Diario di viaggio

Francia Sud-Ovest

Le sfide all’ortodossia: un viaggio nelle terre dei Catari degli Ugonotti e dei Valdesi

10 – 23 settembre 2011

a cura di Angela Mengano

Alla partenza siamo in 28: Lucia e Gaetano, Ninni e Lia, Giorgio e Vittoria, Cesare e Silvia, Irene, Brunella,  Ginevra, Maria, Anna, Elisa, Pina, Franca e Laura, Margherita, Gabriella, Patrizia, Silvia, Mariolina, Elke, Clara e Camilla, Lalla ed io. Ci accompagna Graziella Belloli, docente universitaria dotata di una profonda conoscenza della cultura e dell’arte, oltre che della lingua francese. Il nostro autista – bravissimo – è Ivan e viene da Giovinazzo. Molto discreto, è sempre disponibile e pronto a darsi da fare per noi. Il lungo viaggio attraverso la Francia del Sud, dalla Provenza all’Atlantico, inizia per noi sabato mattina presto, con una tappa di avvicinamento alla frontiera italo-francese. Nel percorso, un’anteprima del viaggio con i pensieri e le letture di Lucia e le prime anticipazioni di Graziella ( un frammento: Van Gogh che fissa sulla sua tela“il suo sole di coriandoli colorati”).
All’arrivo a Viareggio, guidati da Gabriella, una simpatica guida del posto, facciamo una passeggiata sul Lungomare, ammirando i bagni ottocenteschi e gli alberghi Belle Époque.

Poi, al Grand Hotel Continental di Tirrenia. Dopo la cena, facciamo due passi sul lungomare, affollato e rumoroso nel caldo afoso del sabato sera.

Domenica 11
Partenza alla volta della Francia, attraverso la Lunigiana e la Liguria. Vediamo Genova, immensa, e in men che non si dica , in un tripudio di gallerie, l’autostrada ci introduce in Francia! Nel buio delle gallerie i nostri telefonini annunziano l’SMS di benvenuto del gestore d’Oltralpe, Orange. Arriviamo a Saint Paul de Vence dove ci attendono per il pranzo alla Terrasse de St. Paul. Ci raggiunge Laetitia Frassetto, che ci accompagnerà, subito dopo pranzo, nella visita alla Fondazione Maeght, centro di arte moderna e contemporanea, che custodisce bellissime opere dei maggiori artisti (basterà citare per tutti Calder, Mirò e Chagall) e che oggi rende omaggio a Eduardo Chillida, forte scultore del ferro e di altri materiali (“spazio” e “vuoto” le sue parole d’ordine). Di grande suggestione l’ambientazione delle opere d’arte negli spazi interni, sapientemente progettati dall’architetto catalano Josè Luis Sert per Aimé e Margherite Maeght, e all’esterno, nel grande e arioso parco.

Prima di ripartire, facciamo un veloce giro nel delizioso paese, cinto da poderose mura; poi riprendiamo la nostra strada verso Arles, dove arriviamo a ora di cena. Immediato è lo sconcerto di fronte alle anguste camere : l’albergo – il Kyriad – è un due stelle ,a fronte di un promesso tre stelle; ma presto scopriremo che questo è dovuto al tutto esaurito negli alberghi di Arles per la Feria del Riso, appuntamento annuale che vede qui accorrere gli appassionati di tauromachia.
Per giunta, scopriamo che la cena 1) non si tiene sul posto ma in una specie di saloon in una desertica zona commerciale 2) lascia alquanto a desiderare. Presto però tutto è superato in un mare di scherzi e risate.

Lunedì 12
Ad Arles, vicino al Bureau du Tourisme, incontriamo Martine, la nostra guida, che ci accompagna nella visita alla città, spazientendosi a ogni nostro indugiare: all’Hotel Dieu (che ci offre il primo spunto per parlare di Van Gogh); alla Place de la Republique, sistemata da Luigi XIV nel 16° secolo; alla cattedrale romanica di S. Trophime (bellissimo portale, interno gotico); alla Place du Forum (dove si affaccia l’affollato Café Van Gogh); al Teatro romano, che non visitiamo, e nei pressi del quale fu ritrovata, secoli addietro, la Venere di Arles, oggi conservata al Louvre; e all’Anfiteatro, costruito solo dieci anni dopo il Colosseo, e che oggi ospita le corride – cruente e non – della Camargue.

Si ritorna al pullman, dando un’ultima occhiata al fiume Rodano, che scorre maestoso ai bordi della città , e proseguiamo nella campagna che affascinò Van Gogh. Ci sorprende la scoperta di Glanum, antica città romana, con Les Antiques, poderose costruzioni di raffinata fattura marmorea (mausoleo per la gens Iulia e arco trionfale), sul percorso che ci conduce a St. Paul de Mausole, ex-monastero riconvertito in ospedale psichiatrico, dove Van Gogh trascorse un anno tra il 1889 e il 1890, in cura, dipingendo molti capolavori . Qui visitiamo la chiesa, l’orto-giardino, il chiostro, la stanza occupata dall’artista.

Partiamo poi alla volta di Les Baux en Provence dove, nella Hostellerie della Reine Jeanne, facciamo un ottimo pranzo, prima di immergerci nella conoscenza del villaggio, arditamente arrampicato su uno sperone di roccia, nel mezzo di una natura incontaminata, geologicamente mediterranea e simile alla nostra, e cioè calcarea, con pini olivi e vigneti. Baux – ci dice Martine – viene da “balze”, ma anche da bauxite (che dà alla terra il caratteristico colore rosso). Dal castello, che fu roccaforte protestante, si domina dall’alto il grandioso panorama delle Alpilles; poi la cappella di St. Blaise e il piccolo museo dei Santoni, che espone una ricca collezione di pupi napoletani e statuine.

Di ritorno ad Arles Martine ci parla di Mistral, poeta di Arles, difensore della lingua provenzale e Nobel per la letteratura nel 1904 (secondo lei “più famoso di Daudet”). Rientriamo in città velocemente, costeggiando senza fermarci l’abbazia benedettina di Montmajour a Fontvieille e cancellando la visita al mulino di Daudet , per consentire a Ivan di reperire un pezzo elettronico necessario al pullman. Ad Arles abbiamo tempo libero per una sosta che ognuno di noi impiega a piacere, chi al bar, chi nei negozi, chi completando la visita della città romana con i Criptoportici, le Terme di Costantino, il Teatro.

Martedì 13
Lasciato il tanto vituperato Kyriad di Arles, ci attende una lunga traversata sino a Carcassonne. Oggi la stampa riporta la notizia di un incidente nucleare avvenuto ieri nella centrale di Marcoule, nei pressi di Avignone, quindi non poi tanto lontano da noi. Non possiamo non interrogarci sul fatto, anche se la direzione minimizza precisando che l’esplosione ha interessato soltanto il magazzino di stoccaggio delle scorie , quindi si tratterebbe di cosa di lieve entità…
Nel percorso rasentiamo Sète, città natale di George Brassens, che ricordiamo con la sua vicenda umana e artistica e con le sue creazioni musicali. Anche oggi, giunti a Carcassonne, entrando per la porta Narbonnaise andiamo prima a pranzo, nel gradevole “La Marquière”, ricco di atmosfera, poi visitiamo la cittadella fortificata, cinta da possenti mura, che fu roccaforte dei catari, anche qui perseguitati dai poteri forti della Chiesa.

Un restauro (dovuto a Viollet-le-Duc nell’800) tanto perfetto da far sembrare finto il tutto ci riempie di ammirazione e ci riporta indietro nel tempo di molti secoli. Però, se avessi la bacchetta magica vorrei restituire al luogo una meritata dignità storica offuscata dal proliferare di masse turistiche sciamanti per le stradine da un negozio all’altro alla ricerca di souvenir! Iniziamo il giro dalle Lices (spazio tra le due cinte murarie) poi entriamo dalla porte Narbonnaise e saliamo al Castello. Finito il giro, visitiamo la cattedrale di St. Nazaire, dove ascoltiamo alcuni brani di musica corale russa eseguiti da un gruppo maschile.
Il nostro peregrinare termina all’Hotel Bristol nella città bassa di Carcassonne. Cena seguita – per una parte di noi – da passeggiata verso il fiume, per ammirare, dal Pont Vieux, il magnifico profilo della città vecchia illuminata. Notiamo, dal parapetto, la sagoma di un animale che si muove velocemente nella corrente del fiume, poi emerge sotto la spalletta del ponte. Ci chiediamo a lungo se si possa trattare di una nutria, o di un castoro; quando glielo racconteremo, Ginevra raffredderà le nostre fantastiche congetture: di certo si tratta di un topone di fogna!

Mercoledì 14
Giornata dedicata ai catari. Mentre andiamo verso Montségur, ultimo baluardo della resistenza catara nella regione che stiamo visitando, Lucia commenta due volumi scritti sull’argomento, quello di Simone Weil “I càtari e la civiltà mediterranea” e quello di Paolo Lopane “I catari. Dai roghi di Colonia all’eccidio di Montségur”. Quando arriviamo alla base del castello, edificato nel 13° secolo su uno sperone di roccia a milleduecento metri di altitudine, la nostra guida, Fabrice, ci annuncia che salirà in cima ad attenderci per parlarci della storia del castello, e della strenua resistenza e della capitolazione e messa al rogo dei catari nel 1244, . Ma a salire saremo soltanto in nove, perché la strada è faticosa e la fitta nebbia non permette di vedere la cima. Gli altri ci aspettano giù, al paese.

Fabrice ci mostra l’interno del castello, ormai rudere, presentandocelo come una conchiglia vuota, per farci immaginare la complessa struttura lignea che lo riempiva ; ci indica le feritoie, dalle quali ad ogni solstizio d’estate il sole penetra, cosa che ha dato luogo a leggende come quella di un tesoro nascosto dei catari, facendo ritenere il castello di Montségur luogo esoterico. Nel frattempo la nebbia si è diradata e possiamo ammirare dall’alto il magnifico spettacolo della vallata, con i villaggi adagiati sul fondo. Il castello che noi vediamo oggi fu ricostruito dopo la fine dei catari, definitivamente abbandonato nel 16° secolo e solo nell’ottocento restituito alla memoria collettiva grazie a Napoléon Peyrat e ai suoi studi sulla storia del catarismo (Histoire des Albigeois, 1870).
Dopo l’ottimo pranzo, consumato nell’Auberge de Montségur, abbiamo un po’ di tempo per dare un’occhiata al piccolo museo del villaggio, poi ripartiamo per visitare l’abbazia di St. Hilaire, sulla strada per Perpignan, attraverso paesaggi di grande fascino (Graziella commenta: sono proprio questi i paesaggi che hanno fatto definire questo paese la “douce France”. La meta – si tratta di un fuori programma – è molto gradevole: qui ci accoglie una vivace giovane signora dalla gestualità teatrale e con lei visitiamo la chiesa (con il sarcofago di S. Saturnino, del XII sec., attribuito al Maestro di Cabestany; un altare decorato con marmo rosso di Carcassonne – lo stesso usato per il Petit Trianon di Versailles – e un retablo policromo del XVII ), il chiostro, con pulpito non visibile ai fedeli; la sala capitolare con soffitto splendidamente affrescato; la cantina (sembra che i monaci benedettini nel ‘500 abbiano scoperto in questa regione il metodo di vinificazione della Blanquette de Limoux ben cento anni prima della scoperta dello champagne!!!).

Stasera la cena nel nostro albergo a Carcassonne sarà rallegrata – per gentile iniziativa di Clara – da un brindisi generale con Blanquette di St-. Hilaire! Dopo cena, sedendo davanti all’albergo, sulla panchina ai bordi del canale, conosceremo Claudia, una passante che si avvicina al nostro gruppo e ci racconta di sé, in una mescolanza di francese e dialetto trevigiano.

Giovedì 15
Lasciamo Carcassonne alla volta di Tolosa, capoluogo della regione del Midi-Pyrénées dove ci attende Isabelle Barberis, graziosa e vivace, molto preparata, che ci porta in giro per la città, la “ville rose” per il caldo tono rosato dei suoi palazzi.

Visitiamo la bellissima basilica romanica di St. Sernin (Saturnino), importante tappa per i pellegrini diretti a Compostela poi, attraverso rue du Taur (su cui prospetta la bella chiesa di Notre Dame du Taur, dalla facciata – muro – campanile molto particolare per il suo slancio piatto e verticale che fece dire a un bambino – così ci racconta Isabelle – “Madame, si può dire che questa chiesa è magra”) raggiungiamo il cuore della città, Place du Capitole: il Municipio all’interno contiene anche il Teatro dell’Opera (grande tradizione musicale a Tolosa), e il pavimento ha fregi con la croce di Tolosa e i segni zodiacali. Poi, attraverso Rue Gambetta, andiamo a visitare Les Jacobins, monumento gotico eretto dai Domenicani, con l’indimenticabile soffitto a “palmiers”, di straordinario effetto scenografico, esaltato dalla sistemazione di uno specchio che ne moltiplica all’infinito le linee. Costeggiando la Garonna, ci spostiamo per riprendere il pullman che ci porta al bateau-restaurant sul canal du Midi: a lungo e lentamente ne percorreremo le anse ammirando la geniale struttura ingegneristica del ‘600, capolavoro di Pierre-Paul Riquet – vero campione dello spirito occitano – e degustando le prelibatezze francesi.
Per completare il giro, andiamo a vedere il Museo des Augustins, ricco di pittura e scultura (specie romanica) poi lasciamo il centro per la periferia dove – anche stavolta – si trova il nostro albergo, l’All Seasons, aperto di recente: modernissimo e colorato, ha una sala da pranzo in technicolor, con prevalenza di verde pisello e viola melanzana, e offre connessione Internet gratuita nonché un delizioso angolo attrezzato per i più piccoli. Stavolta, a cena, è Ginevra a offrire Sauternes e cioccolata per concludere degnamente la serata.

Venerdì 16
Poco, troppo poco, è dedicare mezza giornata soltanto a Albi, con tutte le bellezze che racchiude. Ma tant’è, dobbiamo accontentarci, e soprattutto rigare diritto per evitare di essere bacchettate dalle nostre guide se tardiamo trattenendoci nelle toilettes (o – peggio – nei negozietti mentre loro sono impazienti di spiegare). Sabrina (bruna, alta, elegante nel sobrio abitino in gabardine grigio con borsa dello stesso colore) è la nostra guida. La mole minacciosa della cattedrale di S.te Cécile ci si para dinanzi:è simbolo sin troppo plateale della violenta repressione cattolica nei confronti degli “eretici” . Ma è bellissimo anche l’interno, con lo Jubé, gli splendidi affreschi che raffigurano i sette vizi capitali, e il magnifico coro ligneo. Segue poi la visita al museo dedicato a Henri Toulouse-Lautrec nella sua città natale. Attraversata la città con i suoi bei palazzi gotici e rinascimentali, si va a pranzo.

Il viaggio prosegue per la visita al Santuario di Notre Dame de Rocamadour, in posizione arditamente elevata, e dal quale si domina un magnifico panorama. La nostra guida (è una signora dai capelli corti, brizzolati, ottimo eloquio francese) ci dà notizie sulla storia del luogo; qui vennero a rifugiarsi i protestanti dopo la strage di S. Bartolomeo, ma oggi è soprattutto il culto della Madonna Nera, protettrice dei marinai, ad aver fatto di Rocamadour un luogo di pellegrinaggio “minore”, una deviazione nel percorso verso Compostela. E quando qualcuno dei nostri nomina i catari la signora fa la faccia stupita perché a suo dire il termine non è esatto e oggi viene usato solo dai tedeschi; lei non lo accetta, preferisce “albigeois” o “vaudois” (sic!). Andiamo a vedere la piccola statua della madonna nera, prima in copia poi in originale ; l’insieme delle cappelle è interamente ricostruito, di un romanico virato in neogotico.

Di Francis Poulenc ascolteremo poi in pullman una registrazione delle Litanies de la Vierge Noire, che al musicista furono ispirate durante un lungo soggiorno a Rocamadour, dove si era ritirato in un periodo molto difficile della sua vita. Per concludere, facciamo una veloce incursione collettiva con l’ascensore nel piccolo suggestivo borgo medievale – un’unica via incastonata tra le rocce.
Proseguiamo attraverso il Périgord, sino a Sarlat-la Caneda, senz’altro uno dei più bei borghi in assoluto incontrati nel viaggio. Valige in albergo – veloci – cena nel ristorante “Le bistro de l’Octroi”, molto gradevole; e per chiudere un giro nel centro storico, bellissimo e straordinariamente intatto.

Sabato 17
Ripartiamo da Sarlat con buone impressioni del paese – oggi animatissimo per lo svolgersi del mercato – e del nostro albergo (Hotel de Compostelle, nel quale ci siamo trovati benissimo grazie all’ospitalità squisita del giovane hotelier). Nostra meta è oggi Lascaux, con le sue grotte preistoriche ricostruite alla perfezione. Lungo la strada facciamo una sosta a Montignac, nella valle della Vézère, con un lungofiume molto carino.

Poi alle grotte, protette dall’UNESCO per la loro straordinarietà, arte parietale del Paleolitico, “cappella sistina della preistoria”: restiamo sconcertati nel trovarci di fronte un falso, una riproduzione perfetta , ma anche ammirati di fronte all’abilità francese nel valorizzare il proprio patrimonio.
Il ritorno a Sarlat per il pranzo, d’altra parte molto apprezzato, nel “Quatre Saisons” in pieno centro storico, ci costringe poi a saltare la visita alle Caves Hennessy di Cognac, per raggiungere in tempo ragionevole – e si tratta di una traversata di diverse ore – la meta di pernottamento, che è l’Hotel Mercure di Chatelaillon Plage, località sulla costa atlantica a poca distanza da La Rochelle, che visiteremo domani. Anche stasera si va a cena senza indugio: ci attendono le cozze “mouclade”, fatte alla maniera atlantica, a base di crema di latte e pineau, (una via di mezzo tra vino e cognac). Il clima è improvvisamente cambiato: il vento freddo e impetuoso che soffia dall’oceano ci induce a restare al calduccio limitandoci a spiare l’esterno attraverso le vetrate. Stasera sarà un po’ difficile organizzare la consueta uscita serale del dopo cena!

Domenica 18
Al risveglio, la sorpresa dell’arcobaleno che rivedremo più volte nella giornata: siamo in pieno clima atlantico, mutevole quant’altri mai. Nei pressi del vecchio porto di La Rochelle – dominato dalle fortificazioni di Vauban – incontriamo la nostra guida, Anna Maria Spano, romana da 24 anni residente a La Rochelle, bravissima, preparatissima e simpatica. Attraversiamo la città, costeggiando il mare, punteggiato di barche, e il quartiere St. Nicolas, quello dei marinai: la vita di La Rochelle si è sempre mossa intorno al porto, come Genova, Venezia ma a differenza di quelle (repubbliche marinare autonome) La Rochelle restò sotto il controllo del re di Francia. Costeggiamo il quartiere di La Pallice e la vecchia base sommergibilistica tedesca, finché raggiungiamo il ponte che congiunge alla terraferma l’Ile de Ré: luogo incantevole, dalla natura incontaminata.

Non sorprende che qui abbiano scelto di aver casa il politico Jospin e l’attore Piccoli. Anna Maria ci mostra le colture di ostriche (che qui, grazie a un fitoplancton speciale, pare siano molto gustose) e le saline; le distese di salicornia (che qui mettono sott’olio) e di felci (il cui nome latino – ratis – è all’origine del nome dell’isola); il lontano profilo costiero della Vandea e della “Venezia verde”; i villaggi; il Faro; la cittadella fortificata da Vauban con la capitale, St.Martin. Ci attendono, per il pranzo, al Domaine Les Grenettes, dove ci viene servita, tra l’altro, un’ottima zuppa di pesce fatta alla loro maniera, in sostanza un passato piccantino e profumato. Dalle aiuole intorno al ristorante portiamo via qualche seme di quelli che noi chiamiamo malvoni (e che qui chiamano “rose trémière”) e che porteremo alle amiche “pollice verde” rimaste a casa. Dopo pranzo, una bellissima passeggiata sul litorale oceanico dell’isola, tra un arenile che si distende a perdita d’occhio e i bassi scogli affioranti a riva pieni di sorprese in un lillipuziano mondo di cozze nere, gusci d’ostrica, oloturie e alghe di tutti i tipi; poi facciamo un bel giro nella capitale dell’isola, nell’incanto delle tranquille stradine bordate di fiori, nella chiesa gotica, nel porticciolo animatissimo. Ora lasciamo la nostra bella isola ventosa e torniamo a La Rochelle, che finalmente ci si offre in tutta la sua bellezza.

Oggi è domenica, si celebra la giornata del Patrimonio e le strade sono invase dalla gente per l’apertura inusuale di spazi storici; così ci mescoliamo ai locali entrando e uscendo da chiostri, atéliers d’arte, (c’è anche un interessante piccolo museo dell’ultima guerra con annesso bunker) insieme alla visita programmata ai luoghi storici. La Rochelle è luogo di memoria protestante ed è quindi la tappa conclusiva o quasi del nostro viaggio, per lo meno nel senso che abbiamo raggiunto il punto estremo del nostro andare da est a ovest.
Domani riprenderemo il nostro cammino all’inverso, da ovest a est.

Lunedì 19
Lasciata Chatelaillon Plage, attraversiamo il Poitou-Charentes; rasentiamo da lontano Cognac e l’enorme sagoma della fabbrica Courvoisier . Sosta tecnica a Roumaziéres, sulla strada, tra un bar (dove tutti giocano) e una boulangerie dove chi di noi entra scopre leccornie (pane buonissimo e squisite meringhe). Giunti a Limoges, veniamo imbarcati sul trenino turistico messo a disposizione dal locale Bureau du Tourisme: meglio che niente per avere un’idea generale della città, visto lo scarso tempo a nostra disposizione. Così, col naso per aria, suscitando al nostro passaggio anche qualche ilarità tra i passanti , penetriamo nel centro storico.

Dal trenino scendiamo nei punti più interessanti: rue della Boucherie con le belle case medievali, la cappella di St. Aurélien che custodisce nelle teche preziosi smalti della migliore tradizione limosina (già in pullman Graziella Belloli ci aveva fatto una bella lezione sulla porcellana di Limoges); la maestosa cattedrale di St. Etienne con un bel portale in stile gotico-fiammeggiante; l’Hotel de Ville circondato da un trionfo di aiuole fiorite. Anche la location del nostro pranzo è un luogo storico: la Gare des Bénédictins, in stile art déco; il ristorante ci offre prelibatezze francesi come i medaglioni di anatra con cuore di foie gras. Ripreso il nostro viaggio, attraversato il fiume Vienne, tra grandiosi paesaggi montuosi eccoci nel cuore della Francia, nell’Alvernia cantata da Brassens, e dopo tante ore di strada siamo a Lione, ultima tappa in terra di Francia.
Siamo al Best Western Charlemagne, e le peripezie non sono finite, ce n’è anche per il povero Ivan, che incontra molte difficoltà per parcheggiare convenientemente il pullman per la notte.
Dopo cena, l’allegra comitiva parte in metro alla conquista della Lione by-night, da place des Terreaux con l’Hotel de Ville al Teatro dell’Opera nel nuovo discusso look di Jean Nouvel .

Martedì 20
La visita guidata di Lione parte dall’alto, con la basilica di Notre Dame de Fourvière in stile eclettico, vale a dire che tutti gli stili vi sono rappresentati, e non un solo centimetro sfugge all’orgia decorativa. Tra la chiesa e la mole della “piccola Tour Eiffel” si apre sotto i nostri occhi il vasto panorama di Lione, attraversata da Rodano e Saona. Scendendo nel centro storico lasciamo sulla nostra strada l’antica Lugdunum (resti del Teatro e dell’Odeon) poi visitiamo la cattedrale di St. Jean, romanico-gotica, con l’orologio astronomico e le bellissime vetrate. Accanto alla facciata, suscita il mio interesse la romanica Manécanterie, che fu sede della scuola dei coristi a partire dal ‘400!

Un giro nelle stradine intorno alla cattedrale, infilandoci nei “traboules” (bellissimo l’antico Hotel de Gadagne), poi il gruppo torna in albergo per il pranzo mentre formiamo un gruppetto per continuare la visita, e attraversando la passerelle du palais de justice sulla Saona e alcune belle piazze (in una di queste, il Téatre des Celestins dove in ottobre va in scena Sophie Marceau in una piéce di Ingmar Bergman ) entriamo nel Muséè des Tissus, che vanta una straordinaria collezione di tessuti antichi, dalle sete lionesi ai tessuti italiani, inglesi, tedeschi e andalusi.
Ripartiti da Lione, lasciamo la Francia e dopo qualche ora, attraversato il confine, rientriamo in Italia. A Torre Pellice veniamo accolti nella spoglia semplicità della Foresteria Valdese: c’è qui uno stile comunitario, che consiste anche nello sparecchiare a fine pasto tutti insieme, e che ci fa subito sentire pienamente a nostro agio.

Mercoledì 21
Stamattina, accompagnati da Luca Pilone, referente della Comunità Valdese, visitiamo la sezione storica del museo Valdese, poi il tempio con l’aula sinodale, dove annualmente è tenuto il Sinodo, cioè a dire l’assemblea delle comunità valdesi.

Dopo il pranzo, facciamo un giro con il pullman nella val Angrogna, visitando, accompagnati da Adriano, autentico montanaro, i luoghi significativi della storia valdese in val Pellice: il coulege dei Barba, il monumento di Chanforan, il tempio, la grotta Gueiza ‘dla tana, la scuoletta quartierale degli Odin. All’ingresso della grotta notiamo una lapide che, ricordando il passaggio di Edmondo De Amicis, riporta una sua frase ammirativa. Poi, trasformandoci in provetti speleologi scendiamo per un quasi invisibile pertugio all’interno dell’ampia cavità, guidati da Adriano, che ci fa marciare come soldatini per gli erti sentieri di montagna, sferzandoci allegramente, non senza gesti e frasi di galanteria verso tutte (indistintamente) le signore del gruppo: Ma alla fine del giro ci venderà il suo miele e ci mostrerà la sua casa.
Al nostro rientro nella foresteria, c’è la cena, poi una tranquilla passeggiata di esplorazione del luogo.

Giovedì 22
Ultima tappa del nostro viaggio: la Fondazione Magnani Rocca a Mamiano di Traversetolo (Parma) dove – dopo il pranzo nel ristorante della Fondazione, visitiamo la mostra in corso, “Toulouse Lautrec e la Parigi della Belle Epoque” e la magnifica collezione permanente.
Pernottiamo a Parma, nell’Hotel Best Western Farnese. Dopo la cena, scopriamo che esiste la possibilità di raggiungere il centro città, per fare una passeggiata, chiamando il “Prontobus”, ovvero un autobus delle linee urbane che fa servizio a chiamata; e non manchiamo di approfittarne.

Venerdì 23
Ultima giornata, impiegata per il rientro a Bari, dove arriviamo intorno alle ore 20. Fine del viaggio.