26 gennaio 2014

Alessio Viola, Dove comincia la notteed. Rizzoli, 2013

di Amalia Mancini

In questo romanzo Alessio Viola sembra voler indicare al lettore quella sottile linea d’ombra che segna la fine del giorno.
“Dove comincia la notte” mostra la demarcazione tra bene e male, felicità e infelicità, gioia e dolore, angoscia.
Il protagonista, Roberto De Angelis, nome anche questo significativo (non certo Lupis o De Lupis), poliziotto “scafato”, espertissimo del mestiere, professionista doc, si dibatte in una atmosfera grigia, senza grandi passioni o impulsi, e, soprattutto, senza scrupoli piccolo-borghesi. Si lascia trascinare dagli eventi, spesso varcando questa sottile linea, senza perplessità o esitazioni etiche. In lui si avverte un male di vivere, un’esistenza infelice, senza bagliori all’orizzonte. Eppure anche lui sembra essere alla ricerca di sentimenti veri, sinceri. L’unico legame positivo è l’amicizia con un giovane killer, Giacinto.
Giacinto lo rispetta e lo considera una persona affidabile, al punto da renderlo complice di più omicidi efferati. Condividono non solo il male, ma anche momenti di relax, pranzi, cene, prostitute… Per De Angelis l’amore e l’amicizia non sono legati a pregiudizi etici. E anche le donne, meno ordinarie sono, più malate o pervertite …
Nella notte si trova a suo agio. Riesce a vedere, distinguere ciò che gli è impedito dal giorno. Nel buio tutto ha una sua definizione. E’ un personaggio atipico, fuori dalle righe e dalle regole. Da lui ci si può aspettare di tutto, come accadrà nel finale.
Si porta dietro questa melanconia, la disperazione, la indefinitezza di chi non sa, non ha chiaro cosa vuole dalla vita.
Non ci sono in questo libro i buoni e i cattivi o eroi di qualunque genere. Lo scrittore denuncia una umanità che si va perdendo, dissolvendo, sbriciolandosi nel niente.
La sua Bari è buia triste, malavitosa. Mancano i mattini radiosi che brillano di luce sul mare e possono indurre ai sogni.
L’autore, a chi gli chiede il perché di tanto buio, afferma candidamente che “non esiste Babbo Natale, mancano le ideologie …”.

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di Elisa Cataldi

Che dire? Ne ho riportato impressioni molto contrastanti; globalmente si tratta di un libro che, se non mi fosse stato proposto dal gruppo di lettura, non avrei letto.
Ma l’ho letto e con grande facilità perché la scrittura è molto scorrevole, lo stile molto corretto, asciutto, rapido, essenziale (…salvo qualche cedimento alla più bieca retorica tipo “gli ulivi annoiati dall’attesa secolare di cadere” pag.319) e poi sei incuriosita dal ritrovare luoghi e persone che conosci (Giuseppe Scelzi, Pino Vizioli!). Tutto, ma proprio tutto della storia di Bari viene citato e commentato, dalla vicenda del teatro Petruzzelli, a quella dell’ex Hotel Ambasciatori, dalla toponomastica di Poggiofranco a parco 2 Giugno. Tutto è fatto in modo plateale, al fine di attrarre l’attenzione del lettore, soprattutto barese. La struttura stessa del romanzo include tutte quelle tematiche indispensabili nella creazione di un best seller: la suspence, il sesso (meglio se perverso), la violenza, le parolacce, i richiami a cose, luoghi e persone note al lettore, c’è tutto.
Dal “legalthriller”alla Carofiglio, si passa al “profondo noir” alla barese: la differenza non è poi tanta: sono comunque storie che intrattengono molto, ma ti lasciano molto poco.
I contenuti poi! L’autentico, gratuito viaggio all’inferno di un ispettore di polizia che, all’improvviso, spinto da non si sa bene cosa, si ritrova a liquidare la propria vita di sempre, barattare i valori che la hanno da sempre ispirata, per entrare in un vortice del male dal quale non sa, non vuole più uscire. Delitti efferati, droga, perversioni sessuali, ambienti malavitosi contro i quali ha da sempre lottato, ora diventano la sua realtà. La sua vita affettiva è un deserto, lui è un “aquilone senza fili” che lo riportino alla vita, ma questo basta a giustificare una tale abiezione, un simile decadimento morale? I personaggi chiave sono tre e la psicologia di ognuno è disegnata molto bene: Roberto, il nostro ispettore di polizia, Giacinto, il killer spietato, la dottoressa della quale Roberto s’innamora, che però è affetta da una grave forma di dipendenza dall’amore-sofferenza.
Volendo entrare nella capacità di scelta di ognuno dei 3, troviamo Giacinto che ne è assolutamente privo: è un killer spietato, capace di eseguire i delitti più efferati, con una perfezione, una lucidità, una professionalità senza pari. Per lui è un lavoro, è il suo lavoro, durissimo, pericolosissimo, ma, lui ritiene, l’unico possibile. Non ci sono sentimenti quando va ad eseguire un “lavoro”, si fa e basta. Ma i sentimenti ce li ha e come, solo che li indirizza verso la persona sbagliata, quel Roberto, che stima e rispetta fino a diventarne amico ed a provargli la sua amicizia andando perfino ad uccidere il suo nemico e rivale.
Poi c’è la dottoressa, lei poteva scegliere, ma non le piaceva, non c’era abituata, “non aveva bisogno di un uomo che si prendesse cura di lei, ma di uno che scegliesse a posto suo” (259), aveva solo bisogno di un padrone che la tenesse al guinzaglio (non solo metaforico) e che al posto suo decidesse i tempi e i modi del suo piacere.
Roberto invece, di libero arbitrio ne aveva a bizzeffe: lui è padrone della sua vita e decide in tutta lucidità di “giocarsela a dadi, anzi a roulette russa” per il gusto di provare (315), nella speranza di “svoltare”, di provare a vedere che succede se ti lasci andare, seguendo solo il tuo istinto e nient’altro, senza regole, senza princìpi, cancellando la morale (249). E Roberto lo fa, con cinismo e crudeltà: sa perfettamente quanto Giacinto si stia legando a lui, quanta fiducia riponga in lui.
Giacinto, il più spietato dei killer, si affida a Roberto col candore di un ragazzino, ma Roberto nel momento in cui decide di tornare ad essere ”l’irreprensibile” ispettore di Polizia, ignora tutto, ignora di essere stato addirittura il mandante di uno dei tanti omicidi commessi da Giacinto, ignora di avergli lasciato compiere delitti che avrebbe tranquillamente potuto prevenire, ignora di avere spartito con l’amico esecuzioni, piaceri e perfino cocaina e… lo ammazza sparandogli in faccia prima che Giacinto possa colpirlo al cuore, perché sì,…. “aveva puntato al cuore. Non avrebbe trovato niente” (337). Già, il personaggio più marcio, più abietto, risulta senz’altro Roberto. Della serie che “All cops are bastards!” (come recita l’acronimo ACAB, titolo del libro di Carlo Bonini) e Roberto bastardo lo è. All’ennesima potenza.
“Nessuno esce vivo dalla vita” (249), ma non è certo Roberto a non esserne uscito vivo!

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di Vanda Morano

Dove comincia la notte è un romanzo poliziesco ambientato a Bari e ispirato a episodi di cronaca degli anni novanta. Il protagonista, Roberto, è uno sbirro col “codino e la barba” che pateticamente tenta di non arrendersi alla vecchiaia. La sua casa ‘parla’ di una vita senza radici in attesa di trovare un senso e una direzione. Intercetta un delinquente di piccolo calibro con il quale instaura uno strano rapporto umano che gli permette di entrare in contatto con la ferocia della malavita barese e con la lotta a colpi di pistola per la conquista del territorio.
Il racconto è prevalentemente in bianco e nero, si svolge di notte e presenta un’altra Bari parallela ed estranea a quella che viviamo nel nostro quotidiano. La grammatica delle relazioni umane segue schemi gerarchici rigidi che non possono essere contestati se non con la violenza e comunque solo per essere riprodotti. Roberto rimane invischiato in questo mondo di certezze assolute ”sapeva di camminare lungo un crinale pericoloso e non aveva ancora deciso se e come percorrerlo, e da quale lato cadere”. Il finale è prevedibilmente tragico.
Questo romanzo avrebbe molti elementi tipici dell’hard boiled fiction: protagonisti solitari, realismo gergale nei dialoghi, alcool, droga, corruzione, crimini violenti, disillusione e rapporti difficili con le donne. I personaggi, inoltre, non sono collocati secondo categorie manichee, il bene e il male sfumano in una logica umana diversa. La vita che “graffia” le persone non prevede che si possano imparare le regole, queste vengono imposte dall’esterno, ”è l’ambiente che fa la malavita”.
La narrazione però procede con una sorta di romanticismo di maniera che stride un po’ col racconto. Uno stile più scarno ed essenziale avrebbe giovato all’atmosfera.