3 novembre 2020

Gesualdo Bufalino, Le menzogne della notte, Bompiani, 2019

di Elisa Cataldi

Difficilmente ascrivibile ad un preciso genere letterario – “fantasia storica” ?– difficilmente collocabile in un’epoca ed un luogo precisi, il Lettore ha, fin dalle prime pagine, la certezza di trovarsi di fronte ad un’opera letteraria di altissimo livello. In una lingua che lo scrittore mostra di padroneggiare con grande maestrìa  adattandola ai tempi e ai luoghi dei quali vuole narrare (quasi unico indizio di questi), il Lettore è subito affascinato da una straordinaria gradevolezza, quasi una musicalità che lo accompagna fino all’epilogo.

Quattro condannati a morte per motivi politici, su proposta di un quinto condannato, frate Cirillo, impiegano le loro ultime ore a raccontare l’episodio della vita che li ha resi più felici. Ne vengono fuori 4 narrazioni diverse (quasi un Decamerone notturno), che confluiscono nell’unica tetra cornice dell’attesa della morte. Per ognuno dei quattro l’espediente risulta in effetti l’occasione per una profonda analisi interiore, ognuno appare alle prese con la propria identità, con la frantumazione di un IO sfuggente ed enigmatico, ma sempre in modo molto sfumato, incerto tra la memoria e il sogno, fra il vero e il falso. E questa ambiguità, vera cifra di tutto il romanzo, ci accompagna fra continui spiazzamenti  e slittamenti di senso,  fino alla fine  in cui solo nelle ultime 10 pagine avviene un colpo di scena che cambia l’interpretazione di tutto.

Da questo momento al Lettore viene proposto il dubbio, il sospetto, la perenne ambiguità tra buonafede ed impostura, la sostanziale coincidenza tra l’essere e l’apparire. Da questo momento viene fornita una nuova chiave di lettura con la quale ognuno può reinterpretare tutto ciò che ha letto fino a quel momento, a cominciare dalla dedica “A noi due”. Noi due chi? Lui e una donna? Lui e il Lettore? Un omaggio o una sfida? Un finale aperto che lascia spazio alle riflessioni e al giudizio di ogni lettore.

Grande, grande, grande Bufalino. “Mastro don Gesualdo”, come lo chiamava Sciascia.

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di Roberta Ruggiero

Fantasia storica, in cui il Lettore è coinvolto.

Un grande Bufalino trasferisce mirabilmente la sua cultura e i suoi interessi nel libro. L’ambiguità è il tema di questo” Decamerone notturno” in cui, per molte di noi, la Sicilia è i suoi Autori entrano di prepotenza.

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Breve nota a cura di Isa Bergamini dopo l’incontro del gruppo di lettura

La discussione è stata particolarmente ricca di approfondimenti e in particolare è stata messa in evidenza l’eleganza della lingua e la profondità della cultura che attraversa queste pagine, sono state inoltre sottolineate le relazioni di Bufalino con autori quali i conterranei Pirandello e Camilleri, e anche in particolare Borges, Leopardi e per alcuni versi Durrenmatt, oltre ai numerosi riferimenti al mondo della musica e del cinema.

Si è detto che molti temi che attraversano il testo, sono propri della letteratura del ‘9oo sia per la filosofia di fondo che li anima, sia per le modalità della narrazione nel suo avvicinarsi alla verità per poi con uno scarto improvviso allontanarsene, nel labirinto del racconto di vite che si affacciano su un palcoscenico che si può definire barocco.