30 Aprile 2024

Pablo Montoya, “Trittico dell’Infamia“, traduzione di Ximena Rodriguez Bradford, ed. e/o 2015

proposto da Isa Bergamini

di Isa Bergamini

Trittico dell’Infamia” è un affascinante e appassionante romanzo storico, ma sarebbe limitativo leggerlo solamente in questa chiave, perché potrebbe essere anche considerato un saggio su alcuni momenti drammatici dell’Europa del XVI secolo.
Il libro è diviso in tre parti con tre protagonisti Jacques Le Moyne detto Morgues cartografo e illustratore, François Dubois pittore e Théodore de Bry incisore e stampatore. Tutti e tre ugonotti del XVI secolo, mentre il centro Europa era flagellato dalle guerre di religione e la Spagna cattolica giustificava con il progetto dell’evangelizzazione, il genocidio delle popolazioni nelle terre d’oltre oceano, depredando quei territori senza alcuna pietà.
Le storie dei tre protagonisti si intersecano in momenti essenziali al racconto, avendo in comune i primi due di aver assistito a “Infamie”, che provano a testimoniare illustrandole e il terzo divulgandole con la stampa. Le Moyne con i disegni sulla vita dei nativi americani e sui massacri commessi dagli spagnoli e Dubois con la tavola che illustra il massacro della Notte di San Bartolomeo a Parigi. Théodore de Bry sarà lo stampatore che pubblica le loro testimonianze.
Il libro è strutturato e costruito in ogni sua parte, dove ogni elemento raccontato è pensato in rapporto con tutti gli altri, anche i meno determinanti, quasi fosse un’incisione nella quale anche il segno meno incisivo, contribuisce al racconto complessivo che si vuole rappresentare.
Libro molto colto con una pagina densa di citazioni e riferimenti ai grandi della letteratura, precedenti o contemporanei dei tre protagonisti, ad esempio Rabelais, Erasmo, Michel de Montaigne e molti altri, ma anche Virgilio. Moltissimi i riferimenti ad architetti, pittori e scultori del ‘400 e ‘500 europei, ad esempio Pieter Brugel, Jean Fouquet e la sua Madonna col bambino, Jan van Eyck e i Coniugi Arnolfini, Paolo Uccello e la sua Caccia notturna, di Albrecht Dürer gli autoritratti e le incisioni. Dei luoghi visitati dai protagonisti ricordo solamente il Duomo di Amien con il Labirinto e il Duomo di San Bartolomeo di Francoforte. Fra le sculture citate c’è il San Bartolomeo scorticato di Marco d’Agrate che si trova nel Duomo di Milano, che con la sua pelle adagiata sulle spalle come un mantello, richiama le atrocità alle quali erano stati sottoposti gli indigeni colombiani dai cattolici spagnoli.
Molti altri potrebbero essere gli esempi da citare, ma il senso del libro si può riassumere nelle parole che lo scrittore immagina di scambiare con Théodore de Bry durante un impossibile incontro e che scrive “…potrei dimostrargli che, nonostante i comfort della tecnologia e i risultati della scienza, il mio tempo è forse più spaventoso del suo. Ma lui potrebbe dire che l’uomo è stato, è e sarà sempre una creatura devastatrice, e il patimento che provoca, è la costante della storia.”
Le infamie sono sempre infamie in ogni luogo, di qua e di là dell’oceano e in ogni tempo, dallo sterminio delle popolazioni dell’intero continente americano, realizzato in tempi diversi a partire dalla Conquista, alla terribile notte di San Bartolomeo, fino ai morti della prima e seconda guerra mondiale ancora in Europa, ma il pensiero corre oggi, soprattutto ai palestinesi di Gaza e ai giovani ebrei massacrati.
Pablo Montoya ha consultato un originale di “Brevissima relazione della distruzione delle Indie” di Bartolomé de las Casas e descrive con grande precisione e emozione le diciassette incisioni di Jacques Le Moyne, apprezzando e sottolineando anche la qualità e l’importanza del lavoro dello stampatore Théodore de Bry.
Il libro si chiude magicamente al suono dei rintocchi delle campane, al lume di candela e con le parole di Thedore de Bry “Tu prendi una candela e tu un’altra, disse ai figli. Tu Catherine, ne accenderai una in onore di padre de las Casas. Per averci dato quel libro che è come un faro nell’oscurità più funesta e averci insegnato la negazione di ogni violenza. L’altra la accenderò io – anche se so che non basterà e che non avremo mai le candele necessarie a lenire i loro dolori, e se anche le avessimo, non credo che questa città riuscirebbe a contenerle – per ricordare i nostri fratelli nella persecuzione.”
Una scrittura molto ricca e a tratti anche poetica, sapientemente tradotta, accompagna il lettore di pagina in pagina a scoprire gli angoli bui dei grandi eventi della storia del XVI sec.

_________________________________________________________________________

Breve nota a cura di Monica McBritton, dopo l’incontro del gruppo di lettura:

L’incontro è iniziato con una sintetica relazione sul libro, nella quale sono state precisate le ragioni per le quali ne era stata proposta la lettura e sono stati rimarcati alcuni profili rilevanti dell’opera. In seguito, come di consueto, abbiamo proceduto ad un giro di interventi.
Una questione che ha dato luogo ad un certo dibattito è stata quella dell’inquadramento dell’opera. Questione non facile da risolvere vista la complessità del tema affrontato e della struttura dell’opera. È stato rilevato che essa si inserisce nel filone del romanzo storico postmoderno. In tale filone si inseriscono anche alcune opere di Edmund De Waal e Jan Brokken. Si tratta di un approccio che contiene sia l’opera di fantasia che la dimensione saggistica.
Tale impostazione ha suscitato qualche dubbio sulla fedeltà dell’autore alle fonti, in quanto l’opera potrebbe essere stata indebitamente aggiornata, in particolare per quanto concerne il ruolo che l’Autore attribuisce alle stampe per la diffusione nell’Europa del ‘500 dell’informazione sugli orrori della colonizzazione.
Un altro importante aspetto, più volte richiamato è la rilevanza assunta dalla corporeità degli indigeni anche in rapporto all’effetto che essa provocava nei colonizzatori.
È emerso anche il collegamento con gli scritti di Eduardo Galeano. Ed è stato osservato in particolare che si tratta di un volume contro l’oblio, principalmente perché tratta della questione coloniale avendo come filo conduttore un profilo meno noto, ovvero il conflitto religioso europeo fra cattolici e riformati, fra la Francia e la Spagna.
Su quest’ultimo aspetto si è detto che P. Montoya ha provato a rispondere a una domanda presente in America Latina: come sarebbe stata l’evoluzione della sua storia, se i colonizzatori fossero stati i riformati e non i cattolici?
Poiché, evidentemente non esiste una risposta puntuale a tale quesito, è pregio dell’opera la tematizzazione approfondita della questione.
Complessivamente, il volume è stato apprezzato, anche se è stata più volte rilevata la complessità della struttura dell’opera, la quale premia il lettore perseverante.
Molto apprezzato anche l’uso che viene fatto nel testo di alcune opere d’arte, in particolare i riferimenti al pittore Albrecht Dürer e all’editore Theodor de Bry.
Opere citate:
– Eduardo Galeano, “Le vene aperte della America Latina”.
– Edmund De Waal, “Un’eredità di avorio e ambra”.