Racconti d’inverno, di Karen Blixen

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17 dicembre 2024

Karen Blixen, “Racconti d’inverno“, traduzione di Adriana Motti, Adelphi, 1980

proposto da Tonia Lamanna

di

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Breve nota a cura di Elisa Cataldi, dopo l’incontro del gruppo di lettura:

Molto si è detto della biografia della scrittrice e di quanto la stessa abbia influenzato la narrazione ed i suoi contenuti. Si tratta di 11 racconti molto diversi l’uno dall’altro, pubblicati nel 1942. Piccoli gioielli di narrazione che si prestano a molteplici e sovrapposte chiavi di lettura.

Sempre struggente la descrizione del paesaggio dipinto con pennellate prevalentemente nostalgiche e malinconiche: rende benissimo la consapevolezza della scrittrice di appartenere a quella terra, a quei luoghi incantati di nebbie “sognanti” e di brume, di boschi e di brughiere, di acque e di ghiacci. La scrittrice crea atmosfere che vanno dal fiabesco, al surreale, all’onirico, per raccontare di viaggio, di mare, di infanzia, di eroismo femminile, di arte. Personaggi quasi ottocenteschi come trovatelli, principesse, bambini scambiati alla nascita, schiavi e padroni, maghi e marinai, molto lontani dal modernismo imperante, sono i protagonisti di storie spesso lontane da ogni logica, senza nessuna preoccupazione per la verosimiglianza, per la consequenzialità degli eventi, racconti che finiscono talvolta in modo sospeso, irrisolto.

Si tratta di personaggi inquieti, in preda a profondi conflitti interiori. Tutte le metamorfosi narrate rimandano alla perenne ossessione della Blixen, per il gioco degli opposti: desiderio/realtà, schiavo/padrone, fedeltà/tradimento, onore/vergogna, gioia/dolore, insoddisfazione/accettazione del mondo. Da alcuni definite favole per adulti o parabole di una religiosità laica, portano con sé un messaggio, una verità, un insegnamento che consiste essenzialmente nella sintesi, nel superamento di queste profonde dicotomie: l’accettazione del mondo con tutte le sue contraddizioni.

Questo patrimonio filosofico-etico-religioso della scrittrice, ha fatto pensare ad alcune di noi, alla filosofia del conterraneo (di poco precedente) Kierkegaard, fondatore dell’Esistenzialismo.

Globalmente la maggior parte di noi l’ha trovata una lettura godibilissima, un viaggio veramente fuori dal comune.

Opere citate di o su Karen Blixen:

Il pranzo di Babette, Film del 1987, regia Gabriel Axel

Capricci del destino, Karen Blixen, Ed. Un. Ec. Feltrinelli

Karen Blixen: un conflitto irrisolto, Ole Wivel, Ed. Iperborea

Nomi, Nadia Fusini, Ed. Feltrinelli

Festa del Tesseramento 2025

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ore 17:00

nella nostra Sede via Istria n. 6

ci incontriamo come ogni anno per la FESTA DEL TESSERAMENTO 2025 e per gli Auguri di Natale.

In tale occasione sarà presente: 

 “Sol-o Canto“, coro di voci femminili che cantano a cappella, diretto da Rosa Angela Alberga, cantante lirica grumese.

Vi aspettiamo

Lucia

La recita di Bolzano, di Sàndor Màrai

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19 novembre 2024

Sàndor Màrai, “La recita di Bolzano”, traduzione di Marinella D’Alessandro, Adelphi, 2000, pp. 264.

proposto da Vanda Morano.

di Vanda Morano
La recita di Bolzano” è uno dei pochi romanzi pubblicati da Sàndor Màrai quando era ancora in vita. Màrai è stato uno scrittore ungherese naturalizzato statunitense.
Fu avversario del comunismo come lo era stato del fascismo. Importante figura di riferimento nella vita letteraria e teatrale del paese fino agli anni ’40 non poteva immaginarsi senza la propria libertà. Dal ’48 visse in Italia e poi in America; in un esilio che si rivelò irreversibile e ricco di esperienze, continuò a scrivere nella lingua madre rimanendo legato alla cultura di origine. Il binomio vita-scrittura e l’eventuale
funzione sovversiva della parola scritta sono analizzati nel romanzo. Per Marai la scrittura non è solo strumento “è … potere”. La scrittura è la forza più grande che esista.

Il Casanova di Marai, lontano dal libertino archetipo del seduttore, è intrappolato nelle sue stesse illusioni e nel peso del passato; è alla ricerca di un senso nella vita. Dice lo scrittore “Il mio eroe rassomiglia maledettamente a quel viandante intrepido, apolide e tutto sommato…. infelice”. Apolide e infelice come il suo Autore. La fuga dai Piombi è l’incipit, è l’ouverture, quasi in senso musicale, di una indagine sulla complessità della figura umana, sull’inganno e sulla sottile linea che separa il teatro dalla vita reale. Bolzano con la sua misteriosa e sospesa atmosfera è lo scenario perfetto per una riflessione sull’amore sull’identità, sul potere e sulla decadenza.
S, Màrai ci racconta un Casanova ormai privo di avvenenza, che si sorprende per la scarsa reattività a suoi tentativi di seduzione di Teresa, giovane cameriera della locanda dove alberga. Ha dedicato l’intera esistenza al “richiamo imperioso della vita” ora si misura con la decadenza e la fragilità. Ha incantato tante donne, ha vissuto tante avventure alla ricerca del mistero e spinto dal desiderio. Il desiderio che lo rende vulnerabile è al centro del suo essere e gli impedisce la felicità. A lui che ama essere protagonista nella vita, il vecchio potente consorte dell’unica donna che abbia mai amato, Francesca, chiede di rappresentare gli inganni dell’amore per ferirla e guarirla dell’amore che prova per lui. La messa in scena si verifica non nei termini indicati dal conte. I due recitano a ruoli invertiti (Casanova mascherato da donna e Francesca mascherata da ragazzo). La donna depone ai piedi dell’amato ritroso le più appassionate profferte d’amore che vengono però rifiutate.
Casanova scriverà al conte che “L’Unica rimane tale soltanto finché è ricoperta dai veli misteriosi e dai drappi segreti del desiderio e dalla nostalgia”. Proseguirà quindi il suo destino di baro apolide e libertino, e la sua ricerca esistenziale.
La costruzione, la trama e l’ambientazione del romanzo rivelano i valori e le norme e la cultura della società settecentesca. E’ una rilettura dell’epoca in cui troviamo i tratti caratteristici della scrittura di Màrai: la maestria nell’analizzare i rapporti affettivi; l’espediente narrativo della voce narrante a cui seguono lunghissimi monologhi. Scrittura elegantemente articolata che evoca sensazioni di tristezza, di nostalgia, di tormento attutiti talvolta dall’ironia.

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Breve nota a cura di Tonia Lamanna, dopo l’incontro del gruppo di lettura.

L’incontro si apre con la presentazione dello scrittore ungherese Sándor Márai, Autore tra gli anni ’30 e ’50 di pieces di teatro, romanzi, poesie, antifascista ma anche critico verso il regime comunista, per questo costretto all’esilio nel 1948 e successivamente ad una vita da apolide analoga a quella del protagonista del romanzo “La recita di Bolzano“, pubblicato nel 1940.

Dopo la fuga dai Piombi di Venezia – città definita nobile ma anche marcia e pericolosa – l’approdo avventuroso di Casanova nella seria e virtuosa Bolzano, dove il destino pare attenderlo, è la metafora dell’andare senza meta, anzi della sofferenza per l’assenza di una meta e della ricerca di senso nella sregolatezza del personaggio, il che permette all’Autore un’ indagine psicologica sulla vita, sulla morte, sulla felicità e il suo contrario, su decadenza fisica-noia-solitudine, sul potere e la fragilità umana, nobiltà d’animo e ciarlataneria, sul desiderio e la seduzione, il destino, la libertà, il vincolo d’amore.

Le riflessioni e i commenti emersi dal gruppo hanno rilevato e confermato l’evidente struttura bipartita del testo, preannunciata nella presentazione. Nella prima parte una molteplicità di personaggi, magistralmente tratteggiati dalla penna ricca di aggettivazioni, elegante e precisa di Márai – le comari bolzanine, Teresa, il barbiere, Mensch l’usuraio, Bragadin notabile veneziano protettore di Casanova, Padre Balbi il monaco “depravato” che lo accompagna nella fuga – è mossa teatralmente in situazioni quotidiane tra il realistico, il grottesco e il tragicomico. La seconda parte è abilmente introdotta dall‘Autore, innescando il dispositivo narrativo della suspense, con la mirabile e icastica descrizione dell’atmosfera serale preparatoria della cena nella Locanda del Cervo e la lenta e faticosa ascesa del Conte di Parma alla buia camera di Giacomo Casanova. Lì si svolgono i tre lunghi e densi monologhi sull’amore e il tradimento, decisivi e travolgenti per il fatidico triangolo che lega da lungo tempo il Conte, Giacomo e Francesca: fanciulla toscana per il cui amore, non colto, Casanova si era battuto anni prima e che aveva quasi dimenticato. È il Conte a proporre per contratto la “recita” che dovrà liberare per sempre sua moglie Francesca dall’amore che prova per Casanova, patto che il libertino cinicamente accetta da abile commediante qual ritiene di essere. Ma esce sconfitto dall’incontro notturno con la donna in una memorabile tenzone a parti scambiate: lui travestito da donna, lei da uomo, alla fine vincente perché ha saputo guardare oltre i suoi molteplici mascheramenti e vendicarsi dichiarando alla fine “ti ho visto, ti ho conosciuto e ti ho ferito” e per questo rimarrà “l’Unica” per il seduttore vittima delle sua stessa ars amatoria.

Molteplici sono stati i confronti e i riferimenti alla triangolazione amorosa ne “Le braci”, “La donna giusta” dello stesso autore, al teatro della maschere di Pirandello molto in auge negli anni ’30 in Italia e in Europa.

A una lettrice del gruppo la seconda parte è risultata troppo lunga e ridondante, un’altra perplessa si è chiesta quale fosse la motivazione delle parole provocatorie e libertine di Francesca dapprima pronta a deporre tutta se stessa ai piedi dell’avventuriero, ad altre la lettura è apparsa necessariamente faticosa in quanto ogni parola del testo è da centellinare e gustare senza lasciarsi prendere dalla fretta di finire o dall’ansia di conoscere l’esito della vicenda. La maggioranza si è detta conquistata dalla qualità della scrittura di Marai e dalla struttura formale del romanzo che per qualcuna sopravanzava il capolavoro de “Le braci”. Da molte è stata apprezzata nella trama la valorizzazione positiva delle figure femminili ed in particolare di Teresa che è apparsa la più schietta, refrattaria alle manipolazioni di Casanova e autonoma nelle sue scelte finali, personaggio popolare contrastante con il personaggio di Francesca, aulico e aristocratico. A questo proposito è stato posto all’attenzione del gruppo il richiamo al ”Don Giovanni” di Mozart su libretto (alla cui stesura pare abbia dato qualche contributo il Casanova storico) di Lorenzo Da Ponte (autore dalla vita altrettanto avventurosa), dramma giocoso in musica in cui si trovano a confronto, ambedue oggetto delle attenzioni amorose di Don Giovanni e di appropriato stile musicale basso e alto da parte di Mozart, la giovane contadina Zerlina e la nobile Donna Elvira.

Così, pur nell’universalità dei temi trattati, è stato riconosciuto in quest’opera il background della cultura e della filosofia del Settecento, il secolo dei Lumi ma anche di trame e d’intrighi, senza farne certamente un romanzo storico. Ma ciò che tutte infine hanno riconosciuto e sottolineato è il ruolo e l’importanza attribuita dal protagonista alla scrittura, al “potere” esercitato dalla scrittura, la scrittura è ciò che resta del movimento fuggevole delle cose, la scrittura è potere essa stessa, e proprio “l’essere scrittore”, la vocazione letteraria, è ciò che riscatta Casanova dalla dissolutezza del vivere e l’ineluttabilità del suo destino: forse in vista di futuri capolavori egli dichiara di dedicarsi ad accumulare esperienze, ma soprattutto per conoscere se stesso, “perché essere qualcuno conta più che fare qualcosa, ed è anche più difficile…”.

Opere citate di o su Sándor Márai:

Bébi, il primo amore” (Bébi, vagy az első szerelem, 1928), traduzione di Laura Sgarioto, Collana Biblioteca n.762, Milano, Adelphi, 2024

La donna giusta” (Az igazi, 1941), Milano, Adelphi, 2004 

Le braci” (A gyertyák csonkig égnek, 1942), Milano, Adelphi, 1998

Il sangue di San Gennaro” (San Gennaro vére, 1965), traduzione di Antonio Donato Sciacovelli, Milano,Adelphi, 2010

Incontro con M. Bottalico “Alchimie della memoria in J. Stella”.

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ore 17:30

nella Sede dell’Adirt, via Istria n. 6

Alchimie della memoria in Joseph Stella, artista lucano americano” .

Con Michele Bottalico, già Professore di Letteratura e Cultura degli Stati Uniti, presso il nostro Ateneo e quello di Salerno.

Lucia Aprile

Una Madre, di Colum McCann con Diane Foley

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22 Ottobre 2024

Colum McCann con Diane Foley, “Una madre“, traduzione di Marinella Magrì, Feltrinelli, 2024

proposto da Franca Botrugno ed Isa Bergamini.

di Franca Botrugno

Ricominciamo gli incontri del nostro gruppo di Lettura LeggerMente con la lettura del recente
lavoro di Colum McCann “Una Madre” scritto, si può dire, a due mani perché la scrittura
dell’Autore dà voce alla vicenda della signora Diane Foley, madre del giornalista James Foley,
che accetta di incontrare in carcere il terrorista – assassino del figlio, Alexanda Kotey, e
partecipare a noi tutti il suo vissuto
Questo romanzo parte da un episodio tragico, la decapitazione di James Foley, un giornalista
americano free lance impegnato ad indagare sulla verità della complessità umana e sociale,
già preso in ostaggio in Libia e poi liberato, e nuovamente imprigionato in Siria come ostaggio
dell’ISIS, brutalmente torturato per due anni e poi decapitato. Storia di crudeltà estrema
mostrata “senza veli”, in rete al mondo ad imperituro monito agli Stati Uniti e non solo.
L’Autore dà voce in questo romanzo alla madre di James che alla fine del romanzo diventerà ,
a detta di Kotey, il terrorista, come “una Madre” per tutti noi.
Diane Foley donna eccezionale sofferente, tormentata e dibattuta tra tanti sentimenti
contrastanti ha trovato nella sua anima profondamente religiosa la forza di perdonare e non
solo, ma di essere capace di entrare in empatia con l’assassino del figlio facendo leva sul
proprio “coraggio morale”, stesso sentimento insito in James (come si evince dalle pagine
dedicate alla sua biografia).

Diane ci porta a percorrere i momenti salienti della formazione del figlio, facendocelo
conoscere, e poi ci introduce nei momenti più ardui della vicenda comprese tutte le strade
intraprese per la liberazione del figlio, le richieste di aiuto alle istituzioni, tutte richieste, come
da prassi americana, completamente inascoltate.
Diane esprime con forza e grazia i suoi stati d’animo e sentimenti ma è, a mio parere, avendo
letto altro dell’Autore, la magistrale scrittura di Colum McCann con la sua abilità di indagare
con puntigliosità su accadimenti, sentimenti e motivazioni di chi fa il male nella ricerca di una
verità quanto più viscerale possibile. L’Autore indaga varie “dimensioni umane” e destini
traumatici dando vita a pagine che interrogano profondamente su vari temi: terrorismo, guerra, violenza, giustizia ecc. tra l’altro di stretta attualità. Diane, unica nella sua famiglia, accetta di incontrare l’assassino del figlio Alexanda Kotey (significato del suo nome: difensore degli uomini-anima gentile), ma sedendosi al tavolo di fronte a lui controlla la distanza pensando “non volevo doverlo toccare”. Ha voluto incontrarlo perché “conoscere il come della morte della persona amata è conoscere meglio la sua vita”. In partenza non sa cosa chiedere a Kotey ma poi, pur spesso dubitando della veridicità di ciò che dice, apprende elementi sulla prigionia e il comportamento di James per poi entrare
anche nel suo vissuto (lui parla delle sue figlie ora racchiuse in un campo profughi, la
preoccupazione di ciò che la madre sente di lui attraverso i media). Entra in empatia tanto da
pensare “ogni uomo ha bisogno della sua dose di amore”, tanto da proporre di far qualcosa
per le sue bambine (perdono, compassione) ed alla fine porgergli anche la mano.
Toccante la descrizione del pianto che Kotey non riesce a reprimere dopo aver visto la commozione intensa del padre di James in un filmato “J Foley reporter dall’inferno”, girato da un amico
d’infanzia e da li che scaturisce un ricordo ed una motivazione sugli atti che comunque compie , come più volte afferma, per obbedienza all’organizzazione alla quale si è affiliato.
Diane parla di tristezza, la tristezza che si continui a toglierci la vita l’un l’altro e che ciò si
riduca alla giustizia o alla vendetta, dice inoltre che sicuramente da molti sarà tacciata di
ingenuità e di essersi fatta raggirare da lui e ora, dopo sette anni dalla perdita del figlio, piange.
Diane Foley è oggi una scomoda attivista politica e testimone del potere dell’empatia e del
coraggio morale. Grande esempio

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Breve nota a cura di Maria Grazia Toma, dopo l’incontro del gruppo di lettura:

Una madre” nasce dall’incontro di McCann con Diane Foley e narra di come lei si prepari all’incontro con Alexanda Kotei, assassino e torturatore del figlio, assassinio avvenuto tramite decapitazione con diffusione del video in rete.
Il cammino verso questo incontro si intreccia con il racconto della vita di James, l’angoscia degli anni della prigionia e la lotta della madre per liberare il figlio.
McCann fa un passo indietro e lascia parlare la madre. Questo ha deluso alcune di noi che non hanno ritrovato lo stile dell’Autore.
Mentre ad altre è piaciuto perché in un racconto di semplice cronaca ha saputo inserire temi universali. La violenza, la verità, il dolore che trova conforto in una profonda religiosità, il perdono, il ruolo dei freelance che assicurano una informazione obiettiva quando la stampa ufficiale non è presente, il ruolo dello stato americano, la giustizia.
Il dolore Diane lo incanala prima nel tentativo di liberare il figlio, scontrandosi con la burocrazia che non può mettere in discussione la potenza americana e quindi non può trattare per un civile.
Diana pur soffrendo per l’intralcio della burocrazia americana, riconosce allo Stato il grande valore di assicurare a tutti una giustizia equa. Il sistema americano non viene messo in discussione, è inserito nel tessuto sociale, 3 membri della famiglia Foley sono militari. L’esercito costituisce una base dell’economia delle famiglie americane.
Dopo la morte di James, Diane si impegna nel creare una fondazione nel suo nome che lo faccia conoscere nel mondo e che porti a tutelare i freelance.
Diane vuole rendere visibile l’invisibile, la memoria che va oltre la vita. Ben diverso l’atteggiamento del padre e dei fratelli che appaiono più distaccati.
Per questo vuole incontrare l’assassino di suo figlio per capire le sue motivazioni e darsi una risposta, ma Alexanda Kotey non appare coinvolto, “Me lo hanno ordinato” per questo ha torturato, ucciso.
Nel colloquio con Alexanda, Diana instaura un rapporto intenso, lei entrerà in empatia con lui. Non sappiamo se abbia perdonato, ma ha cercato di capire, di ascoltare la voce dell’altro. Condivide il dolore per il suo futuro, per quello della sua famiglia che vorrebbe aiutare, lo incoraggia nel suo progetto di studio.
Il secondo ed ultimo colloquio si conclude nonostante la tristezza, con Diana che si avvicina ad AIexanda e gli tende la mano e nonostante tutti i divieti lui la stringe, giustificandosi dicendo che lei è la madre di tutti.

“In Viaggio nella memoria del Secolo Breve”. Con S. Chiaffarata

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ore 17:30

nella Sede dell’Adirt, via Istria n.6 

In Viaggio nella memoria” .

Un itinerario nei luoghi legati ai momenti più significativi dei conflitti del Secolo Breve

Sarà con noi Sergio Chiaffarata

Lucia

Mostra all’Adirt: “L’Arte che viaggia per posta”.

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ore 17:00

nella sede dell’Adirt, via Istria n. 6 

L’arte che viaggia per posta“, una particolare forma d’arte di grande attualità e dal profondo significato sociopolitico.

Con noi Katia Ricci, visual artist, che affronta il tema “Trame di vita, trame di pace” attraverso una Mostra da lei organizzata con altre associazioni.

La Mostra sarà visibile nella nostra Sede e consta di una serie di cartoline realizzate da artiste e artisti di varie città italiane e anche dai bambini di una scuola di Dresda (Germania).

Vi aspettiamo.

Proiezione del Film “La Ronde”.

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nella sede dell’Adirt, via Istria n. 6

sarà proiettato “La Ronde” – Il Piacere e l’Amore, un film del 1950, diretto da Max Ophüls, tratto dalla commedia “Girotondo” di Arthur Schinitzler, con Simone Signoret e Serge Reggiani. Il film, premiato al Festival di Venezia, ha ottenuto 2 candidature a Premi Oscar.

“….una narrazione senza intrigo né personaggi, fatta di assenze e di vuoti come il cuore dei suoi protagonisti . Bello come una bolla di sapone attraverso la quale s’intravede una concezione desolata dell’esistenza…” dal Morandini.

Vi aspettiamo

Convocazione Assemblea Adirt. 25 Ottobre 2024

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Come stabilito nel corso dell’incontro Adirt del 15 Ottobre u.s.

SI COMUNICA

che il giorno

presso la nostra Sede in via Istria n. 6, si terrà l’ASSEMBLEA per il Rinnovo degli Organi Collegiali.

Si fa presente che hanno diritto di voto i Soci e le Socie in regola con il pagamento della quota associativa del corrente anno.

La Presidente

Lucia Aprile

Tasmania, di Paolo Giordano

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11 giugno 2024

Paolo Giordano, “Tasmania“, Einaudi, 2022

proposto da Roberta Ruggiero

di Roberta Ruggiero

Tasmania” di P. Giordano, definito nel settimanale “La Lettura”, il secondo miglior libro del 2022, è l’ultimo prodotto di un Autore che non si è fermato al successo del suo primo libro e ha continuato a cercare nuove strade, anche stilistiche. Le sue opinioni e il suo comportamento esprimono grande equilibrio.
“Tasmania” si situa tra alcune opere europee contemporanee che cercano nuove forme di espressione. Usa il romanzo come chiave di accesso, tracimando poi in altre forme: il saggio, il giornalismo, l’autofiction, riuscendo a riflettere su tutta un’epoca. Ci racconta tante cose, grandi e piccole, private e collettive, si serve della scienza e della quotidianità, riuscendo a tenere tutto insieme. E’ lungo l‘elenco delle crisi del giovane uomo contemporaneo e della realtà fisica e sociale che vive. La minaccia nucleare passata e presente aleggia su tutto e tutti e qui il racconto sfiora la commozione. Belle pagine parlano della commemorazione in Giappone del drammatico lancio della bomba e fanno scattare la commozione, soluzione proposta per rispondere alle crisi. La fuga a Tasmania, vagheggiata da alcuni, è solo allora una apparizione fugace, un sogno, ma non la soluzione. Questa va invece cercata nelle relazioni umane, negli affetti, nella memoria collettiva sempre da conservare.
La scrittura è fluida, viva e lo stile è quello della “no fiction” che attinge a piene mani alla realtà e alla vita stessa dello scrittore.

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Breve nota a cura di Roberta Ruggiero, dopo l’incontro del gruppo di lettura:
L’incontro comincia con una breve presentazione nella quale sono state ribadite le ragioni della proposta e i temi di fondo del libro.
Gli interventi che si sono succeduti hanno quasi tutti sottolineato che l’opera non ha convinto. Hanno fatto eccezione un paio di giudizi che hanno invece apprezzato il libro, sottolineando la stima nei confronti di Giordano. Di contro i difetti che sono stati sottolineati dalla maggior parte delle lettrici sono stati i troppi problemi elencati sia individuali che universali e un non convincente intreccio tra le due dimensioni. Alcune hanno sottolineato la differente qualità tra l’opera di esordio di Giordano “La solitudine dei numeri primi” e “Tasmania”. Interessanti interventi hanno parlato delle analisi sui giovani e le loro crisi esistenziali e ne hanno dedotto riflessioni sulla personalità dell’autore.
Sono stati citati:
Freedom” di Jonathan Franzen
Collasso” di Jared Diamond
Genera libertà l’impegno della ragione”, conversazione fra Paolo Giordano e Ian McEwan, a cura di Cristina Taglietti, La Lettura, 13 novembre 2022.
Il romanzo del presente” di Nicola H. Cosentino, La Lettura, 4 dicembre 2022.

Giornate Europee dell’Archeologia

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ore 10:30

ci incontriamo, in occasione delle Giornate Europee dell’Archeologia, nella Pinacoteca Metropolitana “Corrado Giaquinto”, via Spalato n.19, al 4°piano, dove é stata  allestita una mostra a cura di Lucia Rosa Pastore, incentrata su alcuni dipinti di Giuseppe Pastina (Andria 1863 – Roma 1942),  volti a documentarne l’attività svolta a fianco di Giacomo Boni (Venezia 1859 – Roma 1925), uno dei padri dell’archeologia moderna, destinata a incidere sul suo percorso pittorico. 

L’iniziativa costituisce pertanto l’occasione per approfondire l’intenso rapporto che Giuseppe Pastina – oltre che pittore, musicista, critico d’arte, avvocato – ebbe con le vestigia dell’antichità, rapporto di cui si era persa ogni traccia e che viene per la prima volta portato alla luce in questa circostanza. 

Vi aspettiamo

Lucia Aprile

Ode al Reno. Viaggio sul Reno romantico tra poesia, musica, dramma.

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ore 17:30

nella Sede dell’Adirt, via Istria n. 6

Ode al Reno. Viaggio sul Reno romantico tra poesia, musica, dramma

Adele Boghetich, Aurelio Canonici e Marco Mazzoleni, autori di questo volume, affrontano un proprio “viaggio” di indagine e di scoperta intorno al magico mondo del grande fiume tedesco, ripercorrendo i luoghi che hanno ispirato opere immortali a poeti e musicisti.

Con noi Adele Boghetich.

vi aspettiamo

Lucia Aprile

Comunicato Adirt del 27 maggio 2024

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ore 17:30

nella nostra Sede in via Istria n.6

si terrà un’ASSEMBLEA delle Socie e dei Soci, con il seguente O.D.G.

  • lo Statuto dell’Adirt, dopo 42 anni 
  • varie ed eventuali.

Vi aspettiamo

Lucia Aprile

Progetto Costa Sud. Se ne discute all’Adirt

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ore 17:30

nella sede dell’Adirt, in via Istria n.6

si discute di  “Progetto Costa Sud” che trasforma un’intera zona a ridosso del mare in un’area per il tempo libero, e soprattutto in uno spazio verde rispettoso del paesaggio esistente. 

Con noi Pierangela Loconte, Funzionaria Specialista Tecnico Settore Servizi per l’Edilizia

Lucia Aprile

Arte e musica: femminile, plurale.

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ore 17:30

nella Sede dell’Adirt, via Istria n. 6

Arte e musica: femminile, plurale”

Un percorso per illuminare un universo femminile misconosciuto.

Con noi Christine Sperken e Angela Annese.

Lucia Aprile

Trittico dell’infamia, di Pablo Montoya

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30 Aprile 2024

Pablo Montoya, “Trittico dell’Infamia“, traduzione di Ximena Rodriguez Bradford, ed. e/o 2015

proposto da Isa Bergamini

di Isa Bergamini

Trittico dell’Infamia” è un affascinante e appassionante romanzo storico, ma sarebbe limitativo leggerlo solamente in questa chiave, perché potrebbe essere anche considerato un saggio su alcuni momenti drammatici dell’Europa del XVI secolo.
Il libro è diviso in tre parti con tre protagonisti Jacques Le Moyne detto Morgues cartografo e illustratore, François Dubois pittore e Théodore de Bry incisore e stampatore. Tutti e tre ugonotti del XVI secolo, mentre il centro Europa era flagellato dalle guerre di religione e la Spagna cattolica giustificava con il progetto dell’evangelizzazione, il genocidio delle popolazioni nelle terre d’oltre oceano, depredando quei territori senza alcuna pietà.
Le storie dei tre protagonisti si intersecano in momenti essenziali al racconto, avendo in comune i primi due di aver assistito a “Infamie”, che provano a testimoniare illustrandole e il terzo divulgandole con la stampa. Le Moyne con i disegni sulla vita dei nativi americani e sui massacri commessi dagli spagnoli e Dubois con la tavola che illustra il massacro della Notte di San Bartolomeo a Parigi. Théodore de Bry sarà lo stampatore che pubblica le loro testimonianze.
Il libro è strutturato e costruito in ogni sua parte, dove ogni elemento raccontato è pensato in rapporto con tutti gli altri, anche i meno determinanti, quasi fosse un’incisione nella quale anche il segno meno incisivo, contribuisce al racconto complessivo che si vuole rappresentare.
Libro molto colto con una pagina densa di citazioni e riferimenti ai grandi della letteratura, precedenti o contemporanei dei tre protagonisti, ad esempio Rabelais, Erasmo, Michel de Montaigne e molti altri, ma anche Virgilio. Moltissimi i riferimenti ad architetti, pittori e scultori del ‘400 e ‘500 europei, ad esempio Pieter Brugel, Jean Fouquet e la sua Madonna col bambino, Jan van Eyck e i Coniugi Arnolfini, Paolo Uccello e la sua Caccia notturna, di Albrecht Dürer gli autoritratti e le incisioni. Dei luoghi visitati dai protagonisti ricordo solamente il Duomo di Amien con il Labirinto e il Duomo di San Bartolomeo di Francoforte. Fra le sculture citate c’è il San Bartolomeo scorticato di Marco d’Agrate che si trova nel Duomo di Milano, che con la sua pelle adagiata sulle spalle come un mantello, richiama le atrocità alle quali erano stati sottoposti gli indigeni colombiani dai cattolici spagnoli.
Molti altri potrebbero essere gli esempi da citare, ma il senso del libro si può riassumere nelle parole che lo scrittore immagina di scambiare con Théodore de Bry durante un impossibile incontro e che scrive “…potrei dimostrargli che, nonostante i comfort della tecnologia e i risultati della scienza, il mio tempo è forse più spaventoso del suo. Ma lui potrebbe dire che l’uomo è stato, è e sarà sempre una creatura devastatrice, e il patimento che provoca, è la costante della storia.”
Le infamie sono sempre infamie in ogni luogo, di qua e di là dell’oceano e in ogni tempo, dallo sterminio delle popolazioni dell’intero continente americano, realizzato in tempi diversi a partire dalla Conquista, alla terribile notte di San Bartolomeo, fino ai morti della prima e seconda guerra mondiale ancora in Europa, ma il pensiero corre oggi, soprattutto ai palestinesi di Gaza e ai giovani ebrei massacrati.
Pablo Montoya ha consultato un originale di “Brevissima relazione della distruzione delle Indie” di Bartolomé de las Casas e descrive con grande precisione e emozione le diciassette incisioni di Jacques Le Moyne, apprezzando e sottolineando anche la qualità e l’importanza del lavoro dello stampatore Théodore de Bry.
Il libro si chiude magicamente al suono dei rintocchi delle campane, al lume di candela e con le parole di Thedore de Bry “Tu prendi una candela e tu un’altra, disse ai figli. Tu Catherine, ne accenderai una in onore di padre de las Casas. Per averci dato quel libro che è come un faro nell’oscurità più funesta e averci insegnato la negazione di ogni violenza. L’altra la accenderò io – anche se so che non basterà e che non avremo mai le candele necessarie a lenire i loro dolori, e se anche le avessimo, non credo che questa città riuscirebbe a contenerle – per ricordare i nostri fratelli nella persecuzione.”
Una scrittura molto ricca e a tratti anche poetica, sapientemente tradotta, accompagna il lettore di pagina in pagina a scoprire gli angoli bui dei grandi eventi della storia del XVI sec.

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Breve nota a cura di Monica McBritton, dopo l’incontro del gruppo di lettura:

L’incontro è iniziato con una sintetica relazione sul libro, nella quale sono state precisate le ragioni per le quali ne era stata proposta la lettura e sono stati rimarcati alcuni profili rilevanti dell’opera. In seguito, come di consueto, abbiamo proceduto ad un giro di interventi.
Una questione che ha dato luogo ad un certo dibattito è stata quella dell’inquadramento dell’opera. Questione non facile da risolvere vista la complessità del tema affrontato e della struttura dell’opera. È stato rilevato che essa si inserisce nel filone del romanzo storico postmoderno. In tale filone si inseriscono anche alcune opere di Edmund De Waal e Jan Brokken. Si tratta di un approccio che contiene sia l’opera di fantasia che la dimensione saggistica.
Tale impostazione ha suscitato qualche dubbio sulla fedeltà dell’autore alle fonti, in quanto l’opera potrebbe essere stata indebitamente aggiornata, in particolare per quanto concerne il ruolo che l’Autore attribuisce alle stampe per la diffusione nell’Europa del ‘500 dell’informazione sugli orrori della colonizzazione.
Un altro importante aspetto, più volte richiamato è la rilevanza assunta dalla corporeità degli indigeni anche in rapporto all’effetto che essa provocava nei colonizzatori.
È emerso anche il collegamento con gli scritti di Eduardo Galeano. Ed è stato osservato in particolare che si tratta di un volume contro l’oblio, principalmente perché tratta della questione coloniale avendo come filo conduttore un profilo meno noto, ovvero il conflitto religioso europeo fra cattolici e riformati, fra la Francia e la Spagna.
Su quest’ultimo aspetto si è detto che P. Montoya ha provato a rispondere a una domanda presente in America Latina: come sarebbe stata l’evoluzione della sua storia, se i colonizzatori fossero stati i riformati e non i cattolici?
Poiché, evidentemente non esiste una risposta puntuale a tale quesito, è pregio dell’opera la tematizzazione approfondita della questione.
Complessivamente, il volume è stato apprezzato, anche se è stata più volte rilevata la complessità della struttura dell’opera, la quale premia il lettore perseverante.
Molto apprezzato anche l’uso che viene fatto nel testo di alcune opere d’arte, in particolare i riferimenti al pittore Albrecht Dürer e all’editore Theodor de Bry.
Opere citate:
– Eduardo Galeano, “Le vene aperte della America Latina”.
– Edmund De Waal, “Un’eredità di avorio e ambra”.

Visita Museo diocesano.

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ore 10:30

ci incontriamo sul sagrato della Cattedrale di Bari per una visita guidata al Museo diocesano e in particolare al cosiddetto Benedizionale di Bari e ai tre Exultet, pergamene illustrate di epoca medievale decorate a mano, da srotolare durante il canto liturgico dell’annuncio di Pasqua, come ausilio iconografico ai fedeli.

Con noi Paolo Fioretti dell’ Università di Bari.

Lucia Aprile

Comunicazione Adirt

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Passeggiata nel Bosco di Comunità di Monteferraro, in agro Conversano, di cui anche l’ADIRT risulta “non  proprietaria”.

Dopo una sosta presso la caffetteria Ristorante Della Corte in piazza della Conciliazione a Conversano, visiteremo con una Guida, presso il Polo Museale del Castello, la Mostra: “Chagall. Sogno d’amore, che ripercorre la vita e l’opera del pittore del sogno e della fantasia creatrice.

É importante conoscere al più presto il numero dei partecipanti e i Soci disponibili ad ospitare nelle loro macchine chi ne é privo.

Prenotazioni e anticipi nella sede in via Istria, VENERDI 19 aprile, a conclusione dell’incontro con Giandomenico Amendola. Attendiamo intanto quanto prima le vostre adesioni.

Lucia Aprile

Le città: immagini e immaginari. Narrazioni, analisi, miti. Di G. Amendola

Attività 2023-2024, Attività Adirt Nessun Commento »

ore17:30

nella Sede dell’Adirt, via Istria n.6

“Le città: immagini e immaginari. Narrazioni, analisi, miti“, di Giandomenico Amendola, Ed. Franco Angeli 2024.

Un denso e articolato percorso nei luoghi dell’abitare, dal passato alla contemporaneità.

Giandomenico Amendola, già professore ordinario di Sociologia Urbana nella Facoltà di Architettura del Politecnico di Bari e poi dell’Università di Firenze, ha insegnato e svolto ricerche in alcune delle più importanti università statunitensi. Già presidente dell’Associazione Italiana di Sociologia, è autore di numerosi volumi.

Dialogherà con l’Autore la scrittrice Amalia Mancini.

lo scafista, di Stephanie Coste

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26 marzo 2024

Stéphanie Coste, “Lo scafista“, traduzione di Cettina Caliò, La nave di Teseo, 2022

proposto da Rosa Giusti

di Rosa Giusti

Sono così tante e terribili le notizie dei media sui migranti che attraverso il Mediterraneo tentano di raggiungere il nostro paese affidandosi per la traversata a gente disonesta che spesso li porta alla morte, che proporre al gruppo di lettura -Lo Scafista- non mi convinceva. Un argomento così ripetitivo, pensavo, ha ormai poca presa su noi tutti, assuefatti e quasi anestetizzati emotivamente. Ma “Lo Scafista”, almeno secondo il titolo del testo della Coste, prometteva di trattarlo secondo una prospettiva diversa e mi ha incuriosita.

Effettivamente nel libro compaiono elementi di novità, perché il protagonista, lo scafista Seyoum, capo di un’organizzazione criminale che si occupa di traghettare persone in fuga dalla Libia verso l’Italia, è sì un mostro di crudeltà, ma è anche un uomo. E’ un eritreo con un trascorso personale tragico, la cui storia è anche la storia dell’Eritrea, della guerra con l’Etiopia, della dittatura, delle persecuzioni dei dissidenti e della loro necessità di andarsene altrove. L’autrice si sposta di continuo dai movimentati avvenimenti che precedono la traversata del racconto, all’infanzia idilliaca del bambino Seyoum, sereno e felice in seno ad una famiglia benestante e colta, alla sua giovinezza, quando è teneramente innamorato e promesso sposo della meravigliosa Madhia, ed infine alle torture, alla separazione straziante dai suoi cari, alle sofferenze indicibili subite nel corso dei capovolgimenti politici dell’Eritrea.  Seyoum tenta di fuggire per mare dall’Africa, ma il suo viaggio fallisce e lo riporta in Libia, dove si ferma.  Il dolore patito lo ha trasformato. “Hai sofferto e ora fai soffrire. Marcirai all’inferno” dice a sé stesso sulla spiaggia dove dirige i suoi traffici. Ha fatto della speranza di poveri derelitti, l’anima del commercio, si arricchisce con cinismo, uccide, corrompe, inganna, terrorizza. Ma Seyoum è un malvagio insoddisfatto, estremamente tormentato, si auto distrugge assumendo alcol e droga, cerca la morte. E’ che ha ancora una coscienza, una sensibilità non completamente congelata. Il ritrovamento casuale di Madhia, l’amore della sua vita, tra l’ultimo “carico” dell’imbarcazione fatiscente prossima a partire, innesca un cambiamento nella sua psiche allo sfascio.  Pur consapevole che Madhia non sarà mai più al suo fianco e che lo disprezza pensando erroneamente che lui l’abbia ingannata, decide di dare una svolta alla sua esistenza maledetta:  regala il suo denaro,  si mette in mare assumendo lui stesso il comando della -carretta del mare-  (per giunta in tempesta) che dovrà trasportare in Italia un foltissimo gruppo di persone fra cui  Madhia con  il marito e il figlioletto, e miracolosamente ce la fa, ce la fanno, in discreto numero, ad arrivare a Lampedusa.

Molti elementi del romanzo si possono ritrovare nel recente film – Io Capitano- con il quale c’è stato un confronto. Ma nel libro non c’è solo la tragedia dei migranti, preponderante nel film, c’è soprattutto la storia dello scafista, l’altra parte di umanità coinvolta in queste vicende, di Seyoum incattivito dalla vita e dai traumi accumulati. “Tutte le cose davvero atroci cominciano dall’innocenza”. Questa citazione da Hemingway che la Coste riporta nell’esergo, spiega il senso che vuole dare al suo romanzo. L’Autrice usa un ritmo veloce ed efficace, usa frequenti flash back tenendo vivo l’interesse del lettore e mettendolo di fronte a fatti storici forse poco conosciuti. Tutto ciò è stato ritenuto un merito da parte di molte di noi mentre varie critiche si sono levate da parte di altre che non hanno apprezzato affatto né il contenuto del romanzo, né lo stile, né la struttura narrativa.  

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Breve nota a cura di Teresa Santostasi, dopo l’incontro del gruppo di lettura.

Un gruppo di lettura, LeggerMente, che esprime la pluralità delle conoscenze, delle riflessioni e delle preferenze di noi lettrici e che ci permette di “leggere anche con gli occhi delle altre”.

Lo Scafista”, racconto finalista del Premio Inge Feltrinelli 2024, proposto da Rosa Giusti che ne ha colto il ritmo incalzante e l’intreccio tra le vite delle vittime e quelle del loro carnefice, dove l’abusato diventa abusante, ha trovato pareri discordi nelle nostre analisi.

Il tema dell’immigrazione, sempre presente nel nostro vissuto con un potente coinvolgimento emotivo, è uno dei temi più divisivi della nostra epoca. L’Autrice rinuncia a raccontare il punto di vista delle vittime, preferendo entrare in quello del carnefice Seyoum.  Qualcuna ha trovato irritante e faticosa l’alternanza di date, cosa invece apprezzata da altre, per il richiamo a ricordi dell’infanzia che permettono di interpretare meglio il presente. “Lo scafista” è stato considerato racconto non banale, caratterizzato da una prosa crudele che non lascia spazio all’immaginazione, del quale è stata apprezzata la brevità pur nella complessità del personaggio Seyoum e dei temi affrontati. Per alcune il racconto ha deluso, non condividendo la posizione assolutoria della scrittrice Stephanie Coste ed il linguaggio povero e frammentario. Si è voluto ricordare che comunque la letteratura è una strada privilegiata per esprimere pareri, aiutandoci soprattutto nei momenti più critici. Si è convenuto che il racconto risulta troppo artificioso e costruito, soprattutto nel finale e nei temi trattati. E’ mancato inoltre il rapporto con la storia, né sono analizzate le cause e le vicende della guerra Eritrea/Etiopia.

Inevitabilmente non abbiamo potuto non citare il testo appena letto di Stefano Massini “Eichmann, dove inizia la notte” da cui emerge che tutte le cose davvero atroci cominciano dall’innocenza ed il confronto con l’ultimo film di Matteo Garrone “Io Capitano”, la cui visione, forse, ha fatto poco apprezzare il racconto.

Sono stati citati:

Garcia Markez  “La Somala

Stefano Massini “Eichmann. Dove inizia la notte

Hanna Arent “La banalità del male

Matteo Garrone. Film “Io Capitano

Federico Cornacchia. Regista del film/cortometraggio – Fuori Essenza –

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alle ore 17:30

nella sede di Via Istria n.6

L’ADIRT incontra, FEDERICO  CORNACCHIA, giovane regista altamurano.

Dopo la maturità al Liceo classico “Cagnazzi” di Altamura, Federico emigra a Milano dove si specializza in tecnica della fotografia. Successivamente laureato presso l’Accademia di Belle Arti a Londra (University for the creative Arts/Farnham, sezione cinematografia) è vincitore di numerosi premi a festival nazionali ed internazionali.

Il regista, videomaker e Autore del film/cortometraggio “Fuori Essenza” che verrà proiettato presso la sede dell’Adirt, presenterà “L’Emigrante itinerante. La storia di chi fugge per ritrovarsi”.

Il film (La Pine Film Production), produzione indipendente che esplora il tema dell’emigrazione e dell’identità, sarà introdotto da Pio Meledandri.

La Biblioteca Gaetano Ricchetti

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l’ADIRT visita la Biblioteca Ricchetti, via Sparano n.145.

Ci accompagnerà la direttrice, dottoressa Daniela Raimondo.

APPUNTAMENTO alle 17:15 all’ingresso della Biblioteca.

-Le impavide del Sud- di Riccardo Riccardi

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ore 17:30

nella sede di via Istria, n. 6

l’Adirt, incontra Riccardo Riccardi, giornalista e scrittore, Autore del saggio “Le impavide del Sud. Donne che hanno cambiato la storia del Mezzogiorno“, Ed. Les Flaneurs.

Una sequenza di figure femminili che hanno prevalso distinguendosi in cultura, determinazione, coraggio in particolari periodi storici a loro avversi, imponendo il loro pensiero politico e professionale, emotivo individuale, contro ogni forma di limitazione e discriminazione. Rivoluzionarie, irriducibili, coraggiose, caparbie, anticonformiste …

Dialogherà con l’Autore la scrittrice Amalia Mancini.

Vi aspettiamo.

Figli della favola, di Fernando Aramburu

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27 Febbraio 2024

Fernando Aramburu, “Figli della favola”, traduzione di Bruno Arpaia, Guanda, 2023

proposto da Elisa Cataldi

Di Elisa Cataldi

La storia di due giovani baschi, Asier e Joseba, che, ventenni, vengono mandati dall’ETA in una fattoria francese, in cui si allevano galline, ad addestrarsi alla lotta armata. Lì però vengono dimenticati anche quando dall’ottobre 2011 l’ETA viene definitivamente sciolta. Si snocciola quindi la narrazione esilarante e grottesca dei due “apprendisti terroristi” che, senza armi, senza soldi, mangiando sempre solo galline, sporchi ed affamati, senza conoscere una parola di francese, si ostinano a progettare attentati, ad inventare nuovi commandi armati, abbassandosi a tutti gli espedienti possibili pur di procurarsi denaro, cibo e, possibilmente, anche armi. Una lotta impari fra gli ideali e la nostalgia di casa e delle sue comodità.

La scrittura di Aramburu, la conosciamo è godibilissima, ma il romanzo che a prima vista appare comico, quasi picaresco, lascia alla fine una profonda amarezza non solo per la conclusione drammatica quanto, soprattutto per il ritratto desolante di questi due giovani, due amici alla disperata ricerca di un ideale da seguire, nel vuoto ideologico e affettivo che li circonda. Una gioventù senza prospettive, alla ricerca di un’appartenenza. Convinzioni elevate (gioventù, energia, fede) a fronte di una motivazione inesistente. Due incoscienti, illusi e patetici, inconsapevoli della portata delle proprie azioni (per fortuna solo progettate e mai realizzate), privi di valori e di cultura.

L’autore sottolinea impietosamente la povertà intellettuale dei due (la strage dei congiuntivi !!!), suggerendo a cosa avrebbero dovuto dedicarsi piuttosto che bighellonare per fantomatiche lotte armate!! Le tematiche sono le stesse dell’indimenticabile “Patria”: la lotta armata, i giovani, perfino la pioggia incessante. Qui però il tenore non è più drammatico, bensì satirico e canzonatorio. Lo scrittore prende in giro il terrorismo e chi lo pratica, l’ideologia fanatica e violenta che legittima il crimine. Descrive il male come frutto di stupidità.

Dall’ottobre 2011 l’ETA , in quanto lotta armata è finita. Da quel momento si è imparato (speriamo definitivamente) che i conflitti sociali si risolvono nelle sedi istituzionali, non per le strade a colpi di arma da fuoco! E nello stesso tempo, Aramburu ha un profondo rispetto delle vittime. In un’intervista che lo scrittore ha rilasciato al giornale “La Repubblica” nel luglio 2023, in occasione della “Rassegna del libro possibile” tenutasi a Polignano (BA), Aramburu afferma che non avrebbe mai potuto usare questi toni comici e irriverenti se l’ETA non fosse finita e se i due protagonisti della storia in effetti, non avessero commesso alcun crimine. Nella stessa occasione, interrogato circa la sua opinione sulle responsabilità degli adulti nello smarrimento dei giovani, afferma che i giovani meritano affetto e rispetto. Non hanno colpa del mondo che gli abbiamo lasciato, inquinato, consumista e corrotto. “… li educhiamo male e poi biasimiamo la loro cattiva educazione. Forse sarebbe preferibile lasciare loro un esempio migliore !!!”.

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Breve nota a cura di Rosa Giusti, dopo l’incontro del gruppo di lettura

Sono subito emerse perplessità riguardo al valore di questo romanzo uscito subito dopo il – Patria – dello stesso autore, che ci aveva conquistate tutte. Alcune ne hanno apprezzato la prosa picaresca, ironica e scanzonata con cui vengono descritti i  due protagonisti ventenni baschi, scalpitanti in attesa di entrare a fare parte armata dell’ETA e decisi a lottare da soli quando l’ETA si scioglie. Richiami  per libere associazioni sono stati fatti a “Don Chisciotte e Sancho Panza”, all’”Armata Brancaleone”, a “Stanlio e Ollio”, e ancora al “Deserto dei Tartari” e ad “Aspettando  Godot”.  Elogi all’Autore per essere riuscito a far ridere sulle attività dell’ETA, senza tuttavia riuscire a produrre una satira graffiante.  E’ prevalso comunque il giudizio negativo su un’opera, si è detto, debole nella trama e perciò ripetitiva e noiosa, tale da  addormentare addirittura! Il confronto con “Patria” ha sicuramente nociuto ad Aramburu e se pure la sua “mission” (dichiarata apertamente da lui in alcune interviste) di contrastare l’ETA attraverso la  scrittura è stata da tutte apprezzata in generale, non si è potuto fare a meno di rilevare che nello specifico di “Figli della favola”, la forma letteraria del romanzo non è apparsa appropriata. L’opera tradisce l’evidente intento dell’Autore e ciò, artisticamente, ha costituito un limite.                                                               Nel il resto dell’incontro, il gruppo si è soffermato sull’analisi  dei protagonisti, emblema di un tipo di gioventù che, a tutte le latitudini,  si lascia facilmente adescare da organizzazioni mirate alla realizzazione di fini criminosi di varia natura, usando gli strumenti della violenza e del terrorismo e quindi uccidendo persone innocenti e inermi.  Aramburu  descrive i suoi terroristi in erba, non a caso, come persone ignoranti, prive di senso morale e di senso critico, per niente intelligenti.  Due ragazzi che non hanno prospettive di vita, non hanno legami affettivi saldi e, come bambini attratti dalle armi, vogliono “giocare alla guerra”, costi quel che costi, per  “salvare la patria”;  sostanzialmente per rifugiarsi in una struttura ed acquisire così un’ identità, per giunta, “eroica”.

Considerazioni personali, legate alla propria giovinezza e all’attualità,  hanno “riscaldato” la nostra discussione.  Ne è scaturito infine un senso di amarezza verso quella percentuale di giovani che, come i due eroi mancati di Aramburu, non ha scrupoli  nei confronti delle vittime, ma è in realtà vittima a sua volta e il sogno eroico si rivela un fallimento, come si evince dalla conclusione del romanzo.  La responsabilità degli adulti nei confronti di questi giovani “persi”  è il sottinteso non scritto. Dal romanzo letto, con più o meno diletto, sono quindi derivate interessanti riflessioni.                        

La Cittadinanza (quasi) attiva. Con le Autrici

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ore 17:30

nella Sede dell’Adirt, via Istria n.6

si terrà la presentazione del libro: “La cittadinanza (quasi) attiva”, Edizioni Les Flaneurs.

Michele Cecere dialogherà con  le Autrici, Elda Perlino e Lucia Schinzano.

Vi aspettiamo.

Lucia Aprile

Vito Alfieri Fontana. Ero l’Uomo della Guerra

Attività 2023-2024, Attività Adirt Nessun Commento »

ore 17:30

nella nostra sede in via Istria n.6

Un percorso lungo e faticoso, un peso insopportabile esploso come una mina dilagante, lacera la coscienza  dell’Autore  di questo  libro,

Vito Alfieri Fontana, una deflagrazione che porterà a scelte importanti che ne rivoluzioneranno l’esistenza costringendolo a una nuova vita.

ERO L’UOMO DELLA GUERRA, scritto in collaborazione con Antonio Sanfrancesco, edizioni Laterza.

Se ne discuterà Sabato 17 febbraio alle 17.30 presso l ‘ADIRT.

Dialoghera’ con l’Autore la scrittrice Amalia Mancini.

Ingresso libero. 

“Da BARÌ a PARÌ”, con P. Moliterni. Vita e opere di Niccolò Piccinni

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Pierfranco Moliterni, già docente di Storia della Musica alla UniBA e membro ordinario dell’Accademia Pugliese delle Scienze, ci condurrà da “Da BARÌ a PARÌ” attraverso la vita e le opere di Niccolò Piccinni con immagini e musica

Ingresso libero.

Lucia Aprile

Niccolò Piccinni. Scheda biografica

Piccinni Vito Niccolò Marcello Antonio Giacomo nacque a Bari il 16 gennaio del 1728. Studiò a Napoli con Leonardo Leo e Francesco Durante presso il Conservatorio di Sant’Onofrio; fu grato all’arcivescovo di Bari, Muzio Gaeta, che provvide a pagare i suoi studi nel Conservatorio napoletano in quanto il padre (Onofrio), sebbene fosse anch’egli un musicista, si era opposto a che suo figlio seguisse la stessa carriera. La prima opera, “Le donne dispettose“, risale al 1755; nel 1760 PICCINNI compone  a Roma il suo capolavoro giovanile, “La Cecchina/La buona figliuola“, un’opera comica ‘larmoyante’ su libretto di Carlo Goldoni, opera che ebbe sempre molto successo in tutta Europa. Sedici anni dopo, nel 1776, Piccinni fu invitato alla corte della regina Maria Antonietta a Parigi, ove fu anche iniziato alla Massoneria nella Loggia delle Nove Sorelle. Nel 1756 si era sposato a Napoli con Vincenza Sibilla, una cantante di appena 14 anni, alla quale Piccinni non permise mai più di andare in scena dopo il matrimonio. Tutti i suoi lavori parigini ebbero discreto successo tanto che i direttori della Grand-Opéra gli opposero deliberatamente Christoph Willibald Gluck col persuadere i due compositori a trattare contemporaneamente lo stesso soggetto – la “Iphigénie en Tauride” . Il pubblico parigino si divise in due fazioni tra Gluckisti e Piccinnisti e nacque la Querelle Celebre. La Iphigénie di Gluck fu rappresentata nel maggio 1779, mentre la Iphigénie di Piccinni giunse in teatro due anni dopo nel 1781 e sebbene venisse ripetuta per 17 volte, scomparve ben presto dai palcoscenici parigini. Nel 1784  Piccinni diventò professore all’Académie Royale de Musique, fondamentale istituzione didattica dalla quale poi scaturì il Conservatoire fondato da Sarrette nel 1794: la Musica così diventava appannaggio di tutte le classi sociali!   . 

Allo scoppio della Rivoluzione francese del 1789, Piccinni tornò a Napoli dove fu dapprima ben accolto da re Ferdinando IV, ma in seguito, causa il matrimonio di una sua figlia con un democratico francese (tal Pradez Pastreau), fu condannato al completo oblìo dei palcoscenici napoletani. Nei successivi nove anni egli condusse una esistenza precaria tra Venezia, Napoli e Roma; nel 1798 riuscì tuttavia a tornare a Parigi dove il pubblico lo ricevette con entusiasmo ma non così tanto da poter vivere con dignità, nonostante Napoleone Bonaparte (patito della musica italiana di Paisiello…) volle assegnargli una pensione statale.  Piccinni morì presso Parigi, a Passy, nei primi mesi del 1800 e fu sepolto in terra consacrata nel cimitero locale; durante i bombardamenti nella seconda guerra mondiale le sue spoglie andarono perdute.

A lui è stato intitolato il Teatro cittadino su uno dei corsi principali di Bari; tale Teatro, i cui lavori iniziati nel 1836 terminarono solo nel 1854, nelle intenzioni degli ossequiosi amministratori locali avrebbe dovuto essere intitolato alla regina di Napoli, Maria Teresa d’Asburgo-Teschen, moglie di Ferdinando II di Borbone. Allo sdegnato rifiuto della sovrana, la scelta della Delegazione Teatrale Cittadina cadde (quale “ripiego”) su  Niccolò Piccinni, il quale all’epoca era ancora inviso agli ambienti filoborbonici.

Non siamo nati per leggere – Incontro con Lucia Schiralli

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ore 17:30   

incontro Adirt, nella nostra Sede in Via Istria n.6


“Non siamo nati per leggere”

L’invenzione della scrittura e quindi della lettura ha portato a una parziale riorganizzazione del nostro cervello che, a sua volta, ha allargato i confini del nostro modo di pensare, mutando l’evoluzione intellettuale della nostra specie.
Sarà con noi Lucia Schiralli, docente di italiano, a presentare il Tema e a discuterne con il nostro Gruppo di lettura “LeggerMente”  “e con Soci e Simpatizzanti.

Lucia Aprile

Mostra fotografica. Giacomo Pepe

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Colonnato del Palazzo della Città metropolitana

(Via Spalato)

Dentro gli spazi. L’ex Manifattura Tabacchi di Bari “. 36 scatti di Giacomo Pepe.

La mostra è a cura di Michele Carnimeo che sarà la nostra guida. Così Pio Meledandri dell’associazione Artiemiele che ha dato il patrocinio.

Le foto di Giacomo Pepe non sono quelle dell’esploratore urbano, ma quelle sognanti del ‘flâneur” ” Le immagini sono impregnate di nostalgia di un tempo passato, di luoghi animati dall’operositá delle ‘tabacchine” “È il tempo che scorre. Giacomo Pepe sa dove cercare le sue immagini “.

da Lucia Aprile

LeggerMente. I nostri libri

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I NOSTRI LIBRI

  • Karen Blixen, “Racconti d’inverno“, traduzione di Adriana Motti, Ed. Adelphi, 1980 [17/12/2024]
  • Sàndor Màrai, “La recita di Bolzano“, traduzione di Marinella D’Alessandro, Ed. Adelphi, 2000 [19/11/2024]
  • Colum McCann, “Una madre“, traduzione di Marinella Magrì, Ed. Feltrinelli, 2024
  • Paolo Giordano, “Tasmania“, Ed. Einaudi, 2022
  • Pablo Montoya, “Trittico dell’infamia“, traduzione di Ximena R. Bradford. Ed. e/o, 2015
  • Stéphanie Coste, “Lo scafista“, traduzione di Cettina Caliò, Ed. La nave di Teseo, 2022
  • Fernando Aramburu, “Figli della favola”, traduzione di Bruno Arpaia, Ed. Guanda, 2023
  • Susan Abulhawa, “Ogni mattina a Jenin“, traduzione di Rota Sperti, Ed. Feltrinelli, 2013
  • Clara Pineiro, “Elena lo sa“, traduzione di Pino Cacucci, Ed. Feltrinelli, 2007
  • Pat Barker, “Il silenzio delle ragazze“, traduzione di Carla Palmieri, Ed. Einaudi, 2019
  • Lorena Salazar Masso, “Il Canto del Fiume“, traduzione di Giulia Zavagna, Ed. Sellerio, 2023
  • Antonio Pascale, “La foglia di Fico. Storie di alberi, donne, uomini”, Ed. Einaudi, 2021
  • Guadalupe Nettel, “La figlia unica“, traduzione di Federica Niola, Ed. La Nuova Frontiera, 2020
  • Stefano Massini, “Qualcosa su i Lehman“, Mondadori, 2018.
  • Javier Marías, “Berta Isla”, traduzione di Maria Nicola, Ed. Einaudi, 2018. 
  • Juan Rulfo, “Pedro Paramo“, traduzione di Paolo Collo, Ed. Einaudi 2014.
  • Raffaele La Capria, “Ferito a morte”, Ed. Mondadori, 2022
  • Georges Simenon, “Le sorelle Lacroix”, traduzione di Federica e Lorenza Di Lella, Ed. Adelphi, 2022

  • Beppe Fenoglio, “Una questione privata“, Ed. Einaudi, 2022

  • Pedro Lemebel, “Ho paura torero”, traduzione di M.L. Cordaldo e G. Mainolfi, Marcos y Marcos, 2004 e 2021
  • Alejo Carpentier, “L’arpa e l’ombra”, traduzione di Linda Verna, Ed. Sellerio, 2020
  • Roberto Bolaño, “Notturno cileno“, traduzione di Ilide Carmignani, Ed. Adelphi, 2016
  • Elsa Osorio, “Lezione di Tango”, traduzione di Roberta Bovaia,TEA, 2006. Titolo originario, “Cielo de Tango”.
  • Jorge Amado, “Cacao”, traduzione di Daniela Ferioli, Ed. Einaudi, 2015.  
  • Elena Ferrante, “La vita bugiarda degli adulti”, Edizioni e/o, 2019
  • Flannery O’Connor, “Un brav’uomo è difficile da trovare“, traduzione di Gaja Cenciarelli, Ed. Minimum fax, 2021.
  • Marco Balzano, “Quando tornerò”, Ed. Einaudi, 2021.
  • Manuel Puig, “Il bacio della donna ragno”, traduzione di Angelo Morino, Ed. SUR, 2017.
  • Laura Forti, “L’acrobata”, Ed. Giuntina, 2019.

  • Gianluca Nicoletti, “Io, figlio di mio figlio”, Ed. Mondadori, 2018.

  • Philip Roth,Nemesi”, traduzione di Norman Gobetti, Ed. Einaudi, 2011.
  • Amos Oz, “Una storia di Amore e di Tenebra”, traduzione di Elena Loewenthal, Ed. Feltrinelli, 2002.
  • Simone de Beauvoir, “Memorie d’una ragazza perbene”, traduzione di B. Fonzi, Ed. Einaudi, 2014.
  • Franco Cassano, “Il pensiero meridiano”, Laterza, 1976.
  • Pajtim Statovci, “Le transizioni”, traduzione di Nicola Rainò, Sellerio, 2020.
  • Mario Benedetti, “Impalcature. Il romanzo del ritorno”, traduzione di Maria Nicola, Nottetempo, 2019
  • Domenico Starnone, “Scherzetto”, Einaudi, 2016.
  • Gesualdo Bufalino, “Le menzogne della notte”, Bompiani, 2019.
  • Isaac Bashevis Singer, “Il mago di Lublino”, traduzione di Katia Bagnoli, Adelphi, 2020.
  • J. Machado de Assis, “Don Casmurro”, traduzione di G. Manzi, Fazi, 2014.
  • Virginia Woolf, “Al Faro”, traduzione di Nadia Fusini, Feltrinelli, 14^ ed. 2014.
  • Ernesto Ferrero, “I migliori anni della nostra vita”, Feltrinelli, 2005.
  • Bernhard Schlink, “Il Lettore”, traduzione di Chiara Ujka, Neri Pozza Editore, 2018.
  • Toni Morrison, “Il dono”, traduzione di S. Fornasiero, Sperling&Kupfer, 2018.
  • Italo Calvino, “Gli amori difficili”, Oscar Arnaldo Mondadori Editore, 1993.
  • Ala Al-Aswani, “Palazzo Yacubian”traduzione di B. Longhi, Feltrinelli, 2012.
  • Italo Calvino, “La Speculazione Edilizia”, libri di I. Calvino, n. 1, Mondadori, 1991.
  • Michail Bulgakov, “Maestro e Margherita”, traduzione di Maria Serena Prina, Mondadori, 2017.
  • Fedor Michajlov Dostoevskij, “Le notti bianche”, traduzione di Serena Prina, Feltrinelli, 2015.
  • Magda Szabò, “L’altra Eszter”, traduzione di Bruno Ventavoli, Einaudi, 2007.
  • Philip Roth, “Patrimonio. Una storia vera”, traduzione diVincenzo Mantovani, Einaudi, 2007.
  • Romain Gary, “La vita davanti a sé”,  traduzione di Giovanni Bogliolo, Neri Pozza, 2014.
  • Javier Cércas, “Il sovrano delle ombre”, traduz.ione diBruno Arpaia, Guanda, 2017.
  • José Saramago, “La Caverna”, traduz. Rita Desti, Feltrinelli, 2016.
  • Fernando Aramburu, “Patria”, traduzione di Bruno Arpaia, Guanda, 2017.
  • William Faulkner, “Luce d’agosto”, traduzione di M. Materassi, Adelphi, 2013.
  • Alice Munro, “Il sogno di mia madre”, Einaudi, 2014.
  • Jorge L. Borges, “Finzioni”, Einaudi, 2015.
  • Franz Kafka, “La Tana”, in “Tutti i Racconti”, Mondadori, 1998.
  • Friedrick Dùrrenmatt, “La morte della Pizia”, Adelphi, 1988.
  • Annie Ernaux, “Gli anni”, l’Orma, 2015.
  • Omar Di Monopoli, “Nella perfida terra di Dio”, Adelphi, 2017.
  • Teresa Ciabatti, “La più amata”,  Mondadori, 2017.
  • Antonella Lattanzi, “Una storia nera”, Mondadori, 2017.
  • Nizar Qarbani, “Le mie poesie più belle”, Ed. Jouvence, 2016.
  • John Steinbeck, “Furore”, Bompiani, 2013.
  • Kent Haruf, “Canto della pianura”, NN Editore, 2015.
  • Abraham B. Yehoshua, “La comparsa”, Einaudi, 2017.
  • Romano Luperini, “La rancura”, Mondadori, 2015.
  • Henry James, “Ritratto di signora”, Newton Compont, 2015.
  • Domenico Dara, “Appunti di meccanica celeste”, Nutrimentrgei, 2016.
  • Melania Mazzucco, “Io sono con te”, Einaudi, 2016.
  • Alessandro Piperno, “Dove la storia finisce”, Mondadori, 2016.
  • Daniele Aristarco, “Shakespeare in shorts”, Feltrinelli, 2016.
  • Massimo Governi, “La casa blu”, edizioni e/o, 2016.
  • Stefano Valenti,” Rosso nella notte bianca”, Feltrinelli, 2016.
  • Simona Baldelli, “La vita a rovescio”, Giunti, 2016.
  • Edoardo Albinati, “La scuola cattolica”, Rizzoli, 2016.
  • Simona Vinci, “La prima verità”, Einaudi, 2016.
  • Filippo Tuena, “Memoriale sul caso Schumann”, Il Saggiatore, 2015.
  • Igort, “Quaderni giapponesi”, Coconino Press, 2015.
  • Eraldo Affinati, “L’uomo del futuro”, Mondadori, 2016.
  • Viola Di Grado, “Bambini di ferro”, La nave di Teseo, 2016.
  • Amalia Mancini, “Verranno i giorni della pace”, Gelsorosso, 2016.
  • Winfried Georg Sebald, “Gli anelli di Saturno”, Adelphi, 2010.
  • Elif Shafak, “Le quaranta porte”, BUR, 2014.
  • Oliver Sacks, “L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello”, Adephi, 1986.
  • Joseph Conrad, “La linea d’ombra”, Einaudi, 1993.
  • Joseph Conrad, “Cuore di tenebra”, Feltrinelli, 2013.
  • Emmanuel Carrère, “Limonov”, Adelphi, 2012.
  • Emmanuel Carrère, “L’Avversario”, Adelphi, 2013.
  • Alberto Méndez, “I girasoli ciechi”, Guanda, 2006.
  • Georges Simenon, “Il grande male”, Adelphi, 2015.
  • Erich Maria Remarque, “La notte di Lisbona”, Neri Pozza, 2015.
  • Murakami, “Norwegian Wood”, Einaudi Super ET, 2013.
  • Philip Roth, “Pastorale americana”, Einaudi, 1998.
  • Gary Shteyngart, “Mi chiamavano piccolo fallimento”, Guanda, 2014.
  • Antonella Ossorio, “La mammana”, Einaudi, 2014.
  • Azar Nafisi, “Leggere Lolita a Teheran”, Adelphi, 2004.
  • Thomas Mann, “L’inganno”, Oscar Mondadori, 1994.
  • Benedetta Tobagi, “Come mi batte forte il tuo cuore”, Einaudi, 2009.
  • Silvia Avallone, “Acciaio”, Rizzoli, 2010.
  • Ryszard Kapuściński, “L’altro”, Saggi Feltrinelli, 2007.
  • Clara Usón, “La figlia”, ed. Sellerio, 2013.
  • Alessio Viola, “Dove comincia la notte”ed. Rizzoli, 2013.
  • Marguerite Yourcenar, “L’Opera al nero”, Feltrinelli, 1969.
  • Marco Presta, “Un calcio in bocca fa miracoli”, Einaudi, 2012.
  • Arthur Schnitzler, “La signorina Else”, in Opere, Mondadori, 2001.
  • Giacomo Annibaldis, “La colpa del coltello”, Edizioni di pagina, 2013.
  • Edda Fabbri, “Oblivion”, Ed. Oèdipus Salerno, 2012.
  • Orhan Pamuk, “Il mio nome è rosso”, Einaudi, 2001.
  • John Maxwell Coetzee, “Vergogna”, Einaudi, 2003.
  • Stefan Zweig, “Paura”, Adelphi, 2011.
  • Stefan Zweig, “Bruciante segreto”, Adelphi, 2010.
  • Mario Vargas Llosa, “La zia Julia e lo scribacchino”, Einaudi, 1994.
  • Jonathan Franzen, “Libertà”, Ed. Einaudi, Numeri Primi, 2011.
  • Italo Calvino, “Se una notte d’inverno un viaggiatore”, Oscar Mondadori, 2001.
  • Margherite Yourcenar,  “Memorie di Adriano”, traduzione di Lidia Storoni Mazzolani, ed. Einaudi, 1963.
  • Lev Nicolaevic Tolstoj,  “Sonata a Kreutzer”, 1891.
  • Vladimir Nabokov, “Lolita”, traduzione di G. Arborio Mella, Adelphi, 1993.
  • Georges Simenon, “Lettera a mia madre”, Adelphi, 1991.
  • Georges Simenon, “Il Treno”, Adelphi, 2007.
  • Irène Némirovsky, “Due”, Adelphi, 2011.
  • Erri De Luca, “Il peso della farfalla”, Feltrinelli, 2011.
  • Erri De Luca, “I pesci non chiudono gli occhi”, Feltrinelli, 2011.

Sul tema dell’amicizia:

  • Luis Sepúlveda, “Storia del gatto e del topo che diventò suo amico”, Guanda, 2012.
  • Sandor Marais, “Le Braci”, Adelphi,1998.
  • Marguerite Yourcenar, “Il colpo di grazia”, UEF, 1990.
  • Thomas Bernhard, “Il soccombente”, Gli Adelphi, 1999.
  • Andrea De Carlo, “Due di Due”, Bompiani, 2009.
  • Franz Kafka, “La condanna”, da “Racconti”, Oscar Mondadori, 2006.
  • André Aciman, “Chiamami col tuo nome”, Guanda, 2008.
  • Fred Uhlman, “L’amico ritrovato”, Feltrinelli, 2012.
  • Nicolò Ammaniti, “Io e te”, Einaudi, 2010.
  • Virgilio, “Eurialo e Niso”, Eneide, Libri V e VI.
  • Magda Szabò, “La porta”, Einaudi, 2007.
  • Mary Mc Carty, “Il gruppo”, Einaudi, 2005.
  • Michela Murgia, “L’incontro”, Einaudi, 2012.
  • Cicerone, “De Amicitia”, Mondadori, 1997.

Sul tema del giardino:

  • Ruth Ammann, “Il giardino come spazio interiore”, Bollati Boringhieri, 2006.
  • Enzo Bianchi, “Ogni cosa alla sua stagione”, Einaudi, 2010.
  • Thomas A. Harris, “Io sono ok, tu sei ok”, B.U.R., 1995.
  • Frances E. Hodgson Burnett, “Il giardino segreto”, Giunti Junior, 2011.
  • Serena Dandini, “Dai diamanti non nasce niente, storie di vita e di giardini”, Rizzoli, 2011.
  • Jacques Brosse, “Mitologia degli alberi, dal giardino dell’Eden al legno della croce”, B.U.R., 2010.
  • Hermann Hesse, “In giardino”, Guanda, 2015.
  • Marina Tartara, “Giardini di felicità, sentieri letterari dal duemila al duemila”, Biblioteca del Vascello, 1993.
  • Jorge Luis Borges, “Il giardino dei sentieri che si biforcano”, da Finzioni, Einaudi, 1995.

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