10 ottobre 2023

Lorena Salazar Masso, “Il canto del fiume“, traduzione di Giulia Zavagna, Ed. Sellerio, 2023

proposto da Adriana Pepe

Breve nota a cura di Teresa Santostasi dopo l’incontro del gruppo di lettura

Esta herida ilena de peces” (Questa ferita piena di pesce)

Malgrado la biografia di Lorena Salazar Masso sia breve per la giovane età dell’Autrice, nata in Colombia il 1991, questo suo romanzo di esordio è stato apprezzato e tradotto in diverse lingue. Esplora, con una scrittura fluida, una seducente cadenza musicale e crudezza realistica, problematiche che pongono diverse domande: la questione razziale, il tema dell’adozione e della maternità, dell’ambiente, la guerra civile in Colombia, la vita nella follia della violenza umana, in un clima di crescente violenza. Si diventa “madre” soltanto se si porta in grembo il proprio figlio? Salazar dà voce ad una madre adottiva, bianca, e alle sue riflessioni durante il percorso lungo il fiume Atrato, attraversando la Colombia per portare il figlio adottivo, nero, a conoscere la madre biologica e molto probabilmente, a lasciarglielo. A scegliere, comunque, sarà il bambino! Qualcuna ha posto a confronto la macchinosa burocrazia europea per le pratiche di adozione e la apparente “semplicità” delle soluzioni sudamericane che considerano l’adozione di bambini come “figli dell’anima”. Ma si è anche osservato, con qualche perplessità, che ne “il canto del fiume” la maternità è vissuta tragicamente. Ne è un esempio l’episodio dove la giovane madre muore di parto insieme al suo neonato. Qualcuna ha associato il racconto all’opera teatrale di B. Brecht “Il cerchio di gesso del Caucaso” (1944/45) ispirata da un’antica leggenda orientale, dove due donne, madre biologica e balia, si contendono un bambino che, alla fine, il giudice assegnerà alla balia che, per amore del bambino inscritto dal giudice in un cerchio di gesso, preferirà arrendersi piuttosto che fargli del male. Si è notato che l’io narrante, la madre adottiva, non ha bisogno di chiamare per nome il bambino, è il suo bambino! Bella la recensione di Monica Acito in “L’altra madre” (10/10/2023) che parla del “Canto del fiume”, come di un romanzo che “inganna” il lettore facendogli credere che per respirare non servono polmoni, ma branchie! La scrittura di Salazar, osserva Acito, “antropomorfizza il fiume, dandogli fianchi e seni e denti di foglie; la madre ed il bambino diventano creature con le squame, nate dal letto del fiume”. Il fiume di per se è un potente simbolo di vita, che qui, associato al viaggio, acquista dimensione di personaggio; il contrasto tra la lentezza del fiume ed il sentimento crescente della paura sono l’espediente per non arrivare mai a destinazione.  E’ stato sottolineato da tutte il legame di sorellanza che si stabilisce con le altre donne, la passeggera Carmen Emilia, la rude capitana del battello, nera come suo figlio e la madre biologica, Gina, che l’amore per il bambino unisce. Salazar lascia al lettore la capacità di immaginare, permettendogli di ricostruire ciò che l’Autrice racconta.  Il canto tradizionale di un alabao chiude il romanzo dove il viaggio più lungo sembra essere quello della maternità.