uomini », ma può essere una giovane di Sarajevo corteggiata da uomini di ogni età. Il giovane inventa continuamente se stesso e la propria storia, ruba il passato e l’identità delle persone che ha amato, e così si racconta a un amico o a una sconosciuta, nel resoconto di una vita trascorsa in viaggio e in fuga, dall’Albania all’America, passando per Roma, Madrid, Berlino, Helsinki. Perché, come dice lui stesso, «nessuno è tenuto a rimanere la persona che è nata, possiamo ricomporci come un nuovo puzzle».
A partire dall’adolescenza poverissima a Tirana, «la discarica d’Europa, il fanalino di coda dell’Europa, la prigione a cielo aperto più grande d’Europa», Bujar narra la sua storia in prima persona. I genitori, la sorella, l’amicizia con Agim, coetaneo e vicino di casa, rifiutato dalla famiglia per il suo orientamento sessuale. Entrambi fuori luogo in un paese devastato, sempre più dipendenti l’uno dall’altro, decidono di lanciarsi verso un futuro che gli appartenga.

21 gennaio 2021. Da Lucia Aprile

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Ai Soci e Simpatizzanti,

Oggi 21 gennaio 2021, l’addio a Emanuele Macaluso, “Comunista per sempre”, “grande spirito della sinistra novecentesca”.

Oggi il centenario  della fondazione del P.C.I. a Livorno.

Anni fa l’Adirt a Livorno, nel vecchio quartiere chiamato la piccola Venezia,  sosta  in silenzio dinanzi a quel che resta del Teatro San Marco,  dove una bandiera rossa e una lapide ricordano la nascita del Partito Comunista d’Italia.

Pensieri ed emozioni.

Lucia

Lucia Aprile a Soci e Simpatizzanti dell’Adirt

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                                                                                                              Visualizza immagine di origine

18 gennaio 2021. In questo momento è giunta notizia che Capitale italiana della cultura 2022 sarà Procida.

Immediato per me il ricordo del nostro Viaggio Adirt nell’isola con le suggestioni del romanzo ”L’isola di Arturo” di Elsa Morante e le immagini del film “Il Postino”, tratto da ”Il postino di Neruda” di Antonio Skàrmeta, ultima, intensa, interpretazione di  Massimo Troisi.
Grande la nostra emozione nell’andare lungo le orme di Elsa Morante: i profumi  dei Giardini di Elsa  dove fu scritto  il romanzo e sede del parco letterario a lei  intitolato, le case variopinte, le barche in secca, il Castello che domina completamente l’isola di Procida.
Indimenticabili, la discesa a Marina Corricella, borgo di pescatori lontano dai rumori della quotidianità, e i luoghi del film “Il Postino”:  la marina,  il bar e, soprattutto,  l’incontro del postino Troisi con Neruda (un bravissimo Philippe Noiret) e quindi con la Poesia.

“Se fossi poeta potrei dire quello che voglio”
“E che cos’è che vuoi dire?”.
“Be’, il problema è proprio questo. Siccome non sono poeta, non lo so dire
.

Dimenticavo! Bella compagna del nostro viaggio, la colonna sonora del film, firmata Luis Bacalov, vincitore del premio Oscar nel 1996
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Ricordo a Soci e Simpatizzanti che è attivo su Facebook Adirt Social. Se possibile, visitatelo!
Invito inoltre, Soci e Simpatizzanti, a raccogliere materiale fotografico dei nostri incontri, viaggi, documenti, testimonianze etc., materiale che ci potrà essere utile per la comunicazione tra di noi ed anche per la Mostra che organizzeremo per i 40 anni Adirt e che speriamo di poter realizzare nel 2022.
Grazie. Vi penso e vi abbraccio.
Lucia

 

 

 

 

 

 

Comunicato Adirt del 17 dicembre 2020

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17 dicembre 2020

Comunicato Adirt

Ogni anno, prima del Natale, i Soci e le Socie dell’Adirt rinnovano il legame con l’Associazione attraverso la Festa del tesseramento e un augurio reciproco.

Questo tempo “scuro” così insolito e incerto che dura da Marzo 2020, vieta l’incontro nella sede di via Abbrescia, che peraltro non c’è più, ma non ci impedisce di mantenere i contatti.

Infatti, ci incontreremo Online, via Skype

MARTEDI 22 dicembre – dalle ore 17.30 alle 18.30

Le Socie ed i Soci che intendono partecipare possono comunicare la propria disponibilità inviando, entro Lunedi 21 dicembre, il proprio nome Skype a:

 

info@adirt.it

oppure a

isa.bergamini@email.it

 

Info: Lucia Aprile 338.4639612 – 339.4029450;  

Angela Mengano 338.4639612

 

Associazione Difesa Insediamenti Rupestri e Territorio

info@adirt.itwww.adirt.it

Impalcature. Il romanzo del ritorno, di Mario Benedetti

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16 dicembre 2020

Mario Benedetti,Impalcature. Il romanzo del ritorno”.Nottetempo, 2019

di Monica Mc Britton

Quest’anno, 2020, si commemora il centenario della nascita di Mario Orlando Hamlet Hardy Brenno Benedetti Farugia, noto come Mario Benedetti.

Se il “nome della rosa” dice qualcosa sull’essenza delle rosa, i nomi dati allo scrittore uruguaiano dai suoi genitori, preannunciano la sua vocazione di poeta, saggista, scrittore e drammaturgo.

In effetti, autore di una vasta opera letteraria, una parte accessibile in italiano, Mario Benedetti è uno dei più importanti intellettuali del ‘900 non solo in Uruguay ma in tutta l’America Latina.

È stato anche un cittadino impegnato nelle lotte politiche per una maggiore giustizia sociale nel suo Paese. Ha conosciuto l’esilio durante la dittatura militare fra il 1973 e il 1985.

Ha lasciato per testamento risorse per la costituzione di una Fondazione, la quale porta il suo nome, il cui scopo è la promozione della letteratura e dei diritti umani con particolare riguardo al rintracciamento dei prigionieri politici scomparsi.

Il sito della fondazione è:

fundacionmariobenedetti.uy

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Breve nota a cura di Isa Bergamini dopo l’incontro del gruppo di lettura.

Molti sono stati gli aspetti di questo bel libro evidenziati nei vari interventi, in particolare si è detto del buon ritmo della narrazione e di come l’autore uruguaiano ne padroneggi sapientemente la struttura.

Benedetti magistralmente non affonda lo sguardo nei terribili particolari delle persecuzioni politiche in America Latina, ma racconta la storia privata difficile e dolorosa di una generazione travolta, soppressa e cancellata nel silenzio a cui è stata piegata. Non è stato considerato un romanzo politico, ma un romanzo di vita con diversi problemi irrisolti e evidenziati senza drammatizzazioni ma sommessamente con molti interrogativi che coinvolgono il lettore. L’angoscia e la paura di un’età del terrore, restano come unico segno di tante speranze soffocate, che vivono come sospese nella moderna città di Montevideo, descritta amabilmente in alcune belle pagine.

Sono state ricordate in particolare le figure femminili di questo libro, la bella e dolente figura di Rocìo, la madre Nieves, la moglie e la figlia, tutte donne amate da Javier, il mite protagonista che di capitolo in capitolo procede al restauro delle “Impalcature”, sulle cui tracce il lettore con passione lo segue.

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di Roberta Ruggieri

Ogni realtà individuale e collettiva in perenne costruzione ha bisogno di impalcature per esistere, queste sono fatte di persone, di riflessioni, di  emozioni.
Voce dell’America Latina, Benedetti intreccia poeticamente la sua storia personale con quella del suo paese, toccando vari temi: la patria, la sinistra, gli affetti.
Particolarmente felici sono i ritratti delle donne, disegnate con  vera partecipazione.

LeggerMente. I nostri libri

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I NOSTRI LIBRI

  • Sàndor Màrai, “La recita di Bolzano“, traduzione di Marinella D’Alessandro, Ed. Adelphi, 2000
  • Colum McCann, “Una madre“, traduzione di Marinella Magrì, Ed. Feltrinelli, 2024
  • Paolo Giordano, “Tasmania“, Ed. Einaudi, 2022
  • Pablo Montoya, “Trittico dell’infamia“, traduzione di Ximena R. Bradford. Ed. e/o, 2015
  • Stéphanie Coste, “Lo scafista“, traduzione di Cettina Caliò, Ed. La nave di Teseo, 2022
  • Fernando Aramburu, “Figli della favola”, traduzione di Bruno Arpaia, Ed. Guanda, 2023
  • Susan Abulhawa, “Ogni mattina a Jenin“, traduzione di Rota Sperti, Ed. Feltrinelli, 2013
  • Clara Pineiro, “Elena lo sa“, traduzione di Pino Cacucci, Ed. Feltrinelli, 2007
  • Pat Barker, “Il silenzio delle ragazze“, traduzione di Carla Palmieri, Ed. Einaudi, 2019
  • Lorena Salazar Masso, “Il Canto del Fiume“, traduzione di Giulia Zavagna, Ed. Sellerio, 2023
  • Antonio Pascale, “La foglia di Fico. Storie di alberi, donne, uomini”, Ed. Einaudi, 2021
  • Guadalupe Nettel, “La figlia unica“, traduzione di Federica Niola, Ed. La Nuova Frontiera, 2020
  • Stefano Massini, “Qualcosa su i Lehman“, Mondadori, 2018.
  • Javier Marías, “Berta Isla”, traduzione di Maria Nicola, Ed. Einaudi, 2018. 
  • Juan Rulfo, “Pedro Paramo“, traduzione di Paolo Collo, Ed. Einaudi 2014.
  • Raffaele La Capria, “Ferito a morte”, Ed. Mondadori, 2022
  • Georges Simenon, “Le sorelle Lacroix”, traduzione di Federica e Lorenza Di Lella, Ed. Adelphi, 2022

  • Beppe Fenoglio, “Una questione privata“, Ed. Einaudi, 2022

  • Pedro Lemebel, “Ho paura torero”, traduzione di M.L. Cordaldo e G. Mainolfi, Marcos y Marcos, 2004 e 2021
  • Alejo Carpentier, “L’arpa e l’ombra”, traduzione di Linda Verna, Ed. Sellerio, 2020
  • Roberto Bolaño, “Notturno cileno“, traduzione di Ilide Carmignani, Ed. Adelphi, 2016
  • Elsa Osorio, “Lezione di Tango”, traduzione di Roberta Bovaia,TEA, 2006. Titolo originario, “Cielo de Tango”.
  • Jorge Amado, “Cacao”, traduzione di Daniela Ferioli, Ed. Einaudi, 2015.  
  • Elena Ferrante, “La vita bugiarda degli adulti”, Edizioni e/o, 2019
  • Flannery O’Connor, “Un brav’uomo è difficile da trovare“, traduzione di Gaja Cenciarelli, Ed. Minimum fax, 2021.
  • Marco Balzano, “Quando tornerò”, Ed. Einaudi, 2021.
  • Manuel Puig, “Il bacio della donna ragno”, traduzione di Angelo Morino, Ed. SUR, 2017.
  • Laura Forti, “L’acrobata”, Ed. Giuntina, 2019.

  • Gianluca Nicoletti, “Io, figlio di mio figlio”, Ed. Mondadori, 2018.

  • Philip Roth,Nemesi”, traduzione di Norman Gobetti, Ed. Einaudi, 2011.
  • Amos Oz, “Una storia di Amore e di Tenebra”, traduzione di Elena Loewenthal, Ed. Feltrinelli, 2002.
  • Simone de Beauvoir, “Memorie d’una ragazza perbene”, traduzione di B. Fonzi, Ed. Einaudi, 2014.
  • Franco Cassano, “Il pensiero meridiano”, Laterza, 1976.
  • Pajtim Statovci, “Le transizioni”, traduzione di Nicola Rainò, Sellerio, 2020.
  • Mario Benedetti, “Impalcature. Il romanzo del ritorno”, traduzione di Maria Nicola, Nottetempo, 2019
  • Domenico Starnone, “Scherzetto”, Einaudi, 2016.
  • Gesualdo Bufalino, “Le menzogne della notte”, Bompiani, 2019.
  • Isaac Bashevis Singer, “Il mago di Lublino”, traduzione di Katia Bagnoli, Adelphi, 2020.
  • J. Machado de Assis, “Don Casmurro”, traduzione di G. Manzi, Fazi, 2014.
  • Virginia Woolf, “Al Faro”, traduzione di Nadia Fusini, Feltrinelli, 14^ ed. 2014.
  • Ernesto Ferrero, “I migliori anni della nostra vita”, Feltrinelli, 2005.
  • Bernhard Schlink, “Il Lettore”, traduzione di Chiara Ujka, Neri Pozza Editore, 2018.
  • Toni Morrison, “Il dono”, traduzione di S. Fornasiero, Sperling&Kupfer, 2018.
  • Italo Calvino, “Gli amori difficili”, Oscar Arnaldo Mondadori Editore, 1993.
  • Ala Al-Aswani, “Palazzo Yacubian”traduzione di B. Longhi, Feltrinelli, 2012.
  • Italo Calvino, “La Speculazione Edilizia”, libri di I. Calvino, n. 1, Mondadori, 1991.
  • Michail Bulgakov, “Maestro e Margherita”, traduzione di Maria Serena Prina, Mondadori, 2017.
  • Fedor Michajlov Dostoevskij, “Le notti bianche”, traduzione di Serena Prina, Feltrinelli, 2015.
  • Magda Szabò, “L’altra Eszter”, traduzione di Bruno Ventavoli, Einaudi, 2007.
  • Philip Roth, “Patrimonio. Una storia vera”, traduzione diVincenzo Mantovani, Einaudi, 2007.
  • Romain Gary, “La vita davanti a sé”,  traduzione di Giovanni Bogliolo, Neri Pozza, 2014.
  • Javier Cércas, “Il sovrano delle ombre”, traduz.ione diBruno Arpaia, Guanda, 2017.
  • José Saramago, “La Caverna”, traduz. Rita Desti, Feltrinelli, 2016.
  • Fernando Aramburu, “Patria”, traduzione di Bruno Arpaia, Guanda, 2017.
  • William Faulkner, “Luce d’agosto”, traduzione di M. Materassi, Adelphi, 2013.
  • Alice Munro, “Il sogno di mia madre”, Einaudi, 2014.
  • Jorge L. Borges, “Finzioni”, Einaudi, 2015.
  • Franz Kafka, “La Tana”, in “Tutti i Racconti”, Mondadori, 1998.
  • Friedrick Dùrrenmatt, “La morte della Pizia”, Adelphi, 1988.
  • Annie Ernaux, “Gli anni”, l’Orma, 2015.
  • Omar Di Monopoli, “Nella perfida terra di Dio”, Adelphi, 2017.
  • Teresa Ciabatti, “La più amata”,  Mondadori, 2017.
  • Antonella Lattanzi, “Una storia nera”, Mondadori, 2017.
  • Nizar Qarbani, “Le mie poesie più belle”, Ed. Jouvence, 2016.
  • John Steinbeck, “Furore”, Bompiani, 2013.
  • Kent Haruf, “Canto della pianura”, NN Editore, 2015.
  • Abraham B. Yehoshua, “La comparsa”, Einaudi, 2017.
  • Romano Luperini, “La rancura”, Mondadori, 2015.
  • Henry James, “Ritratto di signora”, Newton Compont, 2015.
  • Domenico Dara, “Appunti di meccanica celeste”, Nutrimentrgei, 2016.
  • Melania Mazzucco, “Io sono con te”, Einaudi, 2016.
  • Alessandro Piperno, “Dove la storia finisce”, Mondadori, 2016.
  • Daniele Aristarco, “Shakespeare in shorts”, Feltrinelli, 2016.
  • Massimo Governi, “La casa blu”, edizioni e/o, 2016.
  • Stefano Valenti,” Rosso nella notte bianca”, Feltrinelli, 2016.
  • Simona Baldelli, “La vita a rovescio”, Giunti, 2016.
  • Edoardo Albinati, “La scuola cattolica”, Rizzoli, 2016.
  • Simona Vinci, “La prima verità”, Einaudi, 2016.
  • Filippo Tuena, “Memoriale sul caso Schumann”, Il Saggiatore, 2015.
  • Igort, “Quaderni giapponesi”, Coconino Press, 2015.
  • Eraldo Affinati, “L’uomo del futuro”, Mondadori, 2016.
  • Viola Di Grado, “Bambini di ferro”, La nave di Teseo, 2016.
  • Amalia Mancini, “Verranno i giorni della pace”, Gelsorosso, 2016.
  • Winfried Georg Sebald, “Gli anelli di Saturno”, Adelphi, 2010.
  • Elif Shafak, “Le quaranta porte”, BUR, 2014.
  • Oliver Sacks, “L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello”, Adephi, 1986.
  • Joseph Conrad, “La linea d’ombra”, Einaudi, 1993.
  • Joseph Conrad, “Cuore di tenebra”, Feltrinelli, 2013.
  • Emmanuel Carrère, “Limonov”, Adelphi, 2012.
  • Emmanuel Carrère, “L’Avversario”, Adelphi, 2013.
  • Alberto Méndez, “I girasoli ciechi”, Guanda, 2006.
  • Georges Simenon, “Il grande male”, Adelphi, 2015.
  • Erich Maria Remarque, “La notte di Lisbona”, Neri Pozza, 2015.
  • Murakami, “Norwegian Wood”, Einaudi Super ET, 2013.
  • Philip Roth, “Pastorale americana”, Einaudi, 1998.
  • Gary Shteyngart, “Mi chiamavano piccolo fallimento”, Guanda, 2014.
  • Antonella Ossorio, “La mammana”, Einaudi, 2014.
  • Azar Nafisi, “Leggere Lolita a Teheran”, Adelphi, 2004.
  • Thomas Mann, “L’inganno”, Oscar Mondadori, 1994.
  • Benedetta Tobagi, “Come mi batte forte il tuo cuore”, Einaudi, 2009.
  • Silvia Avallone, “Acciaio”, Rizzoli, 2010.
  • Ryszard Kapuściński, “L’altro”, Saggi Feltrinelli, 2007.
  • Clara Usón, “La figlia”, ed. Sellerio, 2013.
  • Alessio Viola, “Dove comincia la notte”ed. Rizzoli, 2013.
  • Marguerite Yourcenar, “L’Opera al nero”, Feltrinelli, 1969.
  • Marco Presta, “Un calcio in bocca fa miracoli”, Einaudi, 2012.
  • Arthur Schnitzler, “La signorina Else”, in Opere, Mondadori, 2001.
  • Giacomo Annibaldis, “La colpa del coltello”, Edizioni di pagina, 2013.
  • Edda Fabbri, “Oblivion”, Ed. Oèdipus Salerno, 2012.
  • Orhan Pamuk, “Il mio nome è rosso”, Einaudi, 2001.
  • John Maxwell Coetzee, “Vergogna”, Einaudi, 2003.
  • Stefan Zweig, “Paura”, Adelphi, 2011.
  • Stefan Zweig, “Bruciante segreto”, Adelphi, 2010.
  • Mario Vargas Llosa, “La zia Julia e lo scribacchino”, Einaudi, 1994.
  • Jonathan Franzen, “Libertà”, Ed. Einaudi, Numeri Primi, 2011.
  • Italo Calvino, “Se una notte d’inverno un viaggiatore”, Oscar Mondadori, 2001.
  • Margherite Yourcenar,  “Memorie di Adriano”, traduzione di Lidia Storoni Mazzolani, ed. Einaudi, 1963.
  • Lev Nicolaevic Tolstoj,  “Sonata a Kreutzer”, 1891.
  • Vladimir Nabokov, “Lolita”, traduzione di G. Arborio Mella, Adelphi, 1993.
  • Georges Simenon, “Lettera a mia madre”, Adelphi, 1991.
  • Georges Simenon, “Il Treno”, Adelphi, 2007.
  • Irène Némirovsky, “Due”, Adelphi, 2011.
  • Erri De Luca, “Il peso della farfalla”, Feltrinelli, 2011.
  • Erri De Luca, “I pesci non chiudono gli occhi”, Feltrinelli, 2011.

Sul tema dell’amicizia:

  • Luis Sepúlveda, “Storia del gatto e del topo che diventò suo amico”, Guanda, 2012.
  • Sandor Marais, “Le Braci”, Adelphi,1998.
  • Marguerite Yourcenar, “Il colpo di grazia”, UEF, 1990.
  • Thomas Bernhard, “Il soccombente”, Gli Adelphi, 1999.
  • Andrea De Carlo, “Due di Due”, Bompiani, 2009.
  • Franz Kafka, “La condanna”, da “Racconti”, Oscar Mondadori, 2006.
  • André Aciman, “Chiamami col tuo nome”, Guanda, 2008.
  • Fred Uhlman, “L’amico ritrovato”, Feltrinelli, 2012.
  • Nicolò Ammaniti, “Io e te”, Einaudi, 2010.
  • Virgilio, “Eurialo e Niso”, Eneide, Libri V e VI.
  • Magda Szabò, “La porta”, Einaudi, 2007.
  • Mary Mc Carty, “Il gruppo”, Einaudi, 2005.
  • Michela Murgia, “L’incontro”, Einaudi, 2012.
  • Cicerone, “De Amicitia”, Mondadori, 1997.

Sul tema del giardino:

  • Ruth Ammann, “Il giardino come spazio interiore”, Bollati Boringhieri, 2006.
  • Enzo Bianchi, “Ogni cosa alla sua stagione”, Einaudi, 2010.
  • Thomas A. Harris, “Io sono ok, tu sei ok”, B.U.R., 1995.
  • Frances E. Hodgson Burnett, “Il giardino segreto”, Giunti Junior, 2011.
  • Serena Dandini, “Dai diamanti non nasce niente, storie di vita e di giardini”, Rizzoli, 2011.
  • Jacques Brosse, “Mitologia degli alberi, dal giardino dell’Eden al legno della croce”, B.U.R., 2010.
  • Hermann Hesse, “In giardino”, Guanda, 2015.
  • Marina Tartara, “Giardini di felicità, sentieri letterari dal duemila al duemila”, Biblioteca del Vascello, 1993.
  • Jorge Luis Borges, “Il giardino dei sentieri che si biforcano”, da Finzioni, Einaudi, 1995.

Il NO dell’Adirt ad “una statua per San Nicola”.

Attività 2019-2020 1 Commento »

6 dicembre 2020

Nei  giorni che precedono la festa di San Nicola  la stampa locale riporta la notizia di un progetto che prevede  «Una statua per San Nicola» alta 70 metri, con dentro un museo, un  bar ed ex voto, da  realizzare al Varco della Vittoria, nelle vicinanze della Fiera del Levante e dell’area portuale.

Mentre per gli ideatori: «Sarà un monumento mai visto», sui Social: «Rovina lo skyline», su La Repubblica Giandomenico Amendola denuncia: “ E’ una follia. Non parliamone più”,
Arturo Cucciolla: “Quel colosso nicolaiano è inaccettabile: idea volgare e violenta”

Perdonate, ma il mio primo pensiero è andato a Nino Lavermicocca, grande narratore della sua Città, delle sue  Storie, dei suoi Santi, grazie al quale è nata l’Adirt che da 40 anni opera per la conoscenza, la difesa, la tutela e la valorizzazione  del nostro patrimonio storico-artistico-ambientale-archeologico.

Che penserebbe  Nino, per il quale, come ebbe a dire Lino Patruno, ricordandolo sulla Gazzetta del Mezzogiorno, “le campane di tutte le chiese di Bari vecchia dovrebbero suonare insieme a lui e i santi di strada che occhieggiano dalle edicole dovrebbero rivolgergli un saluto per l’ultima volta” ?

Nino, oltre ad essere un archeologo attento, infaticabile, era un innamorato del Santo protettore della sua città, un cultore di San Nicola, un collezionista  di testimonianze di ogni gener,e di questo “Santo di tutte le genti”.

L’Adirt non dimentica tra i suoi libri  “La nave dei miracoli: le storie prodigiose di San Nicola di Bari”. Tra i suoi itinerari, “Il viaggio a Mira in autobus” e tanto altro.

E allora? Una statua di San Nicola alta 70 metri, visibile da 20 chilometri di distanza? Con due ascensori, scale e una parte dedicata all’installazione di targhe di ringraziamento? Penso che Nino  si sarebbe indignato come quando vedeva dispersa e non valorizzata  la ricchezza culturale della sua città.

L’Adirt, comunque, oltre ad esprimere il proprio dissenso, sottolinea che il progetto «Una statua per San Nicola» proprio perché interviene sul paesaggio, perché lo modifica deturpandolo, avrebbe richiesto una sua  presentazione alla città e in seguito un ampio dibattito tra architetti, urbanisti  e semplici cittadini .

Per l’Adirt

Lucia Aprile

Cucciolla su San Nicola

 

 

 

 

Lucia Aprile alle Socie, ai Soci e Simpatizzanti dell’Adirt – 6 Novembre 2020

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6 Novembre 2020

Carissimi/e

pensare, progettare, realizzare percorsi adeguati al tempo del Covid mi era sembrato possibile, eravamo pronti a partire ma una crescita dei contagi così esponenziale ci invita alla “Distanza”.
Le occasioni di socialità proposte e programmate nell’ultima lettera producono assembramento e quindi non sono percorribili.
Mi dispiace per l’entusiasmo dei giovani architetti pronti a guidarci e a discutere dei progetti realizzati e da realizzare nella nostra città.
Mi dispiace venir meno alla disponibilità espressa dalla Regione Puglia riguardo i nostri incontri e un corso di formazione digitale.
Che fare?
Non è stato mai così difficile riprendere il filo…
Forse   una “un’altra distanza” però è possibile ed è quella “virtuale” che peraltro viene praticata dal Direttivo e da “LeggerMente”
Vogliamo provarci?
Incontrarsi virtualmente non è la “stessa cosa”, lo so, ma rivedersi, raccontarsi e progettare per un tempo che ci auguriamo fra un anno libero da ansie e da paure aiuta a non disperdere la storia di pensieri ed azioni della nostra associazione.

Nel 2022 l’Adirt compie 40 anni della sua presenza sul nostro territorio.
Nel 2002 a palazzo Simi, sede della Sovrintendenza archeologica, riuscimmo a realizzare una Mostra per i 20 anni.
Fu un’esperienza ricca di incontri, di dibattiti, di impegni.
Ancora di più per i 40 anni, non vi pare?

Abbiamo pertanto un anno di tempo, come vi dicevo precedentemente, di tempo peraltro “sospeso” da impegnare in questo progetto a lunga scadenza:

una Mostra che riunisca tutti i segni della nostra attenzione per il territorio,  del nostro “andare”,  del “Bello” e del “Buono” sempre oggetto del nostro stare insieme e che coinvolga tutti coloro che hanno collaborato con noi in questi tanti anni.
una Mostra significativa non solo per noi che ci siamo stati, che abbiamo vissuto tutto questo ma anche per coloro che ci hanno conosciuti , per il messaggio che siamo stati capaci di trasmettere e  che è sempre lo stesso:  la ”cura” della città, del suo  patrimonio storico –artistico-ambientale per un “nuovo umanesimo urbano” , per una migliore qualità del vivere

Lavorare insieme in questo periodo così insolito e problematico esige però la disponibilità di noi tutti a scaricare una “piattaforma di videoconferenza online” tipo Zoom che pare sia quella più diffusa per realizzare videoconferenze o un’altra che però vi sarà indicata con tutte le informazioni per l’installazione.

Importante perciò è sapere quanti sono disposti a partecipare a tali incontri “virtuali” che restano comunque un modo per rivederci e stare insieme, dopo tutti questi mesi, ma con la sicurezza offerta dalla tecnologia.

Aspetto una risposta via mail  

info@adirt.it   o, come sempre, al 338.609.2628 – 338.463.9612

Lucia Aprile  

info@adirt.it
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