5 novembre 2014

Benedetta Tobagi, Come mi batte forte il tuo cuore, Einaudi, 2009

di Isa Bergamini

Una grande testimonianza per un amore perduto ed un rigoroso documento sugli anni ’70, ricco di indizi anche per capire la storia del nostro paese in questi ultimi venti anni.
Molti gli interrogativi senza risposta, primo fra tutti è – come è potuto accadere? Quando ci siamo distratti ed è iniziato quel processo d’imbarbarimento? – Non si trovano risposte che possano giustificare, ma il libro della Tobagi è un serio contributo per cercare di capire, per cercare di non incorrere ancora nelle condizioni per cui si possa scatenare di nuovo una guerra come quella di quegli anni, dei figli contro i padri, una intera classe dirigente che ne fu travolta.
Nel nostro paese a parte la legge per i pentiti non ci sono state leggi speciali che mettessero in pericolo la democrazia, ma le conseguenze politiche e culturali in realtà hanno proiettato la loro ombra lunga sugli anni seguenti fino ad oggi. E non c’è stata alcuna elaborazione culturale di quanto è successo, per quanto complessa potesse essere. Sottolinea infatti Benedetta Tobagi, nell’esame di quegli anni, che molte delle ragioni che spinsero e determinarono la reazione di quei giovani ci sono ancora tutte e che in tutto questo tempo la politica allora come oggi, non ha saputo svolgere il suo ruolo.
Il libro, con una scrittura limpida e precisa, procede su due livelli che si intersecano, quello personale ed intimo che coincide con la morte di un padre, che è drammaticamente mancato nella vita della figlia, e quello pubblico che coincide con la vita e la storia appassionata del giornalista Walter Tobagi. Attraverso le sue pubblicazioni si stabilisce un fitto ed intenso colloquio fra i due, infatti Benedetta scrive “Ho intessuto un lungo dialogo a distanza con la voce di carta del giornalista Tobagi, un gioco segreto che ha reso lo studio degli anni Settanta più leggero.”
Da queste pagine viene fuori il ritratto di un Walter Tobagi vivo ed è come se sua figlia gli avesse fatto dono di un’altra vita.
In diverse occasioni Benedetta Tobagi sente il bisogno di chiarire il metodo che ha seguito per scrivere il suo libro, che non è certo un’autobiografia, ma come lei dice è un “contro-romanzo di formazione” con il quale cerca di riempire un vuoto, un’impronta, una traccia. Rimane in particolare al lettore la bella immagine omerica di Ettore che si sfila l’elmo per non spaventare il piccolo Astianatte ed il gesto tenero, affettuoso e lucido, che fa lei volendo sfilare a suo padre l’elmo della retorica postuma, quasi questa fosse una delle cure parentali al defunto secondo usi antichi, che una figlia doveva fare ad un padre.
E metodo certo è soprattutto quello della ricercatrice rigorosa quando apre quegli archivi, che denuncia essere ancora chiusi in parte, e ci racconta molto della storia del Corriere della Sera, il giornale per il quale suo padre lavorava e soprattutto la storia della P2, lasciando a noi di coglierne le proiezioni nell’oggi.

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di Elisa Cataldi

E questa è un’altra figlia! Ma se il padre di Ana Mladic rappresenta il male assoluto, il padre di B.T. è il bene assoluto. Poi, nel primo caso chi scrive non è la figlia, qui sì e la differenza è sostanziale!
Edipo Edipo! ….ma che succede se il rapporto col padre viene troncato in modo così violento e crudele nei primi anni di vita? L’assassinio del padre sotto gli occhi attoniti di una bambina di appena 3 anni… è la devastazione di tutto un mondo emotivo ed affettivo che durante gli anni si manifesterà in mille modi diversi, dall’apparente amnesia di difesa, al senso di colpa, al vano tentativo di rifuggire dalle emozioni fino al deserto affettivo.
Tante declinazioni diverse di un unico indicibile DOLORE (43).
Ma soprattutto l’impossibilità di confrontarsi nel reale con la mitica figura del padre tanto adorato ed idealizzato.
Finalmente, dopo tanto dolore (e, immagino, tanta analisi), lo sgomento viene indirizzato verso una ricerca storica, un’analisi attenta di tutta un’enorme mole di materiale prodotto da, e/o riguardante il padre.
BT, fiera di esserne figlia, sente il dovere, l’impegno di difendere e portare avanti le idee e gli insegnamenti del padre, la sua vera eredità (88) e si mette a studiare i documenti del “caso Tobagi” per ansia di sapere, di fare qualcosa, qualsiasi cosa per papà! (90)
B T non vuole “fare del padre un martire o un eroe” (perché…. 292), ma, in totale mancanza di contraddittorio, l’assoluta assenza di lati deboli rende la storia personale e professionale di W T, una biografia celebrativa dettata essenzialmente dall’amore filiale.
L’espediente di parlare del padre chiamandolo “Walter” e non “Papà”, non basta a riportare la narrazione da un piano soggettivo all’oggettività. Certamente il personaggio è quello che ci viene descritto, un intellettuale onesto, libero, indipendente, ma il fatto che chi scrive sia la figlia e per di più una figlia che soffre ancora tanto per la sua mancanza, toglie un po’ dell’oggettività storica, della necessaria distanza. Ma va bene così. Basta tenerlo presente!
La dimensione privata e quella pubblica di WT vengono prese in esame in modo capillare, puntuale, esaustivo. Articoli, libri, tesi, saggi, atti giudiziari vengono setacciati parola per parola, confrontati, organizzati. Un impegno ciclopico che ci rende un’idea molto verosimile di quelli che sono stati “gli anni di piombo”, dal ’68 fino al 1980, anno dell’assassinio di suo padre (95-98). Pagine e pagine piene di tutte le sigle dei gruppi extraparlamentari di sinistra e di destra con relativi “adepti”, delle tematiche predominanti in quegli anni, degli omicidi e delle violenze che si susseguivano incessanti. Pagine “di piombo”, claustrofobiche, difficili da comprendere e da mandare giù. Una miriade di responsabilità, di piste possibili, (203-4) l’analisi è esasperata, si sente il bisogno di una sintesi, di conclusioni, ma… le conclusioni non ci sono, non ci possono essere.
Ci sono archivi tuttora inaccessibili come quelli dell’Arma dei Carabinieri, c’è che si parla di fatti relativamente recenti, non ancora sedimentati nella memoria storica, c’è che chi si sta aggirando in questi meandri è troppo coinvolta e all’epoca, era troppo piccola quindi si deve accontentare di quello che legge o che altri le raccontano.
Il lettore sta per essere preso dallo sgomento, dalla confusione, quando è la stessa scrittrice ad ammettere che la composizione del mosaico è impossibile, resta comunque importante lasciare a disposizione tessere singole ben pulite, ordinate e chiare!!! (277) Qualcun altro un giorno lo farà! L’ultima parte del libro per me è stata la più bella, quella che ho “sentito” di più perché parla di aspetti più privati, più umani.
Sul finire, ci sono le pagine più poetiche ed emotivamente coinvolgenti con le quali Benedetta dedica questo libro frutto di anni e anni di febbrile ricerca, al padre compianto ed amatissimo. Missione compiuta! Non si può leggere la lettera di Benedetta a suo padre (299) senza commuoversi, è bellissima, come bellissima era stata la lettera di Walter a Maristella, la sua amatissima moglie (135): due vertici impareggiabili di amore e di poesia.
Nonostante il limite al quale accennavo all’inizio, si tratta indubbiamente di un libro scritto benissimo, un libro importante, di quelli che ti aiutano a capire!