Diario di viaggio

Siria e Giordania

31 ottobre – 13 novembre 2009

a cura di Elisa Cataldi ed Imma Silletti

Sabato 31 ottobre
Roma – Aleppo

Partiamo in pullman alle 06.00 per arrivare a Roma Fiumicino in tempo per l’aereo della Royal Jordan Airlines che, alle 15,00 ci porterà ad Aleppo, via Amman.
Arriviamo ad Aleppo intorno alle 22.00. In aeroporto ci aspetta la guida siriana: si chiama Imad, un uomo magro magro, dal baffetto levantino, più o meno cinquantenne, molto vivace che con grande sollecitudine e molto sollievo da parte nostra si occupa di tutto ciò che serve per il nostro ingresso in Siria.
All’uscita dall’aeroporto siamo presi d’assalto da ragazzini che pur di accaparrarsi un euro, litigano fra loro per caricare il nostro bagaglio sul pullman.
Mentre il pullman ci porta in albergo, Imad ci spiega che ci conviene ignorare questi ragazzini che troveremo insistenti lungo tutto il nostro viaggio, per non esserne importunati ed anche perché…. per loro è diseducativo!
La nostra guida ci presenta l’autista che guiderà il pullman per tutta la Siria: un altro Imad!!! Rivelatosi nei giorni successivi, persona silenziosa, attenta, professionale, ma sempre sorridente e molto disponibile.

Ci spiega inoltre quanto gradito sia l’euro in Siria, visto che vale circa 60 – 65 lire siriane! Quindi ci converrà pagare in lire siriane fino all’equivalente di 10 euro, oltre, direttamente in euro.
Parla molto bene l’italiano Imad: ha vissuto 8 anni in Francia dove per 3 anni ha studiato Medicina, poi 3 anni a Parma dove ha lavorato in un’agenzia di import-export. Ora vive ad Aleppo dove ha moglie e 3 figli maschi fra i 16 e i 6 anni.
Dopo qualche altra dritta circa le telefonate, le mance etc., arriviamo in albergo.
Ci vengono assegnate le camere, nelle quali troviamo un piatto di cena fredda che quasi nessuno onora perché già sazi delle vivande dell’aereo e anche perché abbastanza stanchi.

Domenica 1 novembre
Dintorni di Aleppo

Al nostro risveglio, quello che si può vedere dalle nostre finestre è qualcosa di molto strano e forse contraddittorio: tutto un susseguirsi di palazzi grigi e fatiscenti, spesso privi di intonaco, sormontati da una miriade di antenne paraboliche. Le terrazze nascoste da teloni e tappeti di vario genere fanno pensare ad un luogo dove in particolare le donne devono essere libere di muoversi lontano da sguardi indiscreti (“La terrazza proibita” di Fatima Mernissi). Molti solai“ornati” di pilastri liberi, pronti – come ci spiegherà Imad – ad una sopraelevazione nel momento in cui servirà un altro piano, per esempio quando un figlio si sposa.
Dopo la prima colazione,partiamo in pullman per Ebla. Ad una sessantina di km. da Aleppo, Ebla si trova su di un’altura ( tell Mardikh ) visibile da lontano.
Grande attesa per questo sito: proprio un italiano, il prof. Paolo Matthiae (completamente ignorato dalla guida Lonely Planet !!!) con il suo team, nel 1964 ha scoperto che 3000 anni a. C. Ebla era una delle più potenti città- stato della Siria.
Sono state individuate varie strutture come il Palazzo reale, la sala degli archivi, le mura, ma soprattutto sono state trovate circa 17.000 tavolette di argilla con iscrizioni in Sumero, in parte ancora da decifrare.(….tavuléta!!!!….)
Entusiasmante, sì, se non fosse che pioveva che Dio la mandava e fra ombrelli, cappucci, macchine fotografiche e terreno fangoso…ci siamo goduti ben poco!
Le strutture poi, di mattoni crudi, sono state protette dagli agenti atmosferici da uno spesso strato di terra e paglia che ne limita fortemente la “fruizione”.
Ebla
La visita successiva è stata dedicata al Monastero di San Simeone lo Stilita (Qalat Simaan). Strano soggetto questo qui: un eremita (400 d.C.) che decide di vivere la sua vita monastica…. sopra una colonna! Presto la gente cominciò a fargli visita per chiedergli la benedizione, ma Simeone visse tutto ciò come un’intrusione nella sua vita solitaria tanto che cominciò ad usare colonne sempre più alte: l’ultima era alta ben 18 mt! Ha vissuto circa 40 anni in cima alla colonna pregando, predicando, dando le risposte ai quesiti che la gente gli poneva, rifiutando pero’ sempre categoricamente di parlare con le donne, perfino con sua madre! Era legato ad una catena affinché di notte non cadesse giù e faceva i suoi bisogni in una specie di canaletto…

Attualmente di tutta la colonna rimane solo un enorme masso, perché i fedeli a poco a poco si sono portati via il resto sotto forma di reliquie.

Alla morte dell’eremita, fu eretta una chiesa di imponenti dimensioni intorno alla sua colonna: si trattava di 4 basiliche disposte in croce che confluivano tutte verso un cortile ottagonale con, al centro, la colonna. (Da ricordare certi strani capitelli con foglie di acanto tutte “spostate dal vento”, per sottolineare la ventosità di questo luogo)


Il sito si trova infatti, in una posizione bellissima, sulla cima di uno sperone roccioso dal quale si domina un panorama di impervie colline sassose.
Peccato che pioveva, pioveva, pioveva!
Poi siamo tornati nel centro storico di Aleppo, attraversando stradine molto anguste, con antiche abitazioni di non più di 2 piani, ornate di “bovindi” spesso in legno, di chiara ispirazione ottomana. Stradine in vari punti male asfaltate e piene di fango (pioveva!), stracolme di gente indaffarata,vestita per lo più in modo rigorosamente arabo: uomini con la Kefiah, donne col velo oppure il Nikab (scoperti solo gli occhi),o addirittura il Khmar (completamente velate di nero). E, in mezzo a tanta gente, anche qualche auto che si muoveva come se la gente non esistesse!!!
Siamo arrivati quindi nella Cattedrale armena dei 40 martiri. Ci hanno fatto aspettare perché dentro si stava celebrando un battesimo ed infatti poco dopo sono usciti gli elegantissimi parenti di un bambino bellissimo vestito per la cerimonia con uno stupendo abitino con cuffietta, tutto sete e merletti .
Si tratta di una bellissima Chiesa armeno-ortodossa del 1500, che rappresenta il riferimento religioso della popolazione armena locale, in quanto monumento commemorativo della strage degli armeni compiuta dall’impero Ottomano nel 1915, nella quale trovano sepoltura numerosi vescovi e martiri.
Arriviamo quindi al ristorante “Beit Sissi”dove il nostro pranzo tipico è allietato dalla musica di un ragazzo che suona il liuto (“oud”). Pare sia il ristorante migliore di Aleppo, ricavato in una casa restaurata del 1600 con tavoli apparecchiati in un elegante cortile.
Al tramonto, intorno alle 16, arriviamo nei pressi della Cittadella e la nostra guida ci lascia nel Caravanserraglio ( Khan ) dove una miriade di negozietti risveglia per la prima volta la nostra voglia infrenabile di shopping e ….via a sciarpette, saponi di Aleppo, oggettini vari di legno, di paglia etc. etc.

Aleppo Piccolo Suk
Poi di nuovo in pullman per una visita al mitico Hotel Baron: un albergo degli inizi del 1900 tra i più famosi del Medio Oriente, perché ad Aleppo faceva tappa l’Orient Express con i suoi passeggeri ricchi e famosi. E’ così che nel registro degli ospiti compaiono Theodore Roosvelt, T.E.Lawrence (del quale l’hotel espone copia di un conto inevaso), Agatha Christie che proprio in questo albergo scrisse parte del suo“Assassinio sull’Orient Express”.
Un luogo carico di suggestioni, di storia e di….storie, peccato che sia stato lasciato per anni privo della cura che meriterebbe per cui l’aspetto attuale è di malinconica decadenza e di nostalgico abbandono.
Alcune di noi decidono di tornare in albergo a piedi, per conto proprio, per esplorare la città con più calma: e di nuovo Suq, bagno di folla, negozietti straripanti di ogni ben di Dio ai quali non ti potevi avvicinare, non ti potevi interessare alla merce esposta, senza allontanarti con le mani piene di un assaggio, di un campione o almeno… di un grande sorriso. Gente molto accogliente, generosa e disponibile!
Siamo quindi tornati in albergo dove ci attendeva una bella cenetta siriana e tante, tante chiacchiere.

Lunedì 2 novembre
Aleppo

Al nostro risveglio, al mattino, il primo nostro interesse è vedere se ha smesso di piovere: macchè, piove ancora eccome!
La prima visita della giornata quindi, è al Museo Archeologico, dove la pioggia non ci può disturbare. Sono conservati qui molti reperti delle varie civiltà Mesopotamiche, provenienti da Tell Brak (un sito studiato da Sir Max Mallowan, marito di Agatha Christie), da Mari, Hama, Ugarit etc.
Qui finalmente vediamo le prime famose “tavulète” provenienti dai siti di Ebla e di Ugarit.
L’ingresso del museo è caratterizzato e reso inconfondibile da 4 enormi, inquietanti statue di granito nero con grandi occhi sgranati, riproduzione di cariatidi di un palazzo del IX sec.a.C. che sorgeva a nord-est del paese ai confini con la Turchia.
Siamo poi andati a visitare, sotto la pioggia battente, la Cittadella.

Aleppo - la cittadella
Alla sommità di un’altura, visibilissima e molto suggestiva anche di notte, illuminata,
essa rappresenta il punto di riferimento più famoso di Aleppo, per lungo tempo cardine del suo sistema difensivo.
Se in origine (X sec.a.C.) tale altura era sede di un tempio e quindi luogo di culto, successivamente, al tempo dei Seleucidi cominciò ad essere trasformata in fortezza.
Le più importanti opere di fortificazione però, furono effettuate dai Musulmani durante le Crociate del XII sec. e poi, intorno al 1300-1500, dai Mamelucchi.
Abbiamo visitato,con le dotte spiegazioni di Imad, il ponte a gradini, il maschio fortificato, la porta coi ferri di cavallo, la porta dei serpenti, la porta del leone che ride e del leone che piange, il palazzo Ayubide del 1200, l’hammam, la moschea di Abramo, l’anfiteatro, la sontuosa sala del trono.
Stanchi ma soddisfatti siamo approdati in un bellissimo, moderno Ristorante, il “Wanes”dove abbiamo mangiato proprio bene e, per la prima volta abbiamo visto fumare il “narghilet”: in una saletta appartata, separata da una vetrata c’erano i fumatori non solo uomini, ma anche una donna (non aveva le mani) che dopo una boccata emettevano una quantità di fumo sorprendente, come una nube tossica!
(Imad dopo ci ha detto che fumare un narghilet equivale a fumare circa 50 sigarette e non è neanche tanto igienico visto che cambiano solo il bocchino, ma tutto il resto è sempre lo stesso!). A questo proposito conviene ricordare che in Siria non esistono limitazioni di sorta per i fumatori ed abbiamo trovato, nel corso del nostro viaggio, che le colture di tabacco sono numerose e fiorenti. Se a questo aggiungiamo che gli scarichi delle auto risultano pesantemente inquinanti, molto lontani dalla eco compatibilità richiesta nei paesi occidentali, si può concludere che non c’è una grande attenzione per la salute della gente e dell’ambiente!

Dopo pranzo siamo andati a visitare la Moschea degli Omayyadi. Prima di entrare ci hanno fatto indossare un “saio” grigio con cappuccio e ci hanno fatto togliere le scarpe. Ci sono foto che ci riprendono in questo momento, che sembrano una sequenza del film “Il nome della rosa”: risultiamo per lo più assurde ed irriconoscibili. Nell’atrio ci sono uomini che fanno le abluzioni che precedono la preghiera e gruppi di donne molto coperte, che si muovono frettolose verso l’ingresso. All’interno, sul pavimento coperto di tappeti, c’è di tutto: gente distesa che si riposa, gruppetti di persone che chiacchierano, bambini che giocano, ma anche un Imam che predica ad un gruppetto di fedeli. Più in là, nei pressi di un pulpito in legno riccamente istoriato, dietro una grata, c’è la tomba di San Zaccaria, al quale donne in lacrime chiedono la grazia: una scena abbastanza toccante ed anche un po’ imbarazzante se si pensa al motivo ben più futile per il quale noi eravamo lì! Poi, attraversando il famoso Suq, siamo arrivati….. all’Ospedale psichiatrico (Bimaristan Argun): una visita che Imad ci consigliava caldamente ma che, almeno nell’attesa, ci ha lasciato un po’ perplessi! Si tratta di una struttura del 1300 d.C., nella quale i malati di mente venivano sedati col rumore dell’acqua delle fontane. Oltre a considerazioni di utilizzo personale del metodo, il posto è risultato globalmente un po’ sinistro soprattutto quando ci ha mostrato le stanzette nelle quali erano tenuti i pazienti, certo strumentario medico etc. Meno male che a sdrammatizzare tutto sono arrivate le barzellette di Imad! (sor…presa!) Non contente della già intensa giornata trascorsa, il gruppo delle instancabili (Clara, Camilla, Imma, Nuccia, Marisa e qualche volta anche Elisa), mentre tutti tornano in albergo,decidono di esplorare il Suq il Suqper conto loro perdendosi in quel dedalo di affascinanti stradine piene di negozietti dei più vari e colorati articoli: i negozietti degli orafi, quelli delle spezie, dei saponi, del pellame,ma soprattutto negozietti stracarichi di improbabili abiti dai colori squillanti,dalle scollature e dalle trasparenze provocanti, pieni di lustrini e di piume di struzzo……che riesce proprio difficile immaginare indossati dalle stesse donne che noi, in pubblico, vedevamo vestite in modo tanto castigato (e castigante!) Poi Imad ci spiegherà che, in privato esistono moltissime occasioni in cui quelle stesse donne indossano abiti tanto osé: ogni pretesto è buono per una festa, per lo più fra donne! ds_Novembre-Giordania-166Il ritratto dell’attuale presidente Bashar al-Assad è onnipresente: per le strade, su ogni sito archeologico o governativo, ma anche su moltissimi negozietti del suq e, quasi sempre, affiancato all’effigie del padre Hafez al-Assad (non si sentirà vagamente offuscato dalla personalità del padre?). Abbiamo una foto che ritrae l’effigie del presidente perfino sulla tendina del lunotto posteriore di un’auto!
Per altro viene ritratto sempre con un’aria distratta, poco convinta come di uno che si trova lì per caso …..forse perchè il poverino era in Inghilterra a studiare Medicina tranquillo del fatto che il successore del temibile Hafez sarebbe stato il fratello Basil, ben più adatto di lui in quanto molto più “mondano”, grande comunicatore (e anche molto più affascinante!!!), quando Basil, nel 1994, muore per un incidente con la moto.
Alla morte del padre quindi, nel 2000, il presidente eletto per “suffragio universale” dal popolo è stato proprio lui, Bashar che, a detta di Imad, sta dimostrando di saper governare con equilibrio ed intelligenza.
Girare per le strade della Siria anche di sera, da sole, non ha mai rappresentato un pericolo: anche se vedere una divisa è veramente eccezionale; ognuno va per la sua strada, niente borseggi, nessuna minaccia alla propria incolumità, nessun mendicante in giro, pare che anche lo spaccio di droga sia perfettamente sotto controllo: come mai? Tutti virtuosi? Tutti soddisfatti della loro vita? Mah! Non dipenderà dall’ uso del deterrente più efficace che esista? La pena di morte applicata spesso e con determinazione! Forse si tratta solo di cultura della paura!
La giornata è finita: si torna in albergo. Dopo cena, tutti a nanna!

Martedì 3 novembre
Aleppo – Latakia

Piove piove e piove ancora! Cipresso, dopo aver passato una nottata a cercare invano e con ogni mezzo di pulire dal fango le sue scarpe, fuori dell’albergo trova un lustrascarpe: se lo sarebbe abbracciato, se lo sarebbe sposato; mentre lui le pulisce le scarpe si lascia riprendere in una foto, visibilmente felice ed appagata! Credo abbia retribuito il “servizio” con un patrimonio di lire siriane…..
In pullman Imad, solitamente silenzioso e parco di spiegazioni (tanto che viene sottoposto regolarmente al tormento–Rosella che ogni 5 minuti -a suo dire- gli chiede cos’è questo e cos’è quello) ci parla dell’ordinamento scolastico in Siria: che le Scuole non sono più religiose ma statali, che si fanno 6 anni di Elementari, 3 anni di II livello e 3 anni di Liceo fino al conseguimento della maturità (“Baccalauréat”), che l’Università (100 sedi in tutta la Siria) è a numero chiuso e se non si usufruisce di nessuna Borsa di studio, si pagano tasse in misura accettabile.
Le scuole religiose, coraniche, esistono ancora, ma vengono frequentate non in alternativa, solo quando la scuola statale è chiusa (d’estate) e vengono frequentate sia da ragazze (che diventeranno maestre di fede islamica), sia da ragazzi che diventeranno Imam (poi assunti per concorso pubblico nelle moschee dove saranno retribuiti dallo Stato).
Parlando parlando, col pullman stiamo attraversando le montagne che ci separano dalla zona costiera. Siamo a circa 1500 metri e, anche se piove a dirotto, facciamo la necessaria “sosta idraulica”. Questa volta però contrariamente al solito, si rivela una esperienza bellissima. Giù dal pullman fa un freddo cane: entriamo in una specie di rifugio nel quale ci viene servito un buonissimo the caldo alla menta, che sorbiamo con calma seduti intorno ad una enorme stranissima stufa metallica che arde al centro della stanza. Avevamo intravisto al di là della strada una specie di capanna con 2 donne, ma la pioggia aveva dissuaso la maggior parte di noi dall’attraversare la strada e andare a vedere di cosa si trattava: c’è voluta tutta la curiosità ed il coraggio di Lucia per farlo, ma ne valeva la pena! Sotto una coperta di lana, le 2 donne avevano la pasta per il pane e, quando al richiamo di Lucia ci siamo avvicinate, hanno cominciato a distenderlo su quella specie di cuscino e infornarlo appiccicandolo sulla parete di quel loro strano forno “a cratere”. Era la prima volta che vedevamo fare il pane in quel modo e mangiarlo caldo caldo con quel freddo e sotto quella pioggia è stata un’esperienza indimenticabile!

forno a cratere
Finalmente, riscaldati da un timido sole, siamo arrivati alla prima meta della giornata: Il castello del Saladino (Qala’at Salah ad Din). Abbarbicato in cima ad un pendìo ricoperto da un fitto bosco con versanti molto ripidi, a strapiombo sui burroni. Abbiamo dovuto lasciare il pullman e distribuirci in 3 o 4 pulmini in vero un po’ precari. Ma il Saladino ci ha aiutati e siamo arrivati su (e poi giù) sani e salvi.
Ci siamo ritrovati in un vero e proprio “canyon” scavato dai Crociati per separare il castello dalla cresta principale: al centro del canyon un obelisco di pietra alto 28 mt. per sostenere il ponte levatoio.

Castello di Saladino
Si tratta di una fortificazione avviata dai bizantini, ma sostanzialmente utilizzata dai crociati nel XII sec per controllare la strada che da Latakia portava ad Aleppo, nonché tutto l’entroterra costiero. Tale fortificazione fu espugnata dall’esercito del Saladino, dopo appena due giorni di assedio, nel 1188. Risultò facile per lo stesso fare breccia in un punto di minore resistenza delle mura, fortemente aiutato anche dallo stato d’animo dei Crociati, ormai demotivati e delusi.
Una bellissima scalinata nel fitto della vegetazione, conduce alla torre d’ingresso (dove si fanno i biglietti), dalla quale si entra nel complesso vero e proprio: abbiamo visitato i due torrioni sud, salendo fino in cima per ammirare il bellissimo panorama (qui è avvenuta la rovinosa caduta della macchina fotografica di Elisa!!!), la cisterna per l’acqua, le scuderie, il portone attraverso il quale il ponte levatoio veniva appoggiato sulla colonna di pietra etc.
Discesi a valle ci aspettava il pesce arrosto in un ristorantino in vero un po’ abbattuto:
ma, fra chiacchiere e risate, siamo stati bene lo stesso!
Nel pomeriggio siamo arrivati ad Ugarit, una visita molto attesa perché terra natale di uno degli alfabeti più antichi del mondo: l’alfabeto ugaritico, un sistema molto semplice composto da 30 simboli, ognuno dei quali rappresenta un suono (mentre fino a quel momento si conoscevano solo gli geroglifici egizi e la scrittura cuneiforme della Mesopotamia)
Di questa città, che raggiunse il massimo splendore negli anni 2000-1800 a. C. come più importante porto sul Mediterraneo, sono stati individuati (da archeologi francesi nel 1928) palazzi, templi, biblioteche in cui erano custodite migliaia di tavolette di argilla, recanti iscrizioni in una lingua semitica: in alcune di queste, le 30 lettere appaiono elencate in ordine alfabetico, consentendo agli studiosi di interpretare i testi ritrovati (inventari di merci, registrazioni commerciali, corrispondenza diplomatica etc.) Un sito bellissimo anche perché illuminato dalla luce infuocata e cangiante del tramonto. Peccato che la nostra cara Lucia si sia lasciata scoraggiare dalla ennesima scalinata, perdendo una visita alla quale teneva tanto. Un momento di crisi superato presto alla grande, con la solita forza d’animo e un gran sorriso!
La giornata si è conclusa a Latakia nello splendido Hotel Meridien, con un’ottima cena e tante simpatiche chiacchiere.
A pensarci bene, non per tutti la giornata è finita lì: mi sembra di ricordare che le 3 o 4 “irriducibili”, prima di cena, sono uscite per conto loro, facendo sul lungomare di Latakia, esperienze esotiche e …..stimolanti!!!

Ugarit

Mercoledì 4 novembre
Latakia – Hama

Mentre facciamo la prima colazione attraverso le vetrate vediamo che ancora piove in abbondanza, ma non possiamo sapere che questa pioggia è proprio l’ultima!
La prima visita è a Tartus. Una bellissima Chiesa inizio-gotica custodisce reperti tardo romani (VI sec. d.C.) trovati sulla costa: bellissimi sarcofagi di marmo e mosaici ben conservati (mosaico del melograno).
Poi ad Amrit per vedere 2 tombe “a camera sotterranea”; 2 specie di torri (meghazil) isolate in un campo che un tempo era una necropoli, in tutta prossimità di un’area militare con tanto di mitragliatrici puntate!
(vietato fotografare! …ma a chi verrebbe mai in mente?).
Quindi il Tempio di una divinità acquatica : una specie di torre nel mezzo di una piscina attualmente vuota, che pare venisse alimentata da una sorgente di acque con proprietà curative.
Ma tutte queste visite sembrano creare l’attesa di qualcosa di più clamoroso, di più solenne…..ed eccola la meraviglia: dopo un altro tratto in pullman, scendiamo e, isolato in cima ad una collina, in posizione fortemente panoramica ecco erigersi maestoso “il castello”, sì, quello che ogni bambino disegnerebbe quando vuole disegnare un castello, quello che Lawrence d’Arabia chiama “il più bel castello del mondo”, il Krak dei cavalieri ( Qala’at al-Hosn ). Krak deriva dal curdo “Qerak” che vuol dire fortezza.

Krak dei Cavalieri

In posizione ideale per controllare i flussi di uomini e di merci che dal mare erano diretti verso l’interno, costruito nel 1031 dal sultano di Homs (caratteri islamici), nel 1110 d. C. fu utilizzato dai Crociati, in particolare dai Cavalieri Ospitalieri (un ramo dei Cavalieri di Malta), finché non fu espugnato dai Mamelucchi (1271). Anche in questo caso (come per il castello del Saladino), il nemico ebbe facile ragione dei Crociati i quali, avendo ormai perso Gerusalemme, si stavano ritirando e non vedevano il motivo di rimetterci le penne proprio alla fine della loro impresa!
Siamo saliti sulle mura esterne e abbiamo percorso il ”cammino di ronda”: da lassù si dominava tutta la vallata e, insieme con lo sconfinato silenzio, c’era il sole ed un certo venticello frizzantino che hanno reso quella passeggiata veramente indimenticabile.
Poi abbiamo visto il fossato con l’acqua che alimentava i bagni, la torre, le scuderie etc.. Ormai era tardi (14,30) ed il languorino di stomaco sempre più insistente cosicché siamo arrivati al vicino ristorante proprio affamati!
Eravamo lì che gustavamo i soliti antipasti quando è comparso, a servire ai tavoli, attrazione del posto, un tizio molto chiassoso e stravagante….un “frou frou” di nome Joachim che ha portato colore ed ilarità con quel suo “calma calma” e le sue più o meno velate attenzioni agli uomini del gruppo.
Nel pomeriggio siamo poi arrivati ad Hama: era ormai sera e la prima immagine delle gigantesche “norie” illuminate è stata fantastica: si tratta di enormi (fino a 20 mt. di diametro) ruote idrauliche in legno che, girando, caricano acqua dal fiume Oronte e, attraverso un sistema di canali, la convogliano verso l’interno. Progettate dagli Ayyubidi nel XIII secolo, restaurate in età mamelucca -ottomana, delle originali 30 ne rimangono 17 che vengono messe in funzione ormai di rado, solo nei mesi estivi.
Attraversando a piedi la città vecchia per andare all’albergo abbiamo visto uno strano negozietto (“Oriental Batman”) stracolmo di anticaglie ed oggetti di artigianato, un Hammam in funzione e molto frequentato (uomini 8-12 e 19-24, donne 12-18; bagno e sauna S£150, massaggio S£100 ), il cosiddetto Palazzo degli artisti che ha sede in una antica locanda per viaggiatori (Khan), nel quale artisti locali espongono e vendono le loro opere ed il famoso Palazzo Azem, ottomano, che però non abbiamo potuto visitare perché aperto solo di mattina. Abbiamo notato, comunque, che il centro storico è ridotto veramente a poco perché, come ci ha raccontato Imad, nel 1982 è stato in gran parte distrutto da un terribile bombardamento con il quale il governo con a capo il presidente Hafez al-Assad, ha annientato il “covo” di fondamentalisti islamici (Movimento dei Fratelli Musulmani) che qui si annidava e che minacciava la stabilità del governo stesso. L’informazione di Imad al riguardo è stata molto veloce e come al solito vagamente filogovernativa, ma le nostre guide parlano di questo massacro (25.000 vittime!!! E per di più connazionali!) come di una delle pagine più buie della storia moderna della Siria, nella quale il governo ha dato la prova più brutale della sua natura repressiva.

Hama

Anche stasera “le instancabili” prima di cena fanno una passeggiata per conto proprio per vedere cosa c’è di diverso nel suq di Hama rispetto agli altri…..proprio niente! Ma l’occasione per camminare curiosando di qua e di là è sempre molto allettante. Poi in albergo (Hotel Afamia Cham), cena, chiacchiere e tutti a dormire!

Giovedì 5 novembre
Hama-Aleppo

Dopo un’ultima occhiata alle Norie di giorno, ci mettiamo in pullman per raggiungere Apamea, un’antica città ellenistica (Afamia in arabo), posta su un’alta selvaggia brughiera, tutta costruita in granito grigio. C’era una pioggerellina sottile sottile, quasi una nebbia che rendeva il posto vagamente irreale; il silenzio era interrotto solo dal cinguettìo di una miriade di uccellini che, approfittando della pace del luogo, avevano nidificato in mezzo alle rovine. Ma questa poesia è durata poco perché ben presto hanno cominciato ad arrivare, anche a in motocicletta, insistenti giovanotti che volevano venderci monete “antiche” e cartoline.
Questa città fu fondata nel III sec. a.C. da Seleuco, generale dell’esercito di Alessandro Magno, che chiamò Afamia, come sua moglie di origini persiane, così come Laodicea (Latakia) portava il nome di sua madre, Antiochia il nome della sua amante, Europos il nome della sua città natale.
L’elemento di spicco delle rovine di Apamea è il Cardo massimo, la via principale che va da Nord a Sud, delimitato per una lunghezza di circa 2 Km da 2 colonnati paralleli, attraversato da numerosi “Decumani” (da Est a Ovest).
Molte colonne presentano intarsi ancora ben conservati dai motivi insoliti (simboli fallici) e alcune presentano delle scanalature spirale caratteristiche di Apamea.

Apamea
In alcuni tratti la pavimentazione è ancora quella originale e conserva i solchi lasciati dal passaggio dei carri. Man mano che si percorre il Cardo si vedono i resti di una fontana, del foro, più avanti un maestoso portico formato da colonne più alte sormontate da un frontone triangolare e poi la base di una colonna votiva che forse segnava un incrocio importante.

Finita la visita siamo andati a vedere dei mosaici rinvenuti nel sito di Apamea, ospitati nel Caravanserraglio di Al Maidk (un Khan ottomano del 1700) :una struttura un po’ trascurata con pericolose infiltrazioni d’acqua sul soffitto.

Dopo il pranzo, in un ristorante sull’autostrada nel quale abbiamo incontrato una scolaresca tunisina di lingua francese in gita di istruzione, siamo andati a visitare il Museo dei Mosaici di Ma’arat an Numan.

Maarrat an Numan
Con grande sorpresa ed altrettanta soddisfazione abbiamo subito notato il cartello sulla porta che diceva che si trattava di un sito patrocinato da….”Strada del parco agrario degli ulivi secolari dell’alto Salento”
Abbiamo visto tanti tanti meravigliosi mosaici, conservati benissimo, provenienti da “Città Morte” di epoca bizantina ( V-VI sec.), raffiguranti i soggetti più vari, da Romolo e Remo, all’Araba Fenice, a tante fogge di animali, simboli Cristiani.
Tornando verso il Nord, fra la statale Hama – Aleppo a est e il fiume Oronte a Ovest, in una impervia brughiera calcarea, compare finalmente, suggestiva ed enigmatica Serjilla,” città morta”, di epoca bizantina. Numerosi edifici quasi intatti, dall’aspetto inquitante, come se gli abitanti fossero svaniti nel nulla, lasciando a parlare di loro e della loro vita, case dalle finestre finemente intagliate, chiese, hammam, sale di ritrovo. Queste città sono state abbandonate quando si sono ritrovate lontane dalle vie carovaniere e commerciali ed anche perché l’impervietà del terreno rendeva difficile l’agricoltura. E’ qui che la nostra guida ci ha mostrato il tipico “arco siriano” a tutto sesto, senza chiave di volta.

Serjilla - l'arco siriano
Eravamo lì, quasi incantati su quella collina ventosa, quando il sole che tramontava ha acceso le pietre di quegli edifici di una calda , meravigliosa luce rosata.

Serjilla
E’ stata una emozione bellissima ed inattesa che, credo, non dimenticheremo facilmente!
Rientrati ad Aleppo, in attesa della cena,” le irriducibili” hanno fatto un ennesimo giro per le strade della città, avendo occasione di confermare la prima impressione sulla gente della Siria, come di gente generosa, ospitale, con una gran voglia di comunicare.
Per altro Elisa ha trovato un negozio di armeni che vendeva macchine fotografiche e dopo cena, è andata con le amiche (n.6!!!) a comprarsene una nuova per sostituire quella rotta. Evviva!!!

Venerdì 6 novembre
Aleppo – Deir ez Zur

Cominciamo lo spostamento verso Oriente, verso l’Eufrate e poi il deserto.
I Km. da fare sono tanti e così Imad ( che qualcuno ormai chiama Arsenio Lupin) pensa bene di intrattenerci raccontandoci delle tradizioni popolari locali e, oggi, del Matrimonio in Siria. Che oggi non ci sono più tanti matrimoni combinati come una volta, che la mamma dello sposo va nell’hammam per conoscere la “candidata” più da vicino e valutarne le fattezze (!!! ), che se la ragazza supera questo esame i genitori di lui vanno a portare la proposta ai genitori di lei, che se la ragazza e i suoi genitori accettano, invitano a casa il ragazzo con i suoi genitori e qui la ragazza deve dare prova di essere non solo bella ma anche discreta e garbata nel preparare e servire il the etc. A questo punto era troppo: le donne del pullman sono insorte chiedendo finalmente ad Imad quali prove dovesse dare invece l’uomo. Lui ha risposto che per l’uomo basta la garanzia che sia onesto e lavoratore.
Poi, dopo un breve periodo durante il quale i due si vedono poco e sempre in presenza dei parenti (rapporti prematrimoniali ovviamente vitatissimi), si prepara il matrimonio. Con i rispettivi genitori si stabilisce la cifra che i due portano in dote, e la cifra che sarà accantonata per un eventuale divorzio.
E poi il giorno delle nozze, la cerimonia, il banchetto, la festa, i parenti, gli amici fino a tardi. Quando tutti vanno via, gli sposi si ritirano a casa e, con le rispettive mamme che si trattengono di là in attesa, si chiudono in camera da letto finché…sangue fino alle ginocchia!! E finalmente, constatata la prova della illibatezza della sposa (si spera, e in qualsiasi modo va fornita, pena la rottura del matrimonio) le mamme se ne vanno e comincia la vera vita di coppia.
Parlando parlando, siamo arrivati alla prima sosta della giornata: la Diga sull’Eufrate ed il lago artificiale “Al- Assad”.
Che emozione vedere per la prima volta l’Eufrate ( da “eu-franein” che vuol dire rallegrarsi), il fiume che parla di una storia antica che risale a tempi biblici, il più lungo (2800 Km.) di tutta l’Asia Occidentale, che rende fertili tutte le terre che attraversa a cominciare dalla Turchia dove nasce, la Siria e poi l’Iraq.
Negli anni ’60-70, grazie ad uno dei progetti più ambiziosi del regime di Assad, fu costruita questa diga sull’Eufrate, per sfruttarne le acque da destinare all’irrigazione e alla produzione di energia idro-elettrica, che doveva rendere il paese autosufficiente.
Peccato che successivamente il flusso dell’Eufrate si sia ridotto a causa della costruzione della diga di Ataturk in Turchia, riducendo fortemente i vantaggi attesi da questa opera. A tutt’oggi Siria ed Iraq vivono nel timore che il governo turco possa, per motivi politici, ridurre ulteriormente la portata del fiume, con conseguenze intuibili!
Dopo le numerose foto a questo incantevole specchio di acqua azzurra e cristallina, abbiamo ripreso il nostro viaggio, percorrendo un infinito deserto sassoso. A questo punto abbiamo visto “stancamente” in funzione delle trivelle per l’estrazione del petrolio. Imad, vincendo la sua naturale reticenza, ci ha spiegato che il petrolio in Siria c’è, è anche abbondante, ma loro preferiscono non venderlo a nessuno, estrarlo a poco a poco per assicurarne alla popolazione nazionale il quantitativo via via necessario (sarà così? O piuttosto il petrolio siriano viene ignorato dai paesi occidentali per una forma di embargo? Non dimentichiamo che dal momento dell’invasione Americana in Iraq e fino a poco tempo fa la Siria era considerata dagli Stati Uniti uno “Stato Canaglia”, i rapporti fra i due stati fortemente deteriorati, con frequenti misure di ritorsione nei suoi confronti!)
Siamo così arrivati a Rusafah detta anche Sergiopolis perché comprende la basilica di S. Sergio, martire cristiano nel III sec. d.C.

Rusafah
Rusafah è una città antichissima (citata anche nella Bibbia), fortificata nel periodo di Diocleziano (III sec. d.C.), che emerge isolata, quasi inattesa dalle sabbie di un deserto assolato, dello stesso colore, quasi della stessa materia di questo. Nel vuoto più assoluto, sotto un sole che picchia implacabile (se non fosse per una leggera brezzolina che rende la visita gradevolissima), all’improvviso si materializzano…le mura imponenti, praticamente intatte, di una città.
Superata la maestosa porta d’ingresso (Porta Settentrionale), restiamo incantati dal bagliore che la pietra emana, colpita dal sole: si tratta di pietre ricche di minerali tipo quarzo, o “mica” che si sfaldano in scagliette traslucide e molti di noi ne prendono un pezzettino per ricordo. Lo spazio racchiuso all’interno della cinta muraria è immenso, ma le strutture che questo spazio contiene sono difficilmente riconoscibili, tranne la basilica di san Sergio (VI sec.) della quale si distinguono le 3 navate e l’abside, e le cisterne sotterranee per l’approvvigionamento idrico nei periodi di assedio.
Dopo un gustoso pranzo al sacco (olive, uova sode, pomodori etc.), siamo arrivati a Raqqa città attualmente abbastanza anonima e priva di attrattive turistiche, ma un tempo, nell’ VIII-IX sec. d. C., residenza estiva del califfo al-Rashid, uno dei personaggi de “Le mille e una notte” , nonché importante tappa della “via della seta”.
Si può ancora ammirare, grazie ad un ottimo restauro, la Porta di Baghdad costruita con mattoni di fango, ed un tratto delle mura abbassidi, interrotte ad intervalli regolari, dalle basi di 100 torri che oggi non esistono più.
Tornati in pullman, l’amica Lalla, professoressa di Chimica all’Università, ci ha raccontato di aver fatto una volta una perizia chimica su certe ceramiche rinvenute nel territorio di Siponto (Foggia): dall’analisi delle stesse, risultò trattarsi di ceramiche provenienti da Raqqa . Non è difficile immaginare come possano essere pervenute nella zona di Siponto,un tempo importante porto per l’Oriente, dove si trovano famosi siti religiosi (chiese di San Leonardo, Santa Maria di Siponto etc.) nei quali si fermavano i Crociati in arrivo o in partenza per il Santo Sepolcro.
Andando sempre più a Oriente,ci siamo fermati nei pressi di un ponte sull’Eufrate. Un po’ malmesso, molto lungo e trafficato (ricordiamo con sconcerto le paurose oscillazioni del ponte al passaggio dei camion), ma soprattutto molto alto sul fiume.
Questa altezza non tratteneva un ragazzo dal tuffarsi ripetutamente nelle acque sottostanti (neanche poi tanto pulite),per il semplice gusto di….stupirci!
Quindi abbiamo affrontato in pullman un lungo tratto di deserto: un deserto proprio arido ed impervio, una steppa fatta di sassi e qualche raro sporadico arbusto basso.
Ogni tanto qualche casa isolata di fango e paglia o qualche piccolo villaggio sperduto, ma privo di vere e proprie strade, o servizi di qualsiasi genere, con gente molto povera che si sposta sugli asinelli. Nonostante il sorriso sempre festoso dei bambini, l’impressione globale è di una grande miseria anche se proprio a questo punto Imad ha pensato bene di mettere a dura prova la nostra fantasia, raccontandoci che il Sistema Sanitario Nazionale è così efficiente da riuscire ad assicurare una perfetta assistenza anche a questi villaggi isolati!

Eufrate
La strada era molto lunga quindi siamo arrivati ad Halabiya a tramonto inoltrato: peccato? Non lo so, perché anche vedere le ultime luci del giorno spegnersi piano piano sull’Eufrate e sulle rovine di questa fortezza, è stato molto suggestivo.
Questa fortezza sull’Eufrate fu costruita da Zenobia, la mitica regina di Palmira (ecco che piano piano ci stiamo avvicinando ai suoi luoghi!) subito prima della sua sconfitta (intorno al 270 d.C.), allo scopo di difendere l’impero dai persiani.
Le poche coraggiose amiche che, incuranti del buio incombente, si sono arrampicate fino in cima, ci hanno raccontato che la vista sull’Eufrate, da quella altezza era splendida!
Sulla via del ritorno ormai era sera e abbiamo rivisto tutte quelle misere case delle quali si parlava, ora “illuminate” da una unica fioca lucina sopra la porta di ingresso: ed immaginare che tipo di vita facesse quella gente è stato inevitabile.
Qui Imad, su invito di Lucia, ci ha cantato qualcosa in Siriano che non ho capito se era una canzone o una “sura” del Corano: comunque era bello, molto in tono per quel momento e per quei luoghi!

E finalmente a Deir ez Zur (impronunciabile!): Hotel Badiat Cham e….buona notte!

Sabato 7 novembre
Deir ez Zur – Palmira

La nostra prima mèta di oggi è Mari che si trova all’estremo sud- est,in pieno deserto, a 15 Km dall’Iraq. Già il viaggio è stato interessante perché abbiamo attraversato il vero deserto di sabbia e di sassi. Arrivati a Mari, scesi dal pullman, siamo stati colpiti da un sole abbagliante mitigato da quel certo venticello frizzantino che ci ha accompagnato piacevolissimo per tutto il deserto.
Sulla sommità di un “tell” (Tell Hariri) una enorme tettoia protegge dalle intemperie i fragili mattoni crudi di questa città antichissima.

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Si tratta di una città-stato di più di 5000 anni fa, costruita sulle rotte commerciali fra l’Oriente e la Mesopotamia, composta da ambienti diversi, ma soprattutto da vari templi (uno dedicato ad Ishtar) ed un Palazzo reale con 300 stanze , numerosi mosaici, statue, vasi, oggetti d’arte (custoditi in diversi musei) e circa 25000 tavolette di argilla di inestimabile valore, ancora oggi oggetto di studio.
Le ricerche sono cominciate nel 1933 ad opera del team di André Parrot, per molti anni direttore del Louvre di Parigi: infatti molti pezzi importanti di questo sito si trovano al Louvre!
Siamo quindi andati a Dura Europos un’altra città fortificata fondata da Seleuco (come Apamea, Antiochia e Latakia)nel 280 a. C.
Qui l’altopiano desertico finisce, con un dirupo di circa 90 mt. a strapiombo sulla pianura alluvionale dell’Eufrate. Questa collocazione, ideale ai fini difensivi, rende unico il fascino e la suggestione di questo sito.
La città, difesa dai Palmireni, fu poi espugnata dai romani di Aureliano nel 256 d. C.
Dura Europos (come ci ha ricordato l’amica Rachele) rimase famosa per la sua tolleranza religiosa e la sua ecumenicità, testimoniate dalla coesistenza di templi greci, romani, mesopotamici insieme con una sinagoga (oggi ricostruita nel museo di Damasco).

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Ed ora a pranzo, a Deir ez Zur, in una ex sala cinematografica dove Helke, la nostra amica tedesca, ha incontrato una sua giovane connazionale con tanto di velo in testa ed una nidiata di cuccioli avuti dal marito siriano, per il quale non solo aveva lasciato la sua terra, ma si era anche convertita (convintissima) alla fede islamica!
Museo di Deir ez Zur piccolo e dedicato soprattutto alla Siria preistorica, quindi riprendiamo il viaggio per Palmira, nel cuore di uno sconfinato e solitario deserto.

sulla strada di Palmira
Ci arriviamo di sera e la suggestione (forse proporzionale alle attese) è immensa: le rovine, tante, isolate l’una dall’altra nella sabbia del deserto, sono sapientemente illuminate tanto che ci fanno venire voglia di una visita in notturna, ma non c’è tempo, ci aspetta una cena tipica in una tenda beduina, per cui scendiamo in albergo, l’hotel Dedeman (bellissimo, con una boutique fornitissima anche se un po’costosa) e andiamo a prepararci per cena.

La tenda beduina è proprio vicino all’albergo: ci hanno preparato un loro piatto tipico a base di farro e di montone (una cosina leggera leggera), ma soprattutto ci hanno preparato le loro musiche ed i loro balli che hanno finito col coinvolgere persone insospettabili come Mara, Pina, Lello, Tina i quali,insieme con Imad ed i beduini che ci ospitavano, si sono lasciati prendere dai ritmi frenetici della danza!!!!

Domenica 8 novembre
Palmira – Damasco

Palmira, che gli abitanti locali chiamano Tadmor (l’antico nome che in semitico vuol dire “dattero”) rappresenta una delle principali attrattive turistiche della Siria sia perché sorge nella suggestiva cornice di un’oasi nel deserto, sia per la sua lunga e appassionante storia legata alla ribelle regina Zenobia, sia infine per la bellezza dei suoi templi, delle sue tombe,dei suoi colonnati.

Palmira

Fu annessa al regno dei Seleucidi: rappresentando una importante tappa sulla via della seta e degli altri commerci che dall’Oriente raggiungevano l’Europa, prosperava grazie ai pesanti tributi che imponeva alle carovane.
Scomparsa la dinastia dei Seleucidi, Palmira (“città delle palme”) risentì sempre più dell’influenza di Roma: diventò un centro tributario dell’impero romano, ma riuscì a mantenere sempre una notevole indipendenza.
Nel 129 d.C. l’Imperatore Adriano dichiarò Palmira “città libera”, libera cioè di imporre tributi e beneficiarne senza dovere nulla a Roma. Questo privilegio continuò fino al 212: al tempo dell’imperatore Caracalla (di madre Siriana) Palmira, pur conservando la storica autonomia tributaria, fu dichiarata colonia romana, con tutti i diritti dei cittadini romani. Questo le consentì una notevole prosperità ed un prestigio crescente, rafforzato dal fatto che Odenato, un nobile locale, sbaragliò i Sesanidi, nemici di lunga data dei Romani e, con il favore di questi, si autoproclamò “re”.
Nel 267 Odenato fu assassinato e la moglie Zenobia assunze la reggenza in nome del giovane figlio Vabalato. Roma, rifiutando di riconoscere Zenobia come regina di Palmira, in quanto sospettata di essere l’assassina di Odenato, mandò un esercito di legionari, che lei sconfisse. Non solo, ma successivamente guidò il suo esercito contro la colonia romana di Bosra (allora capitale dell’Arabia) ed invase parte dell’Egitto. Forte delle sue conquiste fece coniare ad Alessandria la propria moneta con la sua effigie e quella del figlio, che assunse il titolo di imperatore.
Donna ostinata e caparbia, di capacità e ambizione eccezionali, Zenobia rivendicava la propria discendenza da Cleopatra, superandola, se possibile, per fascino e determinazione.
Lo storico E.Gibbon (1700) nel suo “Declino e caduta dell’Impero romano”, la descrive così: “Zenobia era ritenuta la più bella e più eroica rappresentante del suo sesso. Era di carnagione scura. I suoi denti erano di un bianco perlaceo e i suoi grandi occhi neri scintillavano di un fuoco non comune, mitigato da una splendida dolcezza. Aveva una voce forte ed armoniosa e la sua comprensione era supportata da una profonda erudizione”.
Ma Aureliano, nel 272, non potendo tollerare l’insubordinazione della regina all’autorità romana, attaccò Palmira cingendola d’assedio; Zenobia tentò di fuggire a dorso di cammello, ma fu catturata dai Romani presso l’Eufrate. A questo punto l’umiliazione fu talmente insopportabile per una donna fiera come lei, che si uccise col veleno che portava sempre con sé in un anello.
.. Esiste però anche una versione meno gloriosa e “definitiva” intorno alla sua fine: Zenobia fu portata a Roma ed esibita come trofeo di guerra di Aureliano, che la fece sfilare legata con catene d’oro. Dopo la sua liberazione, pare abbia sposato un senatore romano, con il quale abbia atteso la fine naturale dei suoi giorni in una splendida residenza a Tivoli!
Dopo quell’epoca per Palmira finirono i fasti e le glorie, il traffico delle carovane cominciò a diminuire fino a scomparire e la città diventò essenzialmente un avamposto militare romano prima con Diocleziano, poi con Giustiniano (VI sec.), finché non venne conquistata dagli arabi di Khaled ibn al-Walid che fortificarono il tempio di Bell e costruirono il castello tutt’ora visibile su di un’altura che domina le rovine. Gran parte degli edifici furono successivamente distrutti da un terribile terremoto e sepolti sotto cumuli di sabbia e di terra portati dal vento.
Solo nel 1920 sono iniziate le prime ricerche, ad opera prima di tedeschi poi di francesi e a tutt’oggi non ancora completate.
La visita di Palmira, alla luce di questa lunga e affascinante storia, ha acquistato un interesse ed un’attesa del tutto particolari. Siamo usciti dall’albergo abbastanza presto, nella speranza di apprezzare il luogo se non proprio in solitudine, almeno col minor numero di persone intorno, ma la speranza è stata vana, perché oltre i turisti, il sito è pieno di beduini coi loro cammelli, le loro motociclette, la loro merce che cercano insistentemente di vendere.
Abbiamo visitato la “tomba a torre” coi bellissimi sarcofagi di stile persiano o palmireno (si distinguono dalle fogge degli abiti) e con i loculi stretti stretti che venivano dati in fitto, la cinta muraria con gli spazi lasciati vuoti dalle decorazioni in bronzo (oltre che abbellire, avevano un’importante funzione antisismica!), il tempio di Bell, lo splendido colonnato lungo 110 mt, fatto di colonne gigantesche molto ben conservate, il tetràpilo, il teatro. Il sole picchiava ormai forte e alcune di noi hanno acquistato dai venditori ambulanti i loro veli, trasformandosi in “aspiranti beduine”!

Palmira
Poi siamo andati a pranzo al 6° piano di un albergo, dal quale si apprezzava benissimo la posizione delle rovine, circondate da un rigoglioso, verdissimo palmeto (foto!) e quindi un rapido (mai abbastanza) giro al suq locale fatto di negozietti straboccanti di merce sporca e confusa, ma molto interessante e di molte rivendite di datteri di tutti i tipi.

Palmira
Poi siamo saliti sulla collina del castello. Qui Imad l’autista ha dato prova di grande abilità, portando il pullman in retromarcia per tutto l’ultimo tratto della salita, guadagnandosi un grande meritato applauso!
Da lassù il panorama era incantevole: tutta la vastissima area delle rovine (50 ettari), mezzo sepolte dalla sabbia del deserto,circondata dal verde fitto fitto dell’oasi .
Siamo quindi tornati in pullman per dirigerci, attraverso l’ennesimo deserto pietroso,…sulla via di Damasco!!!….
Sosta al tramonto in un “Baghdad cafè” :per sgranchire le gambe e distrarci un po’ ma, ahimè, anche lì c’erano simpaticissimi oggetti di artigianato di fronte ai quali pochissime hanno saputo resistere. Devo poi aprire una parentesi per raccontare di questi “Baghdad cafè”: ne avevamo gia’ incontrati alcuni lungo il deserto e ci avevano tutti colpito per la foggia etnico-folkloristica che rendeva difficile non notarli, una catena di posti di ristoro uno più colorato dell’altro, decisamente molto invitanti!
Era tardi, ormai sera, avevamo nel programma la visita di Maalula, ma molti in pullman cominciarono a protestare che ormai era inutile anche perché Imad con una telefonata aveva saputo che il Monastero di San Sergio che avremmo dovuto visitare era ormai chiuso. C’è voluta tutta la fermezza e la determinazione di Lucia per insistere ed andarci ugualmente e….aveva proprio ragione!

Maalula

Maalula è un incantevole villaggio incastonato in una stretta vallata fra i monti dell’Antilibano, con le case di pietra ammassate contro una ripida parete rocciosa.
Di sera, tutto illuminato come lo abbiamo visto noi…sembrava un presepe.
La popolazione è fatta prevalentemente da Cattolici di rito Greco che parlano l’Aramaico, la lingua di Gesù (usata anche nel film “La passione di Cristo” di Mel Gibson).
Chi di noi non si è lasciato scoraggiare dai 130 gradini, è arrivato fin su alla grotta di santa Tecla, scavata nella roccia, di chiaro stile Ortodosso, tenuta da suore di rito Greco.
S.Tecla, discepola di san Paolo, una dei primi martiri cristiani, si racconta che inseguìta dai soldati che volevano ucciderla, si sia trovata con le spalle alla scoscesa roccia di Maalula. Non avendo più scampo pregò Dio di aiutarla e miracolosamente un fulmine colpì la roccia che si aprì dando rifugio alla santa.
Questo “canyon” stretto e profondo lo abbiamo percorso di sera, con la luce artificiale e, a parte alcuni pericolosi fili elettrici volanti, ci è sembrato molto suggestivo.
Siamo arrivati a Damasco molto tardi, ma in tempo per la cena all’Hotel Cham Palace. (Cham è l’antico nome di Damasco)

Lunedì 9 novembre
Damasco

Iniziamo la visita di Damasco dal Museo Nazionale. L’ingresso accede al riposante “giardino delle sculture” nel quale bellissime opere antiche sono disseminate fra piante di ogni genere, comprese le famose rose di Damasco profumatissime e dai 1000 petali. Qui abbiamo assistito per caso ad una scena molto buffa: una ragazza, armata di spazzolino…. lavava i denti alla statua di un guerriero! Si trattava di una restauratrice siriana che lavorava per un contratto a progetto italiano: in quel momento stava eliminando il calcare dalla superficie della statua (usando EDTA, un chelante del calcio usato anche in Medicina).

Damasco, il Museo
La imponente Porta d’ingresso al Museo sembra un meraviglioso merletto: è stata ricostruita trasportando pietra per pietra dal palazzo di un califfo Omayyade (del 688), che si trovava in pieno deserto, vicino a Palmira.

Damasco
All’interno del museo abbiamo ammirato reperti archeologici importantissimi, provenienti da Ebla, Ugarit, Mari, Raqqa, Palmira, Dura Europos, compresa la sua famosa sinagoga prelevata pietra per pietra e qui ricostruita.
Una bellissima “summa” di tutto quello che avevamo visto e sentito fino a quel momento!
E, dopo il museo, il Suq!!! affollatissimo di persone, di negozietti, di bancherelle di ogni genere, da quella dove si fanno le spremute di melograno, a quella delle coloratissime caramelle: un’incanto! ti prende la voglia di fermarti ad osservare tutto quel mondo in movimento, tutte quelle persone vestite in modo strano (moltissime donne col “Nikab” o addirittura col “Khmar”), ma dobbiamo stare molto attenti a non disperderci, perché quella è l’unica strada possibile per arrivare alla Moschea.
E, dopo quei magici 20 – 30 minuti di “full immersion” nella quotidianità araba che abbiamo cercato di fissare in una miriade di foto (dal numero sempre proporzionale all’emozione che quella vista ti provoca), eccola la famosa Moschea degli Omayyadi, preceduta da una moltitudine di persone che vi entrano e ne escono continuamente. Solita cerimonia della vestizione, anche qui ci hanno fatto indossare i loro lunghi saii grigi con cappuccio e ci hanno fatto togliere le scarpe eravamo proprio strane! Siamo entrate quindi nello splendido cortile che contiene testimonianze di tutte le epoche che la moschea ha vissuto e dei relativi stili:arameo, bizantino, romano,arabo.
Si tratta di una storia millenaria: questo luogo viene citato anche nell’ Antico Testamento (3000 anni fa), poi con l’arrivo dei romani (colonne con capitelli), la moschea, prima dedicata al culto pagano di Giove, viene consacrata a Cristo (Costantino, 310 d.C.) e diventa una basilica dedicata a S.Giovanni Battista, la cui testa si dice sia conservata in una cappella all’interno della moschea.
Successivamente, con l’arrivo dei musulmani a Damasco (600 d. C.), dopo un periodo di coabitazione con i cristiani, sotto la dinastia degli Omayyadi, quando Damasco diventa la capitale del mondo islamico, il califfo Khaled ibn al Walid, fa allontanare i Cristiani dalla basilica, abbatte le antiche strutture romane e bizantine e fa costruire una moschea che doveva risultare la più grande, la più bella, la più importante del mondo arabo. Era ricca di mosaici, pietre preziose, soffitti in legno intarsiati in oro, 600 lampadari anch’essi in oro. La sua costruzione costò alla popolazione 7 anni di tasse!
Poi arrivarono i Mongoli che saccheggiarono tutto e terremoti ed incendi fecero il resto, ma quello che rimane è comunque imponente e la moschea tutt’ora è seconda solo a quelle della Mecca e di Medina.
Il cortile è molto vasto, presenta sulla parete esterna alla sala di preghiera, magnifici mosaici dorati, poi, oltre la caratteristica fontana delle abluzioni, c’è un piccolo vano ottagonale che poggia su 8 colonne romane, con pareti completamente decorate di preziosi mosaici trecenteschi: è la Cupola del tesoro, un tempo destinata a custodire il denaro pubblico. Sul lato opposto c’è un’altra costruzione, la Cupola degli orologi che custodiva gli orologi della moschea. Da questo punto si vedono 3 minareti.
All’interno, la sala della preghiera è sconfinata; lungo una parete, in uno spazio separato da transenne, c’è il posto delle donne con i loro bambini, in un altro punto c’è un Imam che spiega, tanta gente prega, ma tanta gente è lì per riposarsi o per incontrare un amico: la moschea è “il loro luogo”, è un punto di riferimento nella loro giornata, nella loro vita.
E anche noi, come gli altri, ci siamo seduti per terra intorno ad Imad, per ascoltare le sue spiegazioni.
Poi abbiamo girato un po’ liberamente, ammirando gli sfarzosi lampadari, la Tomba di San Giovanni Battista, il pulpito in marmo etc.

V Damasco (113)
Ci siamo quindi diretti verso Palazzo Azem: un complesso di splendidi edifici, cortili, giardini, fontane, realizzati intorno al 1750 come residenza del governatore di Damasco. Gli edifici sono caratterizzati da motivi a strisce in 3 colori: basalto, arenaria, pietra calcarea, secondo una tecnica tipica dell’epoca mamelucca, chiamata “ablaq”. Attualmente questo palazzo è sede del Museo delle arti e delle tradizioni popolari siriane: oltre che pregiatissime ceramiche, tessuti, costumi, strumenti musicali, ci sono manichini che raccontano situazioni di vita locale come il matrimonio, il pellegrinaggio etc.
Siamo quindi andati a pranzo e poi al Suq per un giro libero e tanto tanto shopping: spezie, infusi, saponi e …tante foto e tanta allegria!
Poi Imad ci ha portati a fare un giro a piedi per il Quartiere cristiano: un dedalo di vie e di viuzze che non finiva mai. Ormai era sera e qualcuno già stanco, ha deciso di prendere un….”taxi”: si trattava di un misto fra un “pick-up” e un “tre-ruote”, nel quale solo uno si poteva sedere avanti, di fianco all’autista (Lucia), gli altri poverini (Lello, Anna, Vittorio e Mariella) erano dietro, allo scoperto, gli uomini addirittura in piedi. Bene, le strade erano così piccole che, per fare spazio ad un’auto, questo mezzo si è incastrato ad angolo fra due stradine facendoci tremare per la sorte dei nostri amici….ma poi tutto è finito bene! C’erano anche molti interessanti negozi, in questo quartiere, ma tutti un po’cari. Imad ci ha anche portati in un negozio dove vendevano icone antiche, bellissime ma decisamente troppo costose (min. 800 euro).
In questo quartiere i nostri amici hanno visitato il Monastero di S. Ananìa, io no, perché, insieme con altre 4 – 5 amiche, ci eravamo perse.
Tornando in pullman verso l’albergo, Imad ci ha portati in alto, in un punto panoramico dal quale si dominava tutta Damasco illuminata: uno spettacolo eccezionale, le sue 130 moschee tutte coi minareti illuminati di verde (colore dell’Islam), i suoi edifici, una piazza rotonda intorno alla quale il traffico di auto sembrava una giostra e… bellissimo!
Poi velocemente in albergo, perché per cena andremo fuori, in un ristorante vicino alla moschea degli Omayyadi, dove si esibiscono i Dervisci: si tratta di sacerdoti che raggiungono la “trance” mistica, con una danza che li porta a ruotare vertiginosamente su se stessi. Sono originari di Konia in Turchia, ma c’erano anche in Siria: peccato che nella esibizione alla quale abbiamo assistito, ci fosse molto poco di mistico!
Rientrati quindi in albergo abbiamo salutato le carissime Elke, Clara e Camilla che domani mattina ritornano in Italia, con un volo Damasco-Amman e poi Amman-Roma e Roma-Bari.

Martedì 10 novembre
Damasco – Amman

Oggi lasceremo la Siria e, alla frontiera, anche la nostra guida Imad.
Durante il nostro viaggio verso sud, facciamo una sosta sull’orlo del cratere di un vulcano. Inattivo da millenni, ha conservato tutta la sua suggestione: è un paesaggio lunare, di terra nera priva di vegetazione che evoca l’idea di una natura possente e selvaggia.
Qui abbiamo pensato di fare le foto di gruppo con Imad, visto che stava per lasciarci.

Bosra
Proseguendo la strada abbiamo attraversato Suweida, centro della viticoltura locale, nonché città a prevalenza Drusa. Imad ci ha spiegato che i Drusi sono persone molto colte (ed anche molto belle):medici, ingegneri, professori che oltre che in questa zona, sono presenti soprattutto in Libano. Essi non credono nel Corano, ma in un altro Libro Sacro che le donne non possono leggere, perché…incapaci di mantenere un segreto!!! I Drusi si sposano fra loro: i matrimoni misti prima venivano puniti con la pena di morte; oggi non più, ma rimangono comunque molto malvisti.
Molto vicino alla zona che stiamo attraversando, a sud-ovest della Siria, ci sono le Alture del Golan, territorio siriano che fu invaso (1967) da Israele durante la guerra dei 6 giorni. Successivamente con la guerra dello Yom Kippur (1973), grazie alla mediazione del segretario di stato americano Henry Kissinger, la Siria rientrò in possesso di gran parte del territorio precedentemente perduto, ma nel 1981 Israele insediò in questa zona i suoi Coloni, adducendo motivi di sicurezza, di fatto annettendosela formalmente in modo unilaterale. Tutt’ora la contesa sulle alture del Golan continua a rappresentare una grossissima difficoltà nel processo di pace fra Siria ed Israele.
Arriviamo quindi a Bosra: una città strana, un po’ cupa perché costruita tutta in basalto nero. Capitale del regno Nabatèo nel I sec. a. C. (quando Petra cominciava ad andare in declino), a partire dal 106 d. C. diventa, nell’impero Romano, capitale della provincia d’Arabia. Il teatro romano è immenso, tutto di pietra vulcanica grigio scuro, poteva ospitare fino a 9000 persone. Sepolto sotto la sabbia e variamente nascosto da altri edifici, è stato riportato a tutto il suo splendore solo nel 1900.
Al palcoscenico facevano da sfondo file di colonne corinzie disposte in modo da ottimizzare l’acustica. La facciata, in origine di marmo bianco, era ornata da statue e sormontata da un tetto di legno, mentre il resto del teatro era coperto di tendoni. Pare che durante gli spettacoli, per deliziare gli spettatori, si usasse vaporizzare nell’aria acqua profumata.
Attualmente in questo teatro ogni 2 anni, si tiene il “Festival di Bosra”, con grandiosi spettacoli teatrali e musicali.

teatro di Bosra
Dal teatro si accede direttamente, parte integrante di questo, alla Cittadella fortificata, una strana struttura fatta di sale scure ed opprimenti che costituiscono la parte di teatro fortificata dagli Arabi.
Poi siamo andati a visitare la Città vecchia, anch’essa di epoca romana. Si comincia da un arco monumentale (la “Porta della Lanterna”) con ai lati, 2 archi minori: era questo l’incrocio col Decumano, la principale via est-ovest, delimitato da colonne delle quali gli scavi hanno portato alla luce le basi. A ovest del decumano, si trova la “Porta del Vento”, intercalata lungo le vecchie mura. E poi i resti delle terme, della fontana pubblica, di un tempio e addirittura di una Cattedrale paleocristiana.
Ma a quel punto la nostra attenzione è stata distratta da una specie di bazar con numerose bancarelle di cianfrusaglie varie, ma tutte molto fantasiose e colorate e con venditori ambulanti uno più simpaticamente chiacchierone dell’altro!
C’era pure l’”atelier” di un pittore che per prezzi veramente contenuti, vendeva i suoi bellissimi quadretti che firmava al momento.
Poi a pranzo in un posto così stravagante, colorato, allegro, che molti di noi lo hanno immortalato nelle loro foto.
E finalmente in pullman fino alla frontiera con la Giordania dove Imad ci ha salutati, pronto a tornare in auto alla sua Aleppo.
Qui devo aprire una incresciosa parentesi: è da un paio d’ore che ci arrivano i messaggi disperati delle nostre amiche che sono ancora ferme a Damasco perché l’aereo Damasco Amman che avrebbero dovuto prendere alle 8, non si era proprio presentato e non avevano il visto per entrare in Giordania. Grande sconcerto ed agitazione: non sapendo come aiutarle abbiamo telefonato all’agenzia di Bari per vedere se potevano fare qualcosa…
Noi abbiamo scaricato i nostri bagagli (proprio noi con le nostre braccia!), li abbiamo sottoposti al controllo della Dogana, abbiamo avuto un po’ di tempo per cambiare i soldi (per 1€ ti davano 1 dinaro giordano, mentre in Siria per 1€ ti davano anche 65 S£), bere qualcosa, ed in effetti, dopo neanche un’ora eravamo in Giordania.
Qui è salita sul pullman la nuova guida Mohamed, un bel ragazzo circa 40enne, che l’italiano lo parlava molto bene, ma… lo parlava troppo!
Aveva un vocione dal tono molto forte e molto basso (che qualcuno chiamava voce “ormonale”, a me sembrava solo voce da …stratificazioni sulle corde vocali di secoli di tabacco!), con qualche cedimento alla balbuzie, e, cosa tragica, non tollerava le interruzioni se no….perdeva il filo!!!!
Ci ha portati a Jarash (l’antica Gerasa). L’area archeologica portata alla luce a cominciare dagli inizi del 1900, si presenta molto estesa ed interessante per l’eleganza degli edifici, per il caldo colore ocra della pietra, per l’ottimo stato di conservazione degli stessi (ben protetti durante i lavori di restauro con sabbia e pietra).

X1 Jerash (1)

Fondata nel III-II sec. a.C., Jarash deve il suo sviluppo ed il suo splendore essenzialmente al periodo romano. A cominciare da Pompeo (63 a.C.), fino a Traiano (106) e poi Adriano (130 d.C.) considerando l’importanza di questo sito sia perché molto fertile (trovandosi in una zona ricca di acqua), sia perché interposto su vie commerciali e mercantili molto importanti, lo arricchirono di edifici, strade, templi, teatri di raro splendore.
Abbiamo cominciato la visita dall’Arco di Adriano, detto anche “Arco di Trionfo” fatto erigere in occasione della visita di questo Imperatore, poi l’Ippodromo di straordinaria vastità, con una capienza di 15.000 posti, nel quale tutt’oggi si tengono gare di antiche bighe, ed il teatro con gradinate separate in settori e contraddistinte da lettere greche che ne facilitavano il reperimento (posti assegnati), una capienza di 3.500 posti, e un bellissimo palcoscenico ricco di colonne e di decorazioni.
L’acustica era perfetta e, in nostra presenza, è stata testata da un’attempata turista di lingua spagnola. Durante la nostra visita, si notava la strana presenza di tre arabi che con le cornamuse, si sono esibiti in un repertorio francamente scozzese, retaggio dei tempi di Churchill.
E poi la piazza ovale, perfettamente conservata, grandissima( 80 x 90 mt), dalla inconsueta forma ellittica, con una pavimentazione di pietra calcarea a lastre più grandi alla periferia, più piccole al centro, disposte circolarmente per dare maggior risalto alla forma ellittica.
Al centro presenta la base quadrata di un monumento romano, trasformata nel 600 in una fontana, attualmente sovrastata da una colonna moderna che serve a sostenere la fiaccola del festival di arti varie che ogni anno anima questi luoghi.
La piazza è circondata di colonne ioniche (alcune riportano i nomi dei finanziatori) e da essa si diparte una bellissima via Colonnata, il Cardo massimo dalla pavimentazione perfettamente conservata recante ancora i segni del passaggio dei carri. I capitelli del lato nord sono ionici, quelli della parte sud, dove la via è più ampia, sono corinzi. La via è attraversata perpendicolarmente da due decumani (est-ovest): agli incontri con questi si trovano due tetrapili (di uno non rimane quasi più nulla). E poi ancora i resti del tempio di Artemide, la Cattedrale, il Ninfeo fino al teatro nord e la porta nord. Un sito ricchissimo che abbiamo visitato all’imbrunire, quando la luce del tramonto andava cambiando da un momento all’altro, rendendo quei luoghi incantevoli, quasi magici.
Non posso poi dimenticare la grande quantità di “polizia turistica” che sorvegliava quei luoghi: sì, molte divise che non so se ci facevano sentire più al sicuro o più in pericolo. A questo proposito devo anche ricordare che alla frontiera, insieme con la guida, è salito sul pullman anche un poliziotto che doveva badare alla nostra incolumità!? E’ poi sceso a Jerash; lo abbiamo rivisto con noi anche in altri tratti, ma l’impressione che ne abbiamo ricevuto era piuttosto di…. amici dell’autista che avevano bisogno di un passaggio!
Intanto ci arrivavano i messaggi disperati di Camilla: le nostre amiche stavano arrivando ad Amman con un pullman, dopo aver avuto il visto per la Giordania ed aver fatto 3 ore di “veleno” alla frontiera. Pare che l’autista di questo pullman fosse anche un mezzo matto, che sbagliava strada e guidava in senso vietato! Oh Madonna!
Noi invece siamo arrivati stanchi ma tranquilli e soddisfatti all’Hotel Ramada di Amman. (molto più tardi arriveranno ad Amman anche le nostre povere amiche, ma in un albergo, come poi ci hanno raccontato, molto più abbattuto: domani mattina hanno l’aereo per Roma –Speriamo!)

Mercoledì 11 novembre
Amman – Petra

La partenza è molto presto (ore 7), perché la strada da fare è tanta. Uscendo da Amman cominciamo a notare la differenza sostanziale con la Siria: qui gli edifici sono tutti più curati, più chiari e rifiniti, verso il centro si vede anche qualche grattacielo; ci sono moltissime auto anche nuove nuove e nessuna moto (grazie ad una precisa politica del governo che incentiva l’acquisto di auto piuttosto che di moto, per ridurre gli incidenti stradali); le strade sono belle grandi, perfettamente asfaltate, (pare si usi molto poco il trasporto su treni).
Mohamed ci dice che ci sono solo in Amman ben 131 ospedali e molte industrie, soprattutto farmaceutiche. Si tratta di un paese ricco, c’è petrolio, metano, fosfati, che il governo, grazie ai buoni rapporti che intrattiene con i Paesi che “contano”, riesce a commerciare con vantaggio.
Qui le strade sono meno affollate, la gente sembra ben vestita, più alla occidentale, più nutrita e cicciottella che in Siria. Mohamed ci dice che, come in Siria, ci sono moltissimi Iracheni sfuggiti alla recente guerra, ma qui hanno ricevuto tutti subito, la nazionalità giordana.
Come in Siria, le immagini del re Abdullah II e di suo padre re Hussein (il sovrano ascemita che tanto si è speso per la pace in Medio Oriente, deceduto nel 1999) sono dovunque. Spesso l’effigie dell’attuale re è accompagnata anche da quella della sua bellissima moglie Rania e dei suoi 4 figli.
E poi ci sono tante tante divise, moltissimi militari, anche donne. Ed, ahimé anche qui c’è la pena di morte per impiccagione.
Globalmente l’impressione è quella di un Paese un po’ anonimo: non più arabo e non ancora occidentale!
In pullman Mohamed parla parla parla ininterrottamente per 2 ore: ed io, che forse ero un po’ assonnata ed avrei preferito assopirmi un attimo, impossibilitata da quel vocione monotòno, non sapendo più dove rifugiarmi…..mi è quasi venuta una crisi di nervi….subito sedàta con determinazione dalle signore che invece seguìvano molto interessate il monòlogo. E’ subito accorsa in mio aiuto Rachele che, pur di interromperlo, gli ha fatto 2 o 3 domandine: giusto l’occasione per risponderle in modo logorroico ed incontinente, con un fiume irrefrenabile di parole! Bastaaaaaaaa! Non mi restava che rassegnarmi e attendere con pazienza l’arrivo.
Ed eccola Petra, emozionante ed indimenticabile.
Appena scesa dal pullman mi sono resa conto che il sole picchiava in modo veramente pericoloso e sono corsa a comprare il primo cappellino della mia vita (che spero nessuno abbia avuto la cattiva idea di fotografare!).
La visita comporta una passeggiata di circa 7 Km: per questo motivo all’ingresso, a disposizione di chi non volesse farsela a piedi, c’erano cammelli, cavalli, asinelli, calessini, tutti rigorosamente gestiti dai beduini locali che pare gestiscano il sito in modo esclusivo da molti anni. Abbiamo trovato anche qui molta polizia turistica, anche a cavallo.
Ora, descrivere questo sito risulterà sempre riduttivo, come riduttive risultano sempre le parole rispetto alle emozioni. Come si può descrivere un passaggio stretto stretto (siq), in certi tratti non più largo di 2 mt. nella gola di un canyon dalle pareti altissime
(fino a 100 mt.) di arenaria dai 1000 colori , sotto un cielo di un azzurro mai visto?
Dal 1985 dichiarata dall’UNESCO “Patrimonio dell’umanità”, riconosciuta nel 2007 come una delle nuove 7 meraviglie del mondo, Petra è chiamata la “città rosa” per il colore della sua roccia.
Menzionata già nell’Antico Testamento, Petra (che in greco significa” roccia”),è il posto (Wadi Musa) in cui Mosè fece sgorgare l’acqua dalla roccia. Rimarrà però sempre legata al periodo dei Nabatèi che l’hanno abitata, abbellita, fortificata dal III sec a. C. fino al I sec. d.C. epoca in cui Petra divenne Colonia Romana (da Traiano, ad Adriano, a Diocleziano). Nonostante il successivo dominio bizantino, il Cristianesimo non ebbe mai vita facile nell’antica capitale dei Nabatèi.
Si trovano ancora tracce della conquista Araba, poi del passaggio dei Crociati (che nel 1100 eressero in zona 2 fortezze), poi dei mamelucchi, poi di questo luogo si persero le tracce, fino al 1812 quando Petra venne riscoperta da J. L. Burckhardt.

Petra
Lungo il percorso, scolpita nella roccia, c’è la Tomba degli Obelischi di chiara ispirazione egiziana, poi il “Triclinio”, verosimilmente usato per i riti funerari. Poi comincia il vero e proprio “Siq” tanto profondo che il sole non riesce ad entrare, risultando quindi un percorso piacevolmente ombreggiato, dove si sente l’eco anche dei propri passi (se si riesce ad isolarsi rispetto agli altri turisti, il che è veramente un’impresa!). Qui ci sono i resti della Diga che accoglieva l’acqua piovana e la convogliava in ampie cisterne scavate nella roccia, grazie ad un sistema di canali scavati su entrambi i lati alla base delle pareti rocciose. Lungo tutto il percorso sono disseminate nicchie che accoglievano idoli nabatei. Dopo circa 1200 mt., dopo un tratto particolarmente stretto e ricurvo del siq, ecco cominciare a comparire il monumento più famoso di Petra: il Tesoro del Faraone (al-Khaznah). La gola si apre all’improvviso su una piazzetta dove è stato eretto questo gioiello rosso, a 2 piani, scolpito nella roccia, probabilmente destinato ad essere la tomba del re Nabateo Aretas III. Su questa mirabile facciata piena di colonne e di statue, al piano di sopra presenta un vano rotondeggiante nel quale si diceva fosse nascosto il tesoro di un faraone: per questo motivo nella facciata si vedono tanti colpi di fucile dei beduini, che cercavano questo tesoro.
Alla fine della via delle facciate, sulla sinistra, si trova il teatro . Andando avanti si intravedono le tombe reali ed il grande tempio che, situati su una collina un po’distante ed un po’ troppo alta, noi abbiamo visto solo da lontano. Poi abbiamo percorso la Via Colonnata con pavimento e colonne ben conservate, di epoca traiana, fino ai resti del ninfeo, fontana dove probabilmente finiva il sistema di canali.

Petra
Siamo quindi arrivati accaldati e bianchi di polvere, al ristorante: un bel posto sotto un pergolato fresco e riposante: a pranzo c’erano pure i mitici “falafel” (miei preferiti) caldi caldi.
Poi si torna indietro: stessa strada, questa volta in salita, questa volta con il caldo del primo pomeriggio! Qualcuno di noi pensa bene di alleviare il ritorno chiedendo aiuto ad un asinello beduino: è così che noi che percorrevamo a piedi la via del ritorno, ad un certo punto ci siamo visti superare alla nostra sinistra, lontano, a mezza collina, da una “carovana” di asinelli che portavano Pina, Vittorio, Lello, Lucia…..era proprio un’immagine natalizia, sembrava presa pari pari da un presepe!
Bene, siamo rientrati piano piano fino al punto di ritrovo: di là, dopo una breve sosta per riprendere fiato, in pullman per tornare distrutti, ma felici in albergo (Hotel Panorama – Petra)

Qui devo aprire una breve parentesi sui Beduini. A Petra, più che in ogni altro posto, ne abbiamo incontrati tanti, bellissimi e misteriosi, soprattutto giovani uomini, tutti con gli occhi truccati con il “kohl”, i capelli da rasta variamente intrecciati con le kefiah, ma poi anche donne vestite in modo molto elegante, col volto spesso tatuato, per non parlare dei bambini, bellissimi e selvaggi. Si tratta di beduini Abdul (dal nome della loro tribù) che hanno rivendicato in esclusiva la gestione del sito, avendolo da sempre abitato.
I beduini, fra Siria e Giordania più di 150.000, possono essere considerati nomadi del deserto: in passato guidavano le carovane proteggendole dai predoni del deserto, attualmente si dedicano essenzialmente alla pastorizia e all’allevamento dei cammelli e cavalli. Gli accampamenti beduini sono caratterizzati da tende nere, di lana di capra (mentre le tende degli zingari sono chiare).
Si tratta di popolazioni semite, che costituirono soprattutto nell’ Africa Nord-Sahariana un importante veicolo di diffusione dell’Islam.
Una tribù è costituita da una famiglia antica di almeno 5 generazioni. Le tribù dette genericamente “bani” , prendono il nome da un capo che si chiama “sceicco”.
I capi delle tribù più importanti e numerose vengono ascoltati dal Sovrano e dal Governo e hanno anche dei seggi in Senato.

Giovedì 12 novembre
Petra – Amman

La giornata è cominciata con la visita della Piccola Petra: come la più illustre consorella presenta edifici scavati nella roccia. Si possono notare tecniche di terrazzamento usate dai Nabatei per le coltivazioni. Si trattava della sede dell’amministrazione (casa del dazio); notevoli le cisterne e le canalizzazioni per l’acqua. Alla fine della strada principale, una erta scalinata mette in comunicazione il sito, con Petra.
Attraverso l’autostrada del deserto, in direzione Nord , ci siamo diretti verso Madaba, detta “città dei mosaici” presenti in molti edifici religiosi. In particolare abbiamo visitato la Chiesa di San Giorgio di rito Greco-Ortodosso, dove è conservata “la Mappa della Terra Santa”. Il mosaico del 560 (15,7 x 10 mt.), eccezionale documento di geografia biblica, rappresenta 150 località diverse, con i loro nomi in greco, con al centro, Gerusalemme, centro della Cristianità.
Dopo la visita siamo andati al ristorante, a pranzo.
Dopo pranzo siamo saliti sul Monte Nebo, estremamente importante dal punto di vista storico e biblico, perché affacciato sulla valle del Giordano, sulla Palestina e sul Mar Morto. Da questo punto Mosè contemplò prima di morire la Terra Promessa e si presume che sia anche il luogo della sua sepoltura.

Monte Nebo
Attualmente in questo sito i Francescani, Custodi della Terra Santa hanno costruito un monastero nel quale si trovano importanti mosaici attualmente in restauro.
All’ingresso c’è la stele commemorativa della visita di Giovanni Paolo II in occasione del Giubileo del 2000.
Ormai al tramonto siamo tornati ad Amman per un giro della città in notturna: abbiamo visto il teatro romano e l’Ambasciata Americana che ci ha colpito per la sua imponenza e minacciosità.
Siamo quindi tornati in albergo per cominciare a preparare le valigie, perché il viaggio è finito e domani si parte.

Venerdì 13 novembre

Amman – Roma – Bari

Il volo Amman Roma (ore 10 – 13) è stato puntuale ed è andato benissimo.
A Roma abbiamo trovato ad aspettarci il pullman che ci avrebbe riportati a Bari.
Il clima del rientro era da….”gita scolastica”: nessuno più stava al suo posto, erano ricordi, saluti, promesse di rivedersi, scambio di indirizzi e così siamo arrivati a Bari intorno alle 20. Tutto bene se non per il fatto che dal pullman avevamo perduto sull’autostrada ben 2 valigie . Quindi il grande disappunto soprattutto da parte dei proprietari ha finito col togliere un po’ di gioia al momento dell’arrivo.