20 dicembre 2014

Azar Nafisi, Leggere Lolita a Teheran, Adelphi, 2014

di Amalia Mancini

E’ strano verificare quanto valore abbia la lettura e quanta forza creativa siano capaci di sprigionare un gruppo di donne che decidono di riunirsi per discutere di libri e letteratura. Formano un cerchio magico che improvvisamente le avvolge e le coinvolge, rendendo questa esperienza unica e irripetibile.
Se poi questo accade in un paese dove la libertà è privilegio solo dei maschi, come in “Leggere Lolita a Teheran”, si avverte allora tutto il peso del burqa e delle ali tarpate alle giovani intellettuali iraniane. Ti accorgi di quanto siamo fortunate a essere nate nella nostra penisola mediterranea, di quanto sia importante la geografia, oltre che la storia, naturalmente.
La difficoltà di essere donna a Teheran si scontra violentemente con il nostro esserlo in Europa, dove persistono comunque ancora retaggi di una cultura passata, emarginazione e frustrazioni di altro tipo.
“Leggere Lolita a Teheran” di Azar Nafisi ci proietta in questo mondo in cui il genere femminile viene considerato inferiore e le donne sono costrette a subire violenze di ogni tipo se trasgrediscono la legge islamica. Malgrado le limitazioni, nel silenzio delle pareti domestiche dell’appartamento della professoressa Nafisi, sette donne si incontrano per discutere di Nabokov, James, Jane Austen, Fitzgerald. In quel salotto ci si spoglia di ogni impedimento culturale, quale può essere il burqa o chador, si ritorna a essere persone pensanti con addosso solo i propri saperi, la propria cultura. Senza ripudiare l’islam sano delle Mille e una notte, ma dibattendo di opere come Lolita o Orgoglio e Pregiudizio. L’autrice usa il dialogo come strumento di conoscenza, di approccio, di incontro con le sue amate studentesse aiutandole nel difficile percorso di crescita e di adattamento a un mondo ostile a loro, che le vorrebbe tutte omologate ai modelli imposti dal regime, condannandole a un futuro di infelicità e sottomissione.
La Nafisi ama il suo paese, ha vissuto in tempi migliori in cui insegnava all’università e cerca di resistere al sopruso finché le è possibile. La lettura e i libri sono l’unico strumento per fuggire ad una realtà diventata irrespirabile e invivibile. Allora l’unica salvezza è l’immaginazione: davanti alle macerie bisogna inventarsi un violino che le salverà. Sentirsi unite, solidali di fronte alle molteplici avversità che emergono dalle singole storie delle sue studentesse, leggere e confrontarsi con i protagonisti dei romanzi, aiuta a capire e a capirsi, trovare la forza per fare delle scelte coraggiose, dolorose. E’ un percorso di crescita e di emancipazione, singolare.
La vita si intreccia alle letture e si proietta per le strade di Teheran dove si nascondono i pericoli per chi si considera una donna libera, ma di fatto non lo è, non lo può essere a Teheran.
Partire diventa l’unica soluzione di sopravvivenza “ anche se dei ricordi come della vergogna non ci si libera partendo.”