27 Febbraio 2024

Fernando Aramburu, “Figli della favola”, traduzione di Bruno Arpaia, Guanda, 2023

proposto da Elisa Cataldi

Di Elisa Cataldi

La storia di due giovani baschi, Asier e Joseba, che, ventenni, vengono mandati dall’ETA in una fattoria francese, in cui si allevano galline, ad addestrarsi alla lotta armata. Lì però vengono dimenticati anche quando dall’ottobre 2011 l’ETA viene definitivamente sciolta. Si snocciola quindi la narrazione esilarante e grottesca dei due “apprendisti terroristi” che, senza armi, senza soldi, mangiando sempre solo galline, sporchi ed affamati, senza conoscere una parola di francese, si ostinano a progettare attentati, ad inventare nuovi commandi armati, abbassandosi a tutti gli espedienti possibili pur di procurarsi denaro, cibo e, possibilmente, anche armi. Una lotta impari fra gli ideali e la nostalgia di casa e delle sue comodità.

La scrittura di Aramburu, la conosciamo è godibilissima, ma il romanzo che a prima vista appare comico, quasi picaresco, lascia alla fine una profonda amarezza non solo per la conclusione drammatica quanto, soprattutto per il ritratto desolante di questi due giovani, due amici alla disperata ricerca di un ideale da seguire, nel vuoto ideologico e affettivo che li circonda. Una gioventù senza prospettive, alla ricerca di un’appartenenza. Convinzioni elevate (gioventù, energia, fede) a fronte di una motivazione inesistente. Due incoscienti, illusi e patetici, inconsapevoli della portata delle proprie azioni (per fortuna solo progettate e mai realizzate), privi di valori e di cultura.

L’autore sottolinea impietosamente la povertà intellettuale dei due (la strage dei congiuntivi !!!), suggerendo a cosa avrebbero dovuto dedicarsi piuttosto che bighellonare per fantomatiche lotte armate!! Le tematiche sono le stesse dell’indimenticabile “Patria”: la lotta armata, i giovani, perfino la pioggia incessante. Qui però il tenore non è più drammatico, bensì satirico e canzonatorio. Lo scrittore prende in giro il terrorismo e chi lo pratica, l’ideologia fanatica e violenta che legittima il crimine. Descrive il male come frutto di stupidità.

Dall’ottobre 2011 l’ETA , in quanto lotta armata è finita. Da quel momento si è imparato (speriamo definitivamente) che i conflitti sociali si risolvono nelle sedi istituzionali, non per le strade a colpi di arma da fuoco! E nello stesso tempo, Aramburu ha un profondo rispetto delle vittime. In un’intervista che lo scrittore ha rilasciato al giornale “La Repubblica” nel luglio 2023, in occasione della “Rassegna del libro possibile” tenutasi a Polignano (BA), Aramburu afferma che non avrebbe mai potuto usare questi toni comici e irriverenti se l’ETA non fosse finita e se i due protagonisti della storia in effetti, non avessero commesso alcun crimine. Nella stessa occasione, interrogato circa la sua opinione sulle responsabilità degli adulti nello smarrimento dei giovani, afferma che i giovani meritano affetto e rispetto. Non hanno colpa del mondo che gli abbiamo lasciato, inquinato, consumista e corrotto. “… li educhiamo male e poi biasimiamo la loro cattiva educazione. Forse sarebbe preferibile lasciare loro un esempio migliore !!!”.

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Breve nota a cura di Rosa Giusti, dopo l’incontro del gruppo di lettura

Sono subito emerse perplessità riguardo al valore di questo romanzo uscito subito dopo il – Patria – dello stesso autore, che ci aveva conquistate tutte. Alcune ne hanno apprezzato la prosa picaresca, ironica e scanzonata con cui vengono descritti i  due protagonisti ventenni baschi, scalpitanti in attesa di entrare a fare parte armata dell’ETA e decisi a lottare da soli quando l’ETA si scioglie. Richiami  per libere associazioni sono stati fatti a “Don Chisciotte e Sancho Panza”, all’”Armata Brancaleone”, a “Stanlio e Ollio”, e ancora al “Deserto dei Tartari” e ad “Aspettando  Godot”.  Elogi all’Autore per essere riuscito a far ridere sulle attività dell’ETA, senza tuttavia riuscire a produrre una satira graffiante.  E’ prevalso comunque il giudizio negativo su un’opera, si è detto, debole nella trama e perciò ripetitiva e noiosa, tale da  addormentare addirittura! Il confronto con “Patria” ha sicuramente nociuto ad Aramburu e se pure la sua “mission” (dichiarata apertamente da lui in alcune interviste) di contrastare l’ETA attraverso la  scrittura è stata da tutte apprezzata in generale, non si è potuto fare a meno di rilevare che nello specifico di “Figli della favola”, la forma letteraria del romanzo non è apparsa appropriata. L’opera tradisce l’evidente intento dell’Autore e ciò, artisticamente, ha costituito un limite.                                                               Nel il resto dell’incontro, il gruppo si è soffermato sull’analisi  dei protagonisti, emblema di un tipo di gioventù che, a tutte le latitudini,  si lascia facilmente adescare da organizzazioni mirate alla realizzazione di fini criminosi di varia natura, usando gli strumenti della violenza e del terrorismo e quindi uccidendo persone innocenti e inermi.  Aramburu  descrive i suoi terroristi in erba, non a caso, come persone ignoranti, prive di senso morale e di senso critico, per niente intelligenti.  Due ragazzi che non hanno prospettive di vita, non hanno legami affettivi saldi e, come bambini attratti dalle armi, vogliono “giocare alla guerra”, costi quel che costi, per  “salvare la patria”;  sostanzialmente per rifugiarsi in una struttura ed acquisire così un’ identità, per giunta, “eroica”.

Considerazioni personali, legate alla propria giovinezza e all’attualità,  hanno “riscaldato” la nostra discussione.  Ne è scaturito infine un senso di amarezza verso quella percentuale di giovani che, come i due eroi mancati di Aramburu, non ha scrupoli  nei confronti delle vittime, ma è in realtà vittima a sua volta e il sogno eroico si rivela un fallimento, come si evince dalla conclusione del romanzo.  La responsabilità degli adulti nei confronti di questi giovani “persi”  è il sottinteso non scritto. Dal romanzo letto, con più o meno diletto, sono quindi derivate interessanti riflessioni.