Le transizioni, di Pajtim Statovci
Commenti e riflessioni Nessun Commento »19 Gennaio 2021
Pajtim Statovci, Transizioni, Sellerio 2020
di Isa Bergamini
Il titolo italiano ricalca il titolo inglese “Crossing”, quello finlandese era “Il cuore di Tirana”. Transizioni in italiano vuol dire: il passaggio fisico da uno stato ad un altro, il passaggio da una meta ad un’altra, le oscillazioni dell’animo umano e il percorso medico e psicologico di chi passa da un sesso ad un altro. Un titolo dunque che condensa alcuni fra i temi principali del libro.
Leggendolo scopriamo una storia dolorosa in pagine lucidissime e inquietanti, piene della rabbia di Bujar (15 anni) che si sente tradito anche dal padre quando muore e lo lascia solo, e quella di Agim (16 anni) non amato dalla sua famiglia che non accetta la sua omosessualità.
E’ un libro che racconta un ritorno, forse e comunque un particolare ritorno, ma soprattutto è un libro sull’identità, o meglio sull’impossibilità di definire e di definirsi in una identità. Nelle primissime pagine infatti si legge ”… Nessuno è tenuto a rimanere la persona che è nata, possiamo ricomporci come un nuovo puzzle.”.
Il tema certo non è nuovo e mi ha fatto pensare al mito e ad alcuni autori: nel mondo del mito classico, il dio Proteo che aveva il dono della profezia e che per sottrarsi alle domande di chi andava ad interrogarlo si trasformava in qualsiasi altra forma fisica; Ovidio “Le Metamorfosi”; F. Pessoa “Teoria dell’eteronimia”; J.L.Borges “Finzioni”; J. Joyce “Ulisse”; I. Calvino scrive – Il corpo significa! Grida! Contesta! Sovverte!- in “Se una notte d’inverno un viaggiatore”; W. Nabokov “Il Dono” e “Invito ad una decapitazione”; J. Kafka; L. Pirandello “Uno, nessuno, centomila”; E. Carrer “Limonov”; W. Allen “Zelig”.
Molto interessanti sono le pagine di storia dell’Albania, da Skanderberg al Knun il Codice di Diritto consuetudinario albanese, che fa pensare a problematiche storiche e antropologiche del nostro Sud. Sono particolarmente coinvolgenti le pagine che raccontano gli anni dal regime di Hoxha fino al tempo dell’immigrazione in Italia e in Europa, tutto questo filtrato dalle storie umane e drammatiche dei due ragazzi Bujar e Agim. La condizione dell’emigrante è in più occasioni raccontata e denunciata con forza e rabbia.
Ha una funzione importante per la costruzione del libro, la presenza nelle sue pagine delle storie legate alla tradizione albanese, che nel loro polimorfismo la raccontano in profondità e ne costituiscono in un certo modo il peso delle tradizioni da cui Bujar è fuggito e a cui in fine ritorna. Infatti l’elemento fantastico delle storie torna nelle ultime pagine del libro, con il racconto del sogno di Bujar, che tornato a casa, dorme nella sua vecchia camera, privata di tutto, quasi il ritorno nell’utero buio delle sue origini, per una nuova rinascita? Un altro Bujar? Il finale è aperto e lascia anche aperta la discussione su molte intense pagine di questo libro.
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Breve nota a cura di Isa Bergamini dopo l’incontro del gruppo di lettura.
Della lunga e interessante discussione cercherò di sintetizzare alcune delle molte cose importanti dette.
Questo giovane autore finlandese di origini kossovare è una forte voce nuova della letteratura internazionale, nelle sue pagine prende voce la rabbia di un popolo alla ricerca della sua identità, attraverso il racconto della storia dolorosa e inquietante di due giovani albanesi. Molte le problematiche che si affacciano in questo libro il cui titolo e la cui immagine di copertina sono stati particolarmente apprezzati, insieme alla qualità della traduzione.
In sintesi si è detto che “Le Transizioni” può dirsi un feroce romanzo di formazione e una metafora dell’uomo contemporaneo nel mondo della globalizzazione. La frammentazione del racconto è uno specchio della frammentazione di un mondo complesso e con una sapiente capacità narrativa, Statovci con lucido approccio storico, antropologico e culturale affronta la problematica dell’identità sia del singolo che di un’intera comunità.
In fine abbiamo chiesto a Vera un incontro dedicato al tema dell’identità. Lei, molto gentilmente, si è detta disponibile e ci incontreremo sempre su Skype martedì 26 gennaio alle ore 17,00.
Lucia ha poi raccontato quali sono state le letture che hanno accompagnato il viaggio Adirt in Albania nel 2009 e le ha inviate sulla chat di whatsapp. Le trascrivo insieme ad altre letture indicate da Roberta sempre su whatsapp, per chi volesse approfondire la conoscenza del mondo che si affaccia sull’altra sponda, per troppo tempo da noi ignorato o in passato considerato solo terra di conquista con l’occupazione nazi-fascista.
Libri indicati da Lucia:
“Vergine giurata” di Elvira Dones
“Chi ha riportato Dorutina” di Ismail Kadarè
Libri indicati da Roberta:
“”Aprile spezzato” di Kadare (su un passato regolato dal Kanun)
“Un uomo da nulla” di Kongoli (sull’Albania comunista)
“Guerra d’Albania” di Fusco (documento di una guerra dal ’40 al ’43)
“Dal tuo terrazzo vedo casa mia” di Malaj (racconti sui rapporti tra italiani e albanesi)
P. S. Vi invio in allegato due articoli su Pajtim Statovci, che ho trovato interessanti, entrambi scritti dal suo traduttore Nicola Rainò. Leggendoli, ho scoperto che Statovci, parlando dei suoi modelli letterari, indica Bulgakov, Toni Morrison, Isabel Allende e tra i finlandesi, parla di una ammirazione “immensa” per Olli Jalonen e soprattutto Sofi Oksanen. Qualcuna di noi ha letto questi autori finlandesi?
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Articolo 2
“Le Transizioni” del giovane Pajtim. Un grande romanzo finlandese sull’incerta identità dell’Europa. Di Nicola Rainò 14.02.2020
Pajtim Statovci è il narratore emergente nel panorama della letteratura finlandese contemporanea. Ha da poco pubblicato il suo terzo romanzo, Bolla, che gli è valso il Premio Finlandia per la letteratura del 2019, il più giovane a ricevere questo riconoscimento. Nato in Kosovo nel 1990, è cresciuto in Finlandia dove si è trasferito con la famiglia fuggita dalla guerra quando aveva due anni. Leggendo i romanzi di Statovci viene un nodo in gola. Viene da domandare, a noi stessi e non solo: ci ricordiamo degli anni ’90, appena trent’anni fa, quando le coste della Puglia vennero “invase” da migliaia e migliaia di carrozzoni del mare sgangherati, e si trattava prevalentemente di albanesi, tutti “profughi economici”, tutti “clandestini” dichiarati? Non c’erano Ong, all’epoca, ad accompagnarli nei porti. Arrivavano a grappoli sui ponti e le torrette di vascelli fantasma e si lanciavano in mare appena avvistata la costa. Una euforia di naufragi che vide gli italiani, in particolare la gente di Bari, Brindisi e Otranto, offrire un aiuto a tanti disperati che avevano negli occhi fame, di tante cose. Le storie di Pajtim Statovci partono sempre da quella terra dilaniata, il Kosovo delle sue origini, dandone un ritratto mai univoco: accanto all’indigenza estrema dei paesini dell’interno, l’avidità dei nuovi ricchi, di nuovi predoni, italiani compresi, e la voglia di tanti di lasciare un mondo in rovina, con due stracci addosso, affrontando rischi di ogni genere: il mare, i trafficanti. Sullo sfondo, storie e leggende animano gli incubi di questi uomini, riaffiorano animali mitologici dalle memorie dell’infanzia, per poi ricomparire, in forme più spaventose, anche nelle nuove patrie provvisorie, le patrie di transito. Cosa c’era dietro quegli occhi, nell’animo di un ragazzo, pronto a lanciarsi in mare senza nessuna certezza? Nei romanzi di Statovci troviamo anche questo, la definizione transitoria di un’identità difficile, forse le ragioni di quella unità europea così difficile, ma non solo per egoismo politico. Il fatto è che l’Europa si lascia alle spalle tanti vuoti, con altrettante rimozioni: come quella degli scrittori italiani contemporanei. Non mi viene in mente un solo “grande” romanzo nell’Italia dei nostri tempi che abbia avuto il coraggio di affrontare adeguatamente le tragedie di questi decenni, dall’Albania alla Libia. Di fronte a una odissea di queste dimensioni, li vediamo affollare i talk show televisivi, dicendone di ogni genere: ma perché un tema così vicino a noi italiani, di gente con cui abbiamo una faccia e una razza, non riesce a trovare una voce? Ecco, Pajtim Statovci è (anche) questa voce, e dall’interno del fenomeno ci racconta faccende sporche e inquietanti che forse ci imbarazzano, o troviamo sgradevoli. Certo non fanno salotto. Ha scritto di questo romanzo il Guardian: «Questa è l’opera di un romanziere già maturo, in una tradizione che va da Camus a Kafka, da Kadare a Kristeva. Di una bellezza brutale.»
Le Transizioni (titolo originario Tiranan sydän, “il cuore di Tirana”) è il racconto di un giovane europeo del nostro tempo: non ha certezze, è privo di ideologie, è una persona in cerca di definizione. Non ha certezze nemmeno riguardo al suo genere. Bujar dice: «sono un ragazzo di ventidue anni, che a volte si comporta come immagina facciano gli uomini », ma può essere una giovane di Sarajevo corteggiata da uomini di ogni età. Il giovane inventa continuamente se stesso e la propria storia, ruba il passato e l’identità delle persone che ha amato, e così si racconta a un amico o a una sconosciuta, nel resoconto di una vita trascorsa in viaggio e in fuga, dall’Albania all’America, passando per Roma, Madrid, Berlino, Helsinki. Perché, come dice lui stesso, «nessuno è tenuto a rimanere la persona che è nata, possiamo ricomporci come un nuovo puzzle».
A partire dall’adolescenza poverissima a Tirana, «la discarica d’Europa, il fanalino di coda dell’Europa, la prigione a cielo aperto più grande d’Europa», Bujar narra la sua storia in prima persona. I genitori, la sorella, l’amicizia con Agim, coetaneo e vicino di casa, rifiutato dalla famiglia per il suo orientamento sessuale. Entrambi fuori luogo in un paese devastato, sempre più dipendenti l’uno dall’altro, decidono di lanciarsi verso un futuro che gli appartenga.