2 Maggio 2023

Guadalupe Nettel, “La figlia unica”, Ed. La Nuova Frontiera, 2020

proposto da Rosa Giusti

di Rosa Giusti

Contraddicendo una prosa  scorrevole, asciutta, scientifica, asettica ed estremamente razionale, i fatti raccontati in prima persona dall’autrice (siamo nella Città del Messico dei nostri giorni) sembrano accadere al di fuori di ogni controllo e previsione.

Alina, l’amica del cuore della narratrice Laura, partorisce  una bambina destinata, secondo i medici, a morire al momento della nascita. E invece la neonata Inès sopravvive e si evolve, nonostante i gravissimi deficit cerebrali. Alina “si tuffa in un amore abissale, illogico, incomprensibile” e la cura in modo esasperato, scoprendosi  una persona diversa da quella che credeva di essere. L’autrice,  la segue in questa tragedia, passo passo, senza modificare mai il suo stile di scrittura e dando perciò,  ad alcuni lettori, un’impressione generale di superficialità.  Accanto a questa maternità “unica”,  la Nettel dà spazio ad altre storie di relazione madre-figlio: a quella di Laura con sua madre, molto nella norma se  riferita alla  generazione precedente, con caratteristiche di dedizione assoluta alla prole e conseguente rinuncia ad ambizioni lavorative; a quella con Nicolas, una forma di maternità non biologica. Il bambino, casuale vicino di casa, è oppresso da un grave disagio familiare e ha sintomi rilevanti di malessere. Laura, con delicatezza e tatto, anche prendendosi cura della di lui madre,  lo accudisce, lo ascolta, gli propone attività interessanti;, a quella della baby sitter di Inès, che si comporta con eccezionale competenza e si attacca visceralmente alla piccola, per colmare i suoi personali bisogni affettivi, rasentando una relazione  patologica; alla genitorialità nel mondo animale, rappresentato dai piccioni che hanno nidificato sul terrazzo di Laura e che covano e allevano con uguale diligenza i loro pulcini e un “alieno”, un cuculo che, come si sa, non riesce a non procreare, ma delega ad altri l’impegno della cura (parassitismo di cova).

In coda al romanzo si può vedere, oppure no, un  accenno alla formazione di quella che, secondo una terminologia in voga, si definirebbe  “nuova famiglia”, ovvero  due madri gay, Laura e la madre di Nicolas, che segnano un’altra maniera di essere genitori. Tutto è  all’insegna dell’imprevedibilità degli eventi. Solo i tarocchi che Laura ama consultare, paiono saper prevedere…  I personaggi del libro sono perciò costretti a sempre nuovi adattamenti e a rivedere il senso stesso dell’esistenza.

Il Messico del romanzo, modernissimo e avanzato, sulla scia del modello statunitense, lascia fuori i gravi problemi, anche sanitari, delle disuguaglianze sociali e della piaga del narcotraffico.  Superficialità? Semplicemente, la Nettel ha rappresentato il “suo” mondo focalizzandosi su temi che ha ritenuto interessanti e che effettivamente sono oggi estremamente sensibili, anche nel nostro paese.

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Breve nota a cura di Tonia Lamanna dopo l’incontro del gruppo di lettura

Il libro ha suscitato alterni giudizi che hanno comunque attivato, tra le componenti del gruppo di lettura presenti, una discussione interessante ed un confronto vivace. Da tutte lo stile narrativo è stato descritto – ma diversamente apprezzato – lieve, “scioglievole”, leggero, nell’affrontare argomenti anche profondi e dolorosi, ma per alcune l’Autrice messicana è risultata decisamente poco rappresentativa di una letteratura latino-americana attesa come maggiormente “identitaria”. E’ stato citato in merito il giudizio di Julio Cortazàr che indica soprattutto nelle raccolte di Racconti il carattere nazionale della produzione letteraria di Guadalupe Nettel. Per altre invece la scrittura è apparsa legittimamente quella di una Autrice relativamente giovane, cosmopolita, integrata nella vita di una città moderna – capitale della sua nazione, il Messico – segnata dalle tante contraddizioni sociali, culturali, professionali e istituzionali, tipiche di un mondo ormai globalizzato.   

Il tema inizialmente individuato come emergente è stato quello della genitorialità/maternità, declinato nelle varie forme caratterizzanti i diversi personaggi femminili, percepiti  – da chi ha colto nel romanzo un intento prevalentemente saggistico – come paradigmatici di categorie psico-sociologiche: Laura (l’io narrante della vicenda alterno al racconto in terza persona) che ha rifiutato radicalmente di generare figli; Alina l’amica che sceglie caparbiamente di averne, ricorrendo anche alla fecondazione assistita; Doris, la vicina di casa, “madre per caso” depressa; la madre di Laura segnata dal rispetto del ruolo tradizionale subìto di moglie e madre di famiglia; Marlene la bambinaia inizialmente definita “patologica” e poi meglio inquadrata nel fenomeno del “parassitismo di cova” che l’Autrice aggancia alla sua diretta esperienza domestica del nido di colombi “usurpato” sul suo balcone dall’uovo del cuculo. L’accudimento altrettanto sollecito e disinteressato da parte della coppia di volatili nei confronti del piccolo “diverso”, da lei osservato e descritto nel romanzo, introduce nel gruppo di lettura riflessioni significative sulle molteplici forme di affiliazione tra quelle culturalizzate piuttosto che “naturali”. Il riferimento al mondo animale ha quindi fatto emergere la differenza tra maternità biologica e relazioni familiari non “di sangue”: come il singolare rapporto di affetto e complicità che progressivamente s’instaura tra Laura e l’inquieto e sofferente Nicolas, figlio di Doris; il tema dell’accudimento come accoglienza e accettazione coraggiosa e incondizionata della alterità; la genitorialità come percorso di crescita, trasformazione e conoscenza di sé; la solidarietà e la forza delle coppie ma soprattutto delle donne  che condividono esperienze di vita e si sostengono vicendevolmente nella condizione complessa della cura e crescita dei figli, soprattutto di quelli “unici”, speciali – per motivi psico-fisici o genetici – come nel caso della piccola Ines del racconto.

Il tema della “sorellanza” si è quindi aggiunto al dibattito collettivo: donne che fanno “squadra” per scendere in piazza e protestare contro le violenze sessiste di una cultura messicana fortemente machista; donne, in maggioranza, le professioniste coinvolte in tutti i luoghi di cura frequentati dalla coppia Alina-Aurelio in cerca di risposte ai bisogni  “eccezionali” della loro bimba Ines. Donna è anche la persona che alla fine del romanzo sembra toccare le corde  erotico-sentimentali più intime di Laura: una forzatura per qualche lettrice del gruppo, per altre un’apertura ammiccante ad un’ulteriore probabile scelta anticonformista del personaggio “Laura”. Un personaggio contraddittorio, il suo, questo sì tipicamente “messicano”, che fin dall’inizio appare oscillante tra opzioni esistenziali estremamente razionali, volontaristiche, ipercontrollanti le proprie scelte di vita  e la propria fertilità (fino al legamento delle tube per sottrarsi a qualsiasi casuale procreazione), credenze divinatorie  ataviche e irrazionali (affida alla cartomanzia dei Tarocchi la previsione del futuro della sua amica Alina) e l’attrazione per la provvisorietà del vivere  scoperta e apprezzata durante i suoi numerosi viaggi in Oriente a contatto con la dottrina buddista dell’impermanenza.

Per questo motivo il romanzo è apparso ad una buona parte delle lettrici espressione di una letteratura al femminile per un pubblico femminile – col rischio di una forte deminutio dell’afflato universale – in quanto enumera, con un linguaggio più accattivante che profondo, una serie di problematiche d’attualità di facile presa su un vasto pubblico popolare (tanto da essere definito un’opera pop) “al femminile”. Nel confronto con il pathos delle opere di Antonella Lattanzi e Ada d’Adamo dedicate alla maternità e alla nascita di figli con disabilità, l’approccio di Guadalupe Nettel è stato percepito perciò meno vissuto interiormente e meno convincente. Per qualche altra lettrice il richiamo ad  esperienze personali già vissute e storicamente ampiamente superate ha lasciato  sentimenti di insoddisfazione e complessiva delusione tanto da dedicarsi durante la lettura ad un’analisi prevalentemente formale, di tipo “architettonico”, del testo rappresentato come una serie di cubi all’interno dei quali guardare ma non comunicanti tra di loro…in questo richiamandosi alle suggestioni del saggio Il grande museo vivente dell’immaginazione di Matteo Pericoli.

In conclusione è stata riconosciuta, come filo conduttore complessivo del testo, la valorizzazione della forza vitale e superiore dell’amore che, declinata nella dimensione plurale e solidale dell’amicizia, vince la morte, risveglia l’energia positiva dei diversi personaggi e li muove spesso in modo incoerente, oscuro, illogico verso il superamento del dolore, della sofferenza fino all’accettazione senza riserve dell’imponderabile rischio del “venire ed essere” al/nel mondo. 

Nel corso dell’incontro sono stati citati:

  • Guadalupe Nettel, Petali e altri racconti scomodi [Pétalos y otras historias incómodas], in Liberamente, traduzione di Federica NiolaRomaLa Nuova Frontiera, 2019 [2008] 
  • Guadalupe Nettel, Bestiario sentimentale. Racconti [El matrimonio de los peces rojos], in Liberamente, traduzione di Federica Niola, Roma, La Nuova Frontiera, 2018 (2ª ed.) [2013]
  • Antonella Lattanzi,  Cose che non si raccontano, Torino, Einaudi, 2023
  • Ada D’Adamo, Come D’aria, Roma, Elliot, 2023
  • Matteo Pericoli, Il grande museo vivente dell’immaginazione. Guida all’esplorazione dell’architettura letteraria, Milano, Il saggiatore, 2022

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